Quando iniziai a scrivere il Blog ero un "keynesiano", convinto che Maynard Keynes fosse uno dei più grandi economisti della storia, l'uomo che aveva influenzato Roosvelt e lanciato il New Deal, salvatore dell'America in crisi post 1929.
Poi ho fatto amicizia con gli amici del Tea Party Italia, Giacomo Zucco in particolare ( che amico lo è sul serio, io almeno lo reputo tale ) che mi spiegarono che non era esattamente così. Keynes fu l' "inventore" della spesa pubblica e del debito come volano della crescita economica, la "correzione" statalista dei meccanismi di mercato nei periodi di recessione. Ho imparato a conoscere nomi prima a me sconosciuti : la scuola austriaca, Van Hajek, Von Mises, Rothbard. Non essendo un esperto di scienze economiche, seguo con interesse il dibattito, influenzato, lo ammetto, da uno spirito liberale, che non mi ha mai abbandonato fin dalla giovane età dell'adolescenza, per il quale la libertà individuale, nel rispetto rigoroso di quella altrui, è valore prevalente rispetto all'eguaglianza sociale. Ancora oggi la partita si gioca lì, ancorché, giustamente, la maggior parte delle persone non pensa di ignorare l'ALTRO valore. Ma nell'immaginare un assetto sociale, si dà prevalenza ad uno dei due. Insomma, per parafrasare Bersani, quando dice "un po' di più" e parla appunto di giustizia sociale, io sarei uno che preferirebbe un po' più di libertà individuale, accettando la responsabilità che essa comporta.
In ordine al dibattito su Keynes, ho letto questa lettera inviata alla rubrica di Sergio Romano sul Corriere della Sera che trovo interessante.
Leggendo l'invocazione di intervento pubblico in economia e l'immisisone di liquidità, propugnata sia dal lettore che dall'economista Posen citato da Romano, mi viene un dubbio che propongo : gli americani non hanno inondato di dollari il mercato per cercare di sostenere la domanda e quindi l'occupazione ? Non mi sembra che i risultati siano stati finora brillantissimi, ancorché, c'è da dire, questo lancio di denaro dagli elicotteri (Bernanke) non abbia finora prodotto quella esplosizone dell'inflazione tanto temuta dai tedeschi e giustificazione prima del rigore fiscale europeo.
Comunque, aspetto contributi di gente competente
Buona Lettura
PERCHÉ LA CURA DI KEYNES NON
SERVE (PER ORA) ALLA CRISI
Pochi giorni fa, un lettore
ha proposto alla nostra attenzione un raccontino apparentemente paradossale che
descrive come l’investimento di una modesta cifra nel sistema economico di un
piccolo paese provochi inaspettatamente un effetto a catena: tutti possono
pagare i loro debiti e tutti sono felici. In realtà il raccontino illustra un
caposaldo della teoria elaborata dal celebre economista inglese John Maynard
Keynes e dal suo compatriota Lord Kahn negli anni Trenta del secolo scorso.
Secondo questa teoria ogni euro investito dallo Stato nel sistema economico può
moltiplicarsi per cinque (o più) accrescendo la liquidità del sistema con
immissioni di denaro che verrà sperabilmente recuperato grazie all’aumento del
Pil e del gettito fiscale. Questa teoria è stata applicata con successo dopo la
crisi del ’29 sia in America che, purtroppo, nella Germania di Hitler. La fama
come economista di Keynes negli ultimi decenni ha subito la stessa oscillazione
dei titoli azionari. Ma è difficile non sospettare che tutti gli Stati
perseguano di fatto una politica keynesiana. Infatti, chi potrebbe sostenere
che gli impiegati nella pubblica amministrazione siano solo quelli strettamente
necessari? Anche nella spietata America lo Stato potrebbe liberarsi senza danno
di un 5% e più degli elementi meno dotati. Ma il farlo, avrebbe un effetto
rovinoso sui consumi e quindi sul benessere stesso della nazione. A riprova, i
risultati della rovinosa politica anti-keynesiana del governo Monti, basata
sulle tasse invece che sugli investimenti, sono sotto gli occhi di tutti!
Alessandro Vetere ,
a_vetere@tin.it
"Caro Vetere, L’arrivo della
sua lettera ha coinciso con la lettura di due articoli ispirati dagli stessi
concetti. Il primo è di Paul Krugman, commentatore del New York Times, premio
Nobel per l’economia, convinto da tempo che sia possibile uscire dalla crisi
soltanto con una forte iniezione di denaro pubblico nello spirito delle teorie
di Keynes. L’autore ammette che gli Stati Uniti abbiano un colossale debito
pubblico (un trilione e 89 milioni di dollari). Ma sostiene che questo debito
sarebbe tranquillamente sostenibile se non fosse accompagnato da una
depressione che ha ridotto l’occupazione, i consumi e gli investimenti. Il
rilancio della crescita con forti iniezioni di denaro aumenterebbe il prodotto
interno lordo e ridurrebbe proporzionalmente la percentuale del debito. Il secondo
articolo è la lunga conversazione di un giornalista del New York Times con Adam
Posen, economista americano ma membro, dal settembre del 2009, del Comitato per
la politica monetaria della Banca d’Inghilterra. Un anno dopo il suo arrivo a
Londra, gli elettori britannici sono andati alle urne e il loro voto ha
prodotto un ministero di centrodestra presieduto dal conservatore David
Cameron. Contro la crisi il nuovo governo ha annunciato un cura in due fasi.
Nella prima fase avrebbe praticato una politica di austerità e rigore,
riducendo considerevolmente, tra l’altro, i quadri della funzione pubblica.
Nella seconda fase vi sarebbe stato un ritorno alla crescita grazie al
dinamismo del settore privato. Posen pensava invece, keynesianamente, che il
miglior modo di affrontare la crisi fosse quello di consentire alla Banca
d’Inghilterra un acquisto massiccio di bond sul mercato. La liquidità avrebbe
rinvigorito l’economia e la ricapitalizzazione delle banche avrebbe favorito
prestiti e investimenti. Se le cose del Regno Unito non stanno andando bene,
dice implicitamente Posen, la colpa è di coloro che non mi hanno dato retta.
Dovremmo adottare anche noi la ricetta di Keynes e Posen? Qualcosa del genere è
stato fatto prudentemente, grazie a Mario Draghi, dalla Banca centrale europea.
Ma forse dovremmo ricordare che il rigore, nella strategia di Cameron e dei
governi dell’eurozona, non è soltanto un omaggio all’ortodossia economica.
Anche quando non viene ammesso esplicitamente, il rigore serve in buona parte a
ridisegnare uno Stato assistenziale che nei sette decenni passati dalla fine
della Seconda guerra mondiale è cresciuto al di là dei limiti imposti dalla
ricchezza dei singoli Paesi europei. Che cosa sarebbe successo se la cura di
Keynes, oltre che provocare inflazione, avesse persuaso i governi a rinviare la
politica delle riforme? "
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