martedì 22 gennaio 2013

CONTRATTI PREMATRIMONIALI ? ANCORA NO, PERò QUALCOSA SI PUò FARE

Prima ti sposo poi ti rovino DVD.png

Ritengo di fare cosa utile per i colleghi di diritto civile ma non solo riportando estremi e stralci della recentissima sentenza della Corte di Cassazione in materia di legittimità di accordi prematrimoniali.
Breve premessa ai non incliti : in molti sapranno per sentito dire che negli Stati Uniti sono ammessi, e anzi in caso di matrimoni dove vi siano patrimoni sottostanti importanti costituiscono la regola, i contratti prematrimoniali. Peraltro, a dare ulteriore pubblicità alla cosa qualche tempo fa ci fu un divertente film con i bellissimi di Hollywood , George Clooney e Catherine Zeta Jones , titolato non a caso "Prima ti sposo poi ti rovino" dove lo spunto era proprio un contratto di questo tipo eletto a SCUDO protettivo contro diciamo eccessive richieste divorzili.
In Italia questi contratti non sono ammessi, essendo ritenuti inderogabili e non disponibili alcuni diritti quali ad esempio gli alimenti (l'assegno divorzile ha questa precipua anche se non esclusiva natura ) nonché la preventiva rinuncia a difendersi in sede processuale.
Ora, a me pare evidente come tutta la nostra normativa in diritto di famiglia, nella parte che disciplina il rapporto tra ADULTI (non quindi i doveri nei confronti dei figli... lì ci sono altri , e grossi, problemi, di cui si è parlato in altri post) , risenta di una visione della società che in molti casi NON esiste più.
Sicuramente è molto poco romantico nel momento in cui ci si sposa, dover prevedere cosa si dovrà fare nel caso in cui l'amore finisca e il matrimonio fallisca. Però di fronte ad alcuni numeretti ISTAT forse riflettere bisogna.
Dunque, nel 1995 avevamo 158 separazioni su 1000 matrimoni , nel 2010 il numero è praticamente raddoppiato, con 307. I divorzi seguono lo stesso trend. Quindi, nel XXI secolo, 1 matrimonio su 3 in Italia fallisce, e visto che in 15 anni la crescita del fenomeno è del 100%, non è azzardato ipotizzare che entro un uguale periodo se non prima avremo raggiunto i livelli del Nord occidentale, sia d'Europa che d'America, dove da tempo è stata raggiunta e anche superata la soglia del 50%. A New York, è noto, la popolazione single ha superato quella degli accoppiati.
Ora, di fronte a statistiche del genere, forse che ragionare con diversa consapevolezza sarà opportuno ?
Che "sempre non è per sempre" non è solo il titolo di un libro ?
Io ho veramente troppi amici/che, conoscenti e clienti che stanno subendo le conseguenze di una visione - e legislazione - del matrimonio obsoleta. Specialmente tra le donne, troppe quelle che hanno fatto scelte lavorative scellerate confidando che la loro unione sarebbe durata, che a loro "non sarebbe accaduto".
E poi si ritrovano con lavori part time, o poco remunerati , e un assegno di mantenimento, quando ce l'hanno, che di media non arriva ai 500 euro al mese (mica che dall'altra parte c'è sempre Berlusconi ! ). Quando poi addirittura decidono, insieme al coniuge, di non lavorare per badare alla famiglia...il 50% delle donne in Italia NON lavora. Questo quando parliamo di persone "normali" dove i redditi corrispondono a quelli della media nazionale annualmente pubblicata dall'ISTAT dove oltre i 3/4 della popolazione italiana non supera i 2.000 euro al mese di retribuzione (in realtà, la media pro capite è attorno ai 1.800 ).
Se poi ci spostiamo sui cosiddetti ricchi, è evidente che sentenze come quella che ha riguardato Berlusconi e Lario sono addirittura grottesche, nel loro mix di comico e ingiusto, Che non vuol dire purtroppo necessariamente illegale, anche se personalmente contesto anche la legittimità delle scelte dei giudici, che nello stabilire un contributo al mantenimento del tenore di vita del coniuge "debole" potevano ben tener conto sia che la Lario è persone largamente benestante di suo, e comunque tre milioni di euro al mese per il "mantenimento del tenore di vita", grida vendetta al buon senso, che sempre deve ispirare le scelte dei Giudici, specie quando si muovono in ambiti dove godono di discrezionalità.
Tutto questo per dire che è ben ora che il Legislatore prenda in considerazione la legittimità di questo tipo di accordi.
Nella fattispecie trattata dalla Sentenza, si rimane nell'ambito tradizionale ma aprendo una breccia su accordi che NON investano i diritti non negoziabili (quali appunto l'assegno di mantenimento, ma anche il futuro affidamento dei figli, della casa coniugale...) , ma questioni patrimoniali che esulano da questi.
E' qualcosa, ed è interessante.
Buona Lettura




Accordi prematrimoniali: la Cassazione possibilista...
Cassazione civile , sez. I, sentenza 21.12.2012 n° 23713 (Giuseppina Vassallo)

La sentenza 21 dicembre 2012, n. 23713 della Cassazione apre un varco nella rigida impostazione assunta dalla giurisprudenza sull’ammissibilità di accordi stipulati in vista dello scioglimento del matrimonio.

Secondo l’orientamento tradizionale sono invalidi gli accordi economici che riguardano il futuro assegno di divorzio, sia per indisponibilità del diritto alla corresponsione dell’assegno (per la sua natura prevalentemente alimentare) sia per illiceità della causa, in quanto volti a circoscrivere in maniera espressa o indirettamente, la libertà di difendersi in un futuro giudizio di divorzio (Cass. Civ. 10 marzo 2006, n. 5302 e Cass. Civ. 10 agosto 2007, n. 17634). Il legislatore, infatti, all’art. 160 c.c., ha sancito che gli sposi non possono derogare ai diritti e doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, richiamando espressamente gli articoli del codice civile riguardanti l’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia e della coabitazione (art. 143, 147 e 148 c.c.). Inoltre, dal punto di vista processuale una convenzione che avesse a oggetto la compressione di questi diritti, comporterebbe, la limitazione della libertà processuale delle parti e la rinuncia ad un diritto futuro, e per tale motivo avrebbero una causa illecita.

Il caso in esame riguarda un accordo stipulato tra due coniugi alla vigilia del matrimonio con il quale si prevede che, in caso di separazione o divorzio, la moglie cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di un altro immobile, anch’esso di proprietà della moglie, adibito a casa coniugale. Infine il marito si impegnava a trasferire alla moglie un titolo BOT di una certa somma.

Il Tribunale che dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio, statuì solo in ordine al mantenimento dei figli e rigettò la domanda del marito volta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., di farsi trasferire l’immobile individuato nell’accordo stipulato con la moglie ante matrimonio. Appellata la sentenza sul solo capo della validità dell’accordo prematrimoniale, la Corte d’appello dichiarò che l’accordo doveva considerarsi valido ed efficace, ma la stessa non era competenze ad emettere una sentenza costitutiva dell’obbligo di eseguire il trasferimento dell’immobile, e che pertanto l’appellante avrebbe dovuto attivarsi con una autonoma azione.

La moglie ricorre in Cassazione sostenendo che l’accordo viola l’art. 160 c.c. che prevede l’inderogabilità dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio.

La Suprema Corte si trova quindi ad esaminare un contratto stipulato dai coniugi che ha ad oggetto due prestazioni economiche dei coniugi subordinate all’evento fallimento del matrimonio. Tali prestazioni, secondo l’interpretazione data dalla Corte d’Appello e confermate dalla Cassazione, costituiscono una datio in solutum, un “pagamento” fatto al fine di rimborsare il marito che ha compiuto i lavori di ristrutturazione su un immobile di proprietà della moglie. Nella sentenza si legge che l’evento fallimento del matrimonio, cui si ricollegano gli effetti dell’accordo, è assimilabile ad una condizione sospensiva.

Diverso sarebbe se la fine dell’unione matrimoniale fosse la causa genetica dell'accordo, poiché in tal caso, l’accordo, sarebbe “una sorta di sanzione dissuasiva volta a condizionare la libertà decisionale degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale” e pertanto dovrebbe essere considerato nullo. 
Occorre a tal fine valutare la proporzionalità delle prestazioni.

Infatti, secondo la Cassazione, l’indisponibilità dei diritti dei coniugi deriva dalla necessità di tutelare il coniuge economicamente più debole, mentre in questo caso non c’è un coniuge debole da tutelare, non essendoci alcuna questione sul mantenimento, e le prestazioni previste dal contratto sono proporzionate.

La Corte non definisce, infatti, l’accordo sottoscritto ante matrimonio dai coniugi, come un patto pre matrimoniale inteso come istituto conosciuto in particolare nel diritto americano (il prenuptial agreement), che mira a regolare l’intero assetto economico tra i coniugi, compresa la corresponsione di un assegno di mantenimento, ma lo identifica come un accordo che deriva dalla libera espressione dell’autonomia negoziale delle parti, in cui sono presenti delle prestazioni e delle contro prestazioni.

Inoltre, tale contratto, non viola l’art. 160 c.c. poiché la condizione apposta, subordinata alla fine dell’unione matrimoniale non è meramente potestativa, in quanto non dipende dalla volontà di un solo coniuge, e non è contraria, all’ordine pubblico e al buon costume.

Ai sensi dell’art. 143 c.c. i coniugi hanno il dovere di contribuzione reciproca nell’interesse della famiglia in base ai propri mezzi e alle proprie capacità, ma ciò non toglie che finita l’unione possano essere accertati i reali rapporti di dare-avere, che nel corso del matrimonio subiscono una sospensione.

La Corte pertanto ritiene valido l’accordo e rigetta il ricorso della moglie.

La sentenza ribadisce il tradizionale orientamento di ritenere invalidi le convenzioni che hanno ad oggetto i diritti considerati inderogabili e pertanto gli accordi economici che riguardino il futuro assegno di divorzio, ma riconosce l’esistenza dell’autonomia privata – sancita dall’art. 1322 c.c. - all’interno del diritto di famiglia. Autonomia che consente ai coniugi, di disporre del loro patrimonio in vista della fine dell’unione matrimoniale, in assenza di condizioni di disparità e di sproporzione delle prestazioni patrimoniali da eseguire. Si tratta di un passo importante che amplia le possibilità di stipulare accordi personalizzati e mirati anche alla preventiva risoluzione delle controversie in sede di separazione e divorzio.



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