mercoledì 9 gennaio 2013

IL PD CHE SI ISPIRA ALLA VECCHIA DC



Il potere è un ben collante. E in nome di quel potere, o più probabilmente di certi privilegi che essere vicini ad esso procura, le differenze si smussano e si mandano giù grossi rospi. Guardate nel PD, dove le liste di Bersani ricordano un po' quelle di proscrizione dell'ultima Roma Repubblicana, quando agli avversari politici spesso toccava la via dell'esilio e la confisca dei beni (e già eri fortunato a salvarti la ghirba !) .
Gli amici di Monti ? Fuori. I più fedeli a Renzi, tipo Reggi, suo braccio destro nelle primarie ? Fuori.
Certo, con Renzi qualche patto Bersani l'ha fatto, per contrastare l'immagine di un PD ormai solo Sinistrorso.  Però su certi nomi il Segretario non poteva transigere : troppi "rancori" per l'alfiere renziano.
Nonostante questo, in pochi se ne sono andati...meglio restare nella casa del prossimo vincitore, sia pure scomodi...sia mai che ci tocca qualche briciola ?
SI fa un gran parlare nel PD di forza pluralista, di partito dove non è più in funzione il centralismo democratico, e le varie anime potranno trovare una efficace sintesi...
Dipende dall'ampiezza della forbice che divide queste anime !
E lo si è ampiamente visto per tutta la seconda repubblica dove l'obiettivo di vincere le elezioni ha sempre messo insieme coalizioni disomogenee. E se questo è successo al centro destra, dalla parte opposta è stato assai peggio, con Prodi durato due anni ogni volta, non di più.
Quando nel PCI c'era la "destra" migliorista di Napolitano, la sinistra "sovietizzante" di Pajetta, con la sintesi Berlingueriana, tra queste parti del partito non c'erano certe le differenze che possono esserci tra Renzi e Fassina, per non parlare poi della Camusso e di Vendola, alleato principale.
Semmai il PD odierno richiama più la babele democristiana del ventennio 1970-1990 , dove veramente le correnti erano capaci di rappresentare posizioni sideralmente diverse, che solo nelle elezioni si calmavano per confermarsi le poltrone. Però una volta rioccupato il Parlamento, i governi duravano poco, e più spesso le legislature nemmeno si completavano.
Quindi, quando si esprimono, come fa Polito da un po',  anche nell'editoriale odierno del Corriere, forti perplessità sulla gestibilità futura di una politica di governo di un partito di maggioranza così "poliedrico", che sarà chiamato a gestire decisioni molto difficili, perché lo spread si è sì abbassato, ma gli altri guai sono rimasti TUTTI, con un paese prostrato dopo due anni siffatti, non è che si faccia del disfattismo, dello scetticismo elettorale.
Sono problemi veri, e relative domande che anche gli elettori più ragionevoli porrebbero, o dovrebbero porre.
Ma da noi l'idea è "intanto si vince, poi si vede".
Peccato che l'abbiano già fatto, e si è visto ....
Buona Lettura




 LE DIVERSE COMPONENTI DEL PD
Un difficile equilibrio

Non deve stupire che perfino Matteo Renzi, un giorno dopo Stefano Fassina, abbia attaccato Mario Monti dandogli del demagogo. Quando si avvicinano le elezioni i politici cambiano pelle: anche chi voleva essere leone si fa volpe, e se necessario pure gazzella, pur di raggiungere l’obiettivo della conquista del potere, che in un partito è il fine ultimo dell’azione politica. E il partito di Bersani è ormai un partito disciplinato. Così come il New Labour di Blair «silenziò» la sua ala sinistra per vincere le elezioni dopo 18 anni di digiuno, nel Pd di Bersani si sta dunque «silenziando » l’ala destra, che a dire il vero spesso si autosilenzia da sola.

Ma più del comportamento del ceto politico, ciò che è importante valutare è che cosa stia accadendo nell’elettorato del Pd, perché sarà di grande importanza anche dopo il voto. Il nocciolo duro, quello dei circoli e dei militanti, ha impresso con le primarie una netta svolta a sinistra che ha indotto anche molti «moderati» ad adeguarsi, soprattutto quelli ricandidati. Ma alle primarie ha votato un decimo dell’elettorato del Pd. I restanti nove decimi stanno ricevendo segnali contraddittori sul tema del rapporto, passato e futuro, con Mario Monti.

Secondo autorevoli commentatori come Eugenio Scalfari, infatti, l’agenda di Monti è uguale all’agenda di Bersani: quindi il primo avrebbe dovuto evitare di fare la competizione al secondo, e anche per lui si sarebbe trovato un posto da «indipendente», al governo o al Quirinale. Secondo Bersani medesimo, però, la sua agenda differisce in maniera sostanziale, essendo identica per ciò che in quest’anno ha funzionato — il controllo dei conti e dello spread—ma diversa per ciò che è andato male: e dunque promette di trovare nei conti le risorse per metterci «un po’ di crescita e di equità ». Invece lungo l’asse Fassina- Vendola-Camusso l’agenda Monti è proprio da rottamare, perché è l’agenda della destra europea che sta portando al disastro il continente, anzi «thatcheriana e reaganiana» secondo il segretario della Cgil.

Bisognerà vedere a chi crederanno di più gli elettori, tra queste tre posizioni. Perché man mano che si allontanano da quella di Scalfari e si avvicinano a quella di Camusso, le sorti di un ipotetico governo di sinistra possono cambiare. Si tratta di un antico problema, un vero e proprio circolo vizioso della sinistra. Funziona così: negli anni dell’opposizione si creano aspettative esagerate (per esempio di riaprire il discorso sulle pensioni di anzianità); una volta al governo si deludono necessariamente e rapidamente quelle aspettative; l’elettorato deluso ben presto si stacca (vedi sondaggi sulla presidenza Hollande); la componente interna di sinistra comincia ad inseguire l’elettorato deluso; nella rincorsa prima o poi la corda si spezza; il governo cade.

Renzi è oggi sicuro che Vendola farà il bravo ragazzo, e che non si assumerà la stessa responsabilità che si prese insieme con Bertinotti nel 1998, facendo cadere il primo governo Prodi. È possibile. Ma pure Bertinotti era diventato un bravo ragazzo nel 2006, al secondo tentativo di Prodi, eppure il governo cadde lo stesso, anche quella volta in soli due anni. Più delle personalità e dei patti preelettorali, contano infatti le logiche politiche. Se si fa credere ai propri elettori che Monti è l’inferno e poi non li si porta in paradiso, si può star certi che prima o poi un Turigliatto salta fuori; e per mandare al diavolo i ricchi finisce per mandarci la sinistra, per la terza volta in vent’anni.

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