domenica 13 gennaio 2013

IL PD INDIETRO NEI SONDAGGI IN LOMBARDIA : L'INCUBO DEL "PAREGGIO" DEL 2006



Secondo me Bersani e soci maledicono la lontananza del 24 febbraio, data fissata per le elezioni. E sì perché ogni giorno di campagna elettorale che passa, più il loro vantaggio si erode. Non è strano.
Il PD e il pianeta di sinistra - cui ci si ostina ad aggiungere la parola "centro", laddove tutti gli esponenti dell'ex Margherita, il VERO centro dei Democratici, sono stati emarginati o "normalizzati" - il loro pieno l'hanno fatto. L'alleanza con SEL è stata conclusa, e non c'è possibilità pare di allargarla agli arancioni che oggi inglobano comunisti e DI Pietro (che non presenta il suo simbolo !! sono soddisfazioni GRANDI per chi, come il sottoscritto, nemmeno 20 anni fa subì il fascino perverso del "giustiziere" per eccellenza  ! ).
In realtà, rinunciando a Renzi, il PD ha preferito una corsa più identitaria che allargata. Adesso, forse, temendo di aver esagerato, il Segretario riempie le liste mettondo dentro tutto e il contrario di tutto : dal giuslavorista Dell'Aringa (cui, al tempo della formazione del governo tecnico, fu preferita la Fornero per veto sul primo della CGIL !! ) al'operaio comunista Tronti, la cui opera somma è un libro "Operai e Capitale" che risale al 1966 (attualissimo quindi). Non serve, non basta.
E quindi la loro asticella non si muove...stanno attorno al 33%, che con SEL e PSI si muove fino a sfiorare il 40. Più o meno quanto fecero nel 2008 , quando alleati con l'IDV presero il 37,5% dei voti. Insomma quella è, al massimo, la sinistra in Italia, che è tanto, ma è minoranza.
Notoriamente, secondo i sondaggi che sembrano però molto verosimili e tra l'altro con dati poco difformi tra tutte le società più quotate del settore (i cui capi, ormai noti, sono Mannheimer, Piepoli, Pagnoncelli, Ghisleri, Alimonte, Diamanti ) , il restante 60% di coloro che esprimono le proprie intenzioni di voto si suddividono così : PDL + Lega sarebbero intorno al 30%, 15% (max) Monti, 15% Grillo. Poi c'è tutta una serie di formazioni minori , tra cui quelle meno "invisibili" per la notorietà dei loro leader o portavoce sono FARE, di Oscar Giannino, nell'area Liberale, e Rivoluzione Civile di Ingroia % Co. che vengono accredditati di una percentuale di voti sotto al 3%. Il primo, non alleandosi con nessuno, rischia di non raggiungere il 4 e riamanere fuori dal Parlamento, il secondo già si è apparentato con i comunisti di Diliberto e Ferrero nonché Di Pietro : tutti insieme, se non vengono strangolati dall'ottica del voto utile anti berlusconiano, potrebbero farcela ma studiando bene le alchimie del Porcellum.
La fascia degli indecisi e del non voto si sarebbe ridotta al 30% degli aventi diritto, ma è, lo ribadiscono sempre gli studiosi dei sondaggi, area recuperabile più dallo schieramento NON di sinistra. Quest'ultimo, più fedele e compatto, il pieno lo ha fatto. L'unico bacino ancora sfruttabile è quello degli ultrà-radicali di sinistra, che solo per spirito antiberlusconiano potrebbero turarsi il naso e votare un , per loro, troppo moderato Bersani.
Non sono tanti. Molti di più invece i moderati che, man mano che sentono parlare di tasse che NON scenderanno e anzi di nuova Patrimoniale, oltre che di redditometro a regime, potrebbero alla fine ridare il voto al centro destra come 5 anni fa (il PDL , da SOLO, sfiorò il 40% dei voti, più dei sondaggi di tutta la coalizione di sinistra odierna: con la Lega vinse raggiungendo il 47% ). Improbabile che lo facciano tutti, date le delusioni subite.
Però non bisogna sottovalutare lo spirito ANTI degli italiani, il loro piacere a evitare che siano gli ALTRI a vincere. Andò così nel 2006, quando Prodi, dato per trionfante esattamente quanto oggi Bersani, si ritrovò a prendere 24.000 voti in più ( su 40 milioni di votanti !!! ) alla Camera e 500.000 voti in meno al Senato !.
Grazie al Porcellum, vinse, ma con una maggioranza risicatissima proprio alla Camera Alta, che portò ad un governo debolissimo, travagliatissimo, che cadde dopo due anni.
E' il terrore della Sinistra odierna, adiuvato dal lento ma graduale recupero da parte del PDL dei suoi voti perduti. ma soprattutto alimentato dalla concreta probabilità di perdere in regioni come la Sicilia e soprattutto la Lombardia.
Quest'ultima viene definita da tanti come la regione decisiva ai fini dell'ottenimento di una maggioranza della sinistra anche al Senato, e le cose non buttano bene. Gli ultimi sondaggi danno il PD dietro di 3-4 punti, che, per i discorsi sopra fatti, possono più facilmente aumentare che ridursi. Quindi in questa regione niente premio di maggioranza, ma NON solo. Oggi, con Monti e Grillo, entrambi sopra l'8% , i seggi residui da spartire tra gli altri non andranno più per la quasi totalità al secondo piazzato, come accadde nel 2006, ma saranno divisi effettivamente tra tre formazioni.
Tutto "merito" del Porcellum, che in molti sono tornati a maledire.
Lacrime di coccodrillo, visto che Bersani alla fine è stato assoluto complice di Berlusconi nel mantenerlo, almeno per questa tornata elettorale, e questo per il semplice motivo che alla Camera gli faceva e gli fa un gran comodo, visto che con meno del 40% dei voti si prende comunque la maggioranza assoluta dei seggi.
Purtroppo al Senato il premio scatta su base Regionale. Emendamento capestro voluto proprio dalla sinistra per cercare di arginare la netta maggioranza relativa che allora arrideva al Centro Destra.
Ecco perché le Leggi, specie quelle così importanti come quella Elettorale, dovrebbero essere fatte per la loro efficacia GENERALE, e non secondo la convenienza del momento.
Vasto programma, nel paese di Machiavelli.
Ecco l'articolo di Mannhaimer con gli ultimi rilevamenti





IL SONDAGGIO

Lombardia, centrodestra avanti
nel test decisivo per Senato e Regione

Il centrosinistra è sotto di quasi quattro punti
Albertini drena voti più da Pd e Sel che da Pdl e Lega

Palazzo Madama (Ansa)Palazzo Madama (Ansa)
Lo hanno sottolineato tutti gli analisti e gli osservatoriche cercano, in questi giorni, di prefigurare i possibili esiti delle prossime elezioni politiche di fine febbraio. Il quadro finale dipenderà in larga misura, forse in modo determinante, dal risultato delle consultazioni della Regione Lombardia per il Senato. A causa, come si sa, delle astruse regole imposte dalla legge elettorale attualmente in vigore, il mai troppo deprecato «Porcellum». Che prevede un unico premio di maggioranza nazionale per la Camera dei Deputati (la coalizione che prenderà più voti otterrà automaticamente il 55 per cento dei seggi) e, viceversa, tanti premi di maggioranza per ciascuna regione, con esclusione di Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige e Molise. In altre parole, sarà la gran parte delle singole regioni ad assegnare per il Senato i seggi premio di maggioranza alle coalizioni che prevarranno in ognuna di esse. Per questo la Lombardia (che determina nel complesso 49 seggi senatoriali su 315 in totale) è così rilevante, tanto che l'esito potrà condizionare l'esistenza o meno di una maggioranza governativa in Senato per la coalizione di centrosinistra. Per quel che riguarda la Camera, infatti, secondo tutti i sondaggi, la maggioranza sarà conquistata (a meno di mutamenti legati allo sviluppo della campagna elettorale) dalla coalizione guidata da Bersani. Ma non è detto che quest'ultima ottenga la prevalenza dei voti per la competizione del Senato in tutte le singole regioni, garantendosi così la gran parte dei seggi senatoriali.

La rimonta
Proprio il risultato della Lombardia - che, data la numerosità della sua popolazione, assegna molti seggi - sembrerebbe uno di quelli maggiormente in bilico. Anche se, allo stato attuale, la prevalenza dei voti - e, dunque, l'assegnazione del premio di maggioranza - appare appannaggio della coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi, che appare aver effettuato una notevole rimonta rispetto a quanto emerso da sondaggi precedenti (ad esempio, D'Alimonte sul Sole 24 ore dell'8 gennaio, che assegnava al centrodestra il 32,5 per cento a fronte del 35,7 per cento da noi rilevato). La distanza dalla coalizione di centrosinistra risulta oggi attorno al 3,5 per cento nel sondaggio Ispo-Corriere della Sera . Si tratta di un divario teoricamente colmabile (ma, ovviamente, anche allargabile) nelle prossime settimane, con lo sviluppo della campagna elettorale e la formazione della scelta da parte dei cittadini attualmente indecisi o tentati dall'astensione (21 per cento). Bersani può dunque ancora aspirare alla conquista per sé del premio di maggioranza in Lombardia (e, di conseguenza, ad una maggiore probabilità che la sua coalizione prevalga anche in Senato, consentendogli di formare da solo un governo, senza legarsi, ad esempio, a Monti), ma deve riuscire a persuadere numerosi elettori. Berlusconi d'altra parte può contare in questo momento sul risultato lombardo come un'importante arma di contrasto al centrosinistra.

Quattro forze oltre la soglia
Sulla base dei dati rilevati, dunque, la coalizione di centrodestra otterrebbe 27 seggi (comprensivi del premio di maggioranza), mentre i seggi restanti verrebbero suddivisi tra le altre liste che superano la soglia dell'8 per cento: la coalizione di centrosinistra (12 seggi), la Lista Monti per l'Italia che si avvicina al 15 per cento e conquista 6 seggi e il Movimento 5 Stelle che si colloca attorno all'11 per cento e ottiene 4 seggi.

Il testa a testa per il Pirellone
Sin qui lo scenario relativo alla consultazione per il Senato. Ma, secondo molti osservatori, quest'ultima potrebbe essere influenzata (e, a sua volta, potrebbe però influenzare) dalla elezione per il presidente e per il Consiglio regionale, che si terrà lo stesso giorno. Per quest'ultima l'esito appare in questo momento ancora più indeterminato. Sulla base delle rilevazioni più recenti, il candidato del centrodestra, Maroni, otterrebbe oggi la maggioranza dei consensi (pari a quasi il 41 per cento). Tuttavia lo scarto rispetto al più vicino inseguitore, il candidato della coalizione del centrosinistra, Ambrosoli (cui viene assegnato sin qui il 38 per cento), è inferiore ai 3 punti percentuali. La differenza rilevata tra i due candidati è dunque vicina al margine di approssimazione insito nei sondaggi, per cui si può affermare di trovarsi di fronte ad un testa a testa più che ad una prevalenza certa di uno dei due. A costoro si affiancano Albertini (10-11 per cento) e Silvana Carcano, la candidata grillina che ottiene quasi il 10 per cento.

Albertini con Formigoni (Ansa)Albertini con Formigoni (Ansa)
Il «fattore Albertini»

I due contendenti principali si distinguono anche in relazione ai caratteri prevalenti del loro elettorato: Maroni vede infatti un'accentuazione tra i meno giovani e coloro che detengono titoli di studio più bassi, mentre Ambrosoli ottiene proporzionalmente più consensi tra gli under 40 e i laureati. Naturalmente, se non ci fosse il «terzo incomodo» Albertini, Maroni avrebbe già la sicurezza della vittoria. Ma l'ex sindaco di Milano drena un po' di voti dagli elettori di centrodestra e impedisce la prevalenza netta di quest'ultima coalizione. Anche se, ad un calcolo più approfondito, si nota che racimola (in termini relativi) più voti da ex elettori di Penati che da ex elettori di Formigoni (8,4 contro 6,7%).

I formigoniani «dispersi»
A suo tempo, nel 2010, Formigoni ebbe vita più facile. Ma molto del suo elettorato si è disperso. In particolare, solo il 61 per cento di quanti lo avevano votato allora dichiarano di confermare la propria opzione per Maroni. Diversi scelgono Albertini, qualcuno Ambrosoli o, forse spinti dalla delusione, addirittura il candidato del M5S: ma buona parte (22 per cento) si dichiara tutt'ora indeciso o tentato dall'astensione. L'elettorato di centrosinistra appare invece più «fedele»: più del 70 per cento dei votanti per Penati nel 2010 conferma infatti il proprio voto, scegliendo Ambrosoli. Ed è inferiore la quota (13 per cento) di chi non ha ancora delineato la propria scelta. In definitiva, entrambe le consultazioni in Lombardia (politiche e regionali) appaiono aperte ad ogni risultato, benché in tutte e due il centrodestra risulta sin qui prevalere (ma in misura diversa e di poco alle regionali). Questi dati danno ragione a chi ha definito la Lombardia come «l'Ohio italiano». Sarà la campagna elettorale a determinare l'esito finale.




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