Come spesso, acuto e anche piacevole nella sua ironia, l'articolo economico di Alessandro Fugnoli , titolato opportunamente " Gli occhiali sono rosa, il mondo non ancora".
Inizia come al solito con esempi metaforici, utili a spiegare il nucleo della sua tesi .
Nell'occasione, la capacità delle persone di trovare una spiegazione "soddisfacente" per accomodare un fallimento, un'aspettativa delusa, magari creando in questo modo i presupposti di un altro inganno.
Parlando di economia, gli esperti spandono parole di ottimismo che non trovano grandi riscontri fattuali, e i comportamenti dei grandi operatori economici e finanziari sono non infrequentemente contraddittori rispetto alle dichiarazioni.
insomma, non si comprende se è in atto un autoinganno, con la rappresentazione di ciò che si vorrebbe più di quello che non in effetti sia. Ma magari non è proprio così, e la verità sta nel mezzo. Ci sono elementi buoni e meno. E le previsioni restano legate a quali saranno alla fine prevalenti, tenendo conto che entrambi sono destinati a coesistere.
Buona Lettura
GLI OCCHIALI SONO ROSA. IL MONDO NON ANCORA
All’inizio degli anni Cinquanta i seguaci di una setta che
venerava gli Ufo si riunirono in un deserto degli Stati Uniti per attendere il
preannunciato arrivo degli extraterrestri che li avrebbero salvati dalla
distruzione della Terra. L’astronave aliena non si fece vedere. Tra i devoti si
diffusero immediatamente delusione, frustrazione, rabbia, senso di colpa e
rancore verso il loro capo, ma anche tentativi di razionalizzare il fallimento.
Forse gli alieni avevano voluto dare ai terrestri una seconda opportunità.
Aggrappandosi a questa ipotesi e convincendosi gli uni con gli altri, i seguaci
riacquistarono fiducia nella loro credenza e ripresero ben presto l’attività di
proselitismo.
Un classico esempio di dissonanza cognitiva è la storia
della volpe alle prese con l’uva nella favola di Esopo. La volpe desidera
fortemente l’uva, ma quando si accorge che non riesce a raccoglierla decide di
disprezzarla qualificandola come acerba. A chi volesse approfondire l’argomento
segnaliamo un piccolo libro appena uscito (L’autoinganno. Che cos’è e come
funziona. Laterza).
Nelle ultime settimane, in rapida successione, abbiamo visto
la Bundesbank abbassare le stime sulla crescita tedesca nel 2013, la Banca
d’Italia allungare i tempi della nostra recessione e il Fondo Monetario
rivedere al ribasso le previsioni di crescita globale di tre mesi fa. In questo
primo trimestre (stime JP Morgan) l’Eurozona è a crescita zero, gli Stati Uniti
all’uno per cento annualizzato e il Giappone allo 0.8. Quanto alle stime sugli
utili 2013, Adam Parker nota che i 124 dollari per azione sull’SP 500 previsti
all’inizio dell’anno scorso sono scesi ininterrottamente e sono adesso arrivati
a 114 (Parker ha una sua stima di 99, contro i 100 effettivamente realizzati
nel 2012).
Nonostante questo, si sta diffondendo in modo virale nei
mercati e tra molti economisti l’idea che stiamo finalmente uscendo
definitivamente e irreversibilmente dalla lunga fase di bassa crescita (nel
mondo) o di recessione (nella periferia europea). Stiamo invece entrando, si
dice, in un lungo ciclo di forte sviluppo, con utili crescenti e borse avviate
verso nuovi massimi. Le banche centrali sono sempre più aggressive, si
aggiunge, i politici sono sempre più convinti della necessità di crescere, il
Giappone vuole creare ancora più moneta della Fed, gli emergenti vogliono
tornare a brillare e anche il più distratto degli investitori sta cominciando a
rendersi conto che il futuro è tutto nell’azionario.
Ci sono casi di dissonanza quasi da manuale. Olivier
Blanchard, nel momento in cui parla del grande ottimismo che si coglie
nell’aria e si dichiara a sua volta fiducioso, taglia le stime di crescita del
Fondo Monetario. Lo stesso discorso si potrebbe fare per molti altri policy
maker (incluso il Fomc della Fed), visibilmente sollevati e allegri mentre
riducono le loro previsioni.
Proviamo a raccapezzarci facendo tre tipi di osservazioni.
Nel primo metteremo le ragioni di ottimismo del mercato effettivamente fondate
nella realtà. Nel secondo criticheremo alcune altre ragioni di ottimismo che
hanno in questo momento ampia circolazione. Nel terzo ne introdurremo delle
altre, che probabilmente spiegano meglio il rialzo attuale delle
borse e le buone prospettive per quest’anno e per i prossimi.
Nel primo gruppo mettiamo le novità politiche succedutesi da
luglio a oggi. L’accettazione tedesca di una mutualizzazione attraverso la Bce
del debito europeo è stata il primo grande passo. Il potenziamento e la
flessibilizzazione del Quantitative easing da parte della Fed è stato il
secondo. Il superamento dello scoglio del fiscal cliff americano è stato il
terzo. L’intenzione della nuova dirigenza cinese e del nuovo governo giapponese
di rilanciare la crescita sono stati il quarto e il quinto. L’ammorbidimento
repubblicano sul debt ceiling e il proposito di evitare azioni distruttive e
concentrarsi nei prossimi mesi su un ridisegno complessivo della politica
fiscale americana sono il sesto.
Nel secondo gruppo di osservazioni proveremo a vedere i
limiti di alcuni dei ragionamenti carichi di ottimismo che circolano nei
mercati.
Cominciamo con il dire che, sul piano strutturale, abbiamo
finora avuto solo un assaggio degli effetti dell’invecchiamento della
popolazione in tutti i paesi sviluppati. Il grosso del peso deve ancora
scaricarsi sui sistemi previdenziali e sanitari. Parlare della possibilità di
una riaccelerazione permanente e significativa della crescita in un contesto
futuro di disavanzi pubblici ancora più sotto pressione è fuori luogo. Lo è
ancora di più perché l’orientamento di tutti i governi europei occidentali (UK
escluso) e, sempre di più, degli Stati Uniti è quello di affrontare il problema
non con tagli di spesa ma con tasse sempre più alte, che inevitabilmente
freneranno la crescita.
Venendo all’Europa, il locomotore tedesco sarà appesantito
dal costo crescente del lavoro (la Germania è in piena occupazione), dalla
ripresa di aggressività del Giappone (che svaluta lo yen e spiazza ampi settori
dell’industria tedesca, l’auto in primo luogo), dal costo crescente
dell’integrazione europea (che tenderà sempre più a trasformarsi in un’unione
dei trasferimenti) e dalla pressione al
rialzo sull’euro anche nei confronti del dollaro.
L’Omt, dal canto suo, funziona bene finché resta fermo in
stazione. Nel momento in cui dovesse partire sul serio, è lecito supporre che,
arrivati a un certo livello gli acquisti di Btp e Bonos da parte della Bce, il
malessere tedesco tornerebbe a manifestarsi seminando di nuovo il dubbio nei
mercati sulla solidità della rete di sostegno sotto Italia e Spagna. È per
questo che dobbiamo augurarci tutti che l’Omt non parta mai. Se però non
partirà e se le banche (come in qualche caso stanno cominciando a fare)
restituiranno alla Bce una parte dei finanziamenti ottenuti con i due Ltro, il
bilancio della banca centrale, invece di continuare a espandersi come quello
della Fed, rischierà addirittura di contrarsi, mettendo altra pressione al
rialzo sull’euro.
Quanto alla periferia, la riduzione dello spread rallenta
l’aumento del debito, ma non è sufficiente a rimettere in moto la crescita in
una fase in cui le banche continuano a cercare di diventare più piccole e in
cui la domanda di credito è bassa perché bassa è la marginalità per le imprese.
La periferia si trova dunque davanti a due alternative rischiose. Se si smette
di puntare a una riduzione del disavanzo il debito cresce velocemente. Se si
aumenta ancora la pressione fiscale si rischia l’avvitamento. L’unico fattore
di crescita possibile resta l’export, ma su questo l’Italia è più indietro di
tutti.
Venendo agli Stati Uniti, è forte la sensazione che sia
imminente (o addirittura già partita) un’accelerazione nella creazione di posti
di lavoro. La ripresa dell’edilizia darà un contributo importante in questa
direzione, visibile peraltro in quasi tutti i settori.
Facciamo però un passo indietro. La crisi del 2008-2009
portò a una caduta dell’occupazione ancora più pesante di quella della
produzione. In seguito il Pil si riprese, ma l’occupazione molto meno, al punto
che nel 2011 la produzione ritornò ai livelli precrisi con 5 milioni di
occupati in meno. Logico, in questo contesto, immaginare un’esplosione dei
margini e degli utili che infatti c’è stata. Da qualche mese accade però il
contrario. L’occupazione cresce più velocemente del Pil ed è lecito attendersi,
se questa tendenza continuerà, un inizio di discesa dei margini, che il mercato
non sta scontando. L’aumento della top line (il fatturato) compenserà solo in
parte la pressione sui margini.
Concludiamo il ragionamento con il terzo gruppo di
considerazioni, ovvero le vere ragioni del rialzo. Sono meno nobili dei temi
della crescita e degli utili che il mercato usa per razionalizzare il bull
market, ma hanno lo stesso il loro valore.
Parliamo ovviamente della politica monetaria, in primo
luogo, che spinge verso l’alto l’insieme degli asset. Poi c’è il venire meno
delle grandi paure del 2012, l’Europa, il fiscal cliff e l’atterraggio duro
cinese. Il venire meno di un ostacolo dovrebbe teoricamente dare spazio a un
rialzo una tantum e non a un rialzo continuo. Non bisogna però sottovalutare il
grande ruolo dell’inerzia nella meccanica dei mercati.
C’è poi il limite fisico che le varie componenti del reddito
fisso sono destinate, una alla volta, a raggiungere. Una volta che il
rendimento di un bond è arrivato vicino a zero, il guadagno in conto capitale
cessa. L’obbligazionista distratto non se ne accorge subito, ma dopo qualche
mese. Dopo anni di rialzi il possessore di bond sarà disposto ad accordare al
suo strumento un’altra possibilità, ma quando questa non si realizzerà
l’obbligazionista comincerà a guardarsi in giro. La rotazione dai bond
all’azionario sarà lenta e graduale e fornirà combustibile al rialzo azionario
nei prossimi anni.
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