Angelo Panebianco , nel suo editoriale odierno sul Corsera, critica l'ipocrisia della proibizione della pubblicazione dei sondaggi nelle ultime settimane precedenti al voto. Intanto, già il fatto che il divieto - parola che a me non piace mai, in genere - riguardi NON il raccogliere le intenzioni di voto, ma solo il fatto di PUBBLICARLE, è una sciocchezza per di più dannosa. Perché vengono fatti, chi li deve conoscere li conosce, ma NON sono pubblici, per cui tutti possono dire quello che vogliono, senza che le persone, gli elettori, possano verificare.
Il che fa sì che Berlusconi ha ormai sorpassato il PD , o che Bersani lo veda col binocolo ( ma Pierluigi è sicuro di usarlo correttamente 'sto binocolo ? non è che lo posiziona al contrario per non spaventarsi ? ) , che Giannino balzi dall'1 - 1,5% alla soglia fatidica del 4 e Ingroia dica che i suoi dati sono "miracolosi".
Chi può credergli ? Ma allo stesso tempo come smentirli ? Nel 2006 il Cavaliere parlava dei suoi fantastici sondaggi, del tutto fuori linea da quelli degli istitituti conosciuti...Ridevano di lui, gli stessi Casini e Fini, allora alleati, già stavano studiando come smarcarsi dalla nave alla deriva. Poi andò come si sa. Accadrà ancora ? La giustificazione è il condizionamento degli elettori....ma Panebianco giustamente rileva che questo avviene in mille modi. Impossibile escluderli tutti, quindi perché qualcuno sì e altri no ?
Senza contare che nella democrazia o ci si crede - con tutti i difetti notori che ha - oppure no, ma allora non si deve fare finta del contrario.
Buona Lettura
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LA FARSA DEI SONDAGGI «PROIBITI»
Scarso rispetto per chi voterà
Cosa succede quando le autorità proibiscono la vendita di un bene del quale c’è una forte domanda? Si formerà un mercato nero. Una conseguenza è che si accentuerà il peso delle disuguaglianze. Sul mercato nero, infatti, il bene proibito costa molto di più di quanto non costasse nel mercato libero, prima che intervenisse il divieto. Chi possiede più risorse può permettersi l’acquisto del bene proibito, tanti altri no. Qualcosa di simile accade quando, come in Italia, si vieta la diffusione di sondaggi nelle due settimane che precedono il voto. I sondaggi continuano ad essere fatti, naturalmente. Ma dal momento in cui scatta il divieto di pubblicazione, solo una frazione della popolazione verrà a conoscenza dei risultati delle nuove rilevazioni demoscopiche: sono coloro che hanno accesso ai canali di informazione riservati alle élite. Le informazioni sugli orientamenti di voto spariscono dai media e entrano in un altro circuito, più ristretto, composto da coloro che godono del vantaggio sociale di poter accedere a canali personali e riservati. In questo modo, l’asimmetria informativa, il divario fra chi sa e chi non sa, fra i pochi che hanno accesso ai sondaggi e la maggioranza che ne è esclusa, si accentua.
Perché in certi Paesi si proibisce, da un certo momento in poi, la pubblicazione dei sondaggi (pur sapendo che quel divieto provocherà la formazione di un circuito informale dominato dal chiacchiericcio fra i bene informati, una sorta di campagna elettorale nascosta e parallela) mentre in altri Paesi (come gli Stati Uniti) quella proibizione non c’è? La risposta plausibile è una soltanto. Il divieto di pubblicazione dei sondaggi è possibile dove non si ha paura di stabilire per legge che l’elettore è un bambinone immaturo, che va protetto dalle (supposte) cattive influenze dei sondaggi.
Tutti noi siamo continuamente influenzati da tante cose. E le ragioni che spingono ciascun singolo elettore a votare in un modo o nell’altro (o a non votare) possono essere le più varie. Ma se si decide per legge che l’elettore è un immaturo suggestionabile il rischio è che qualcuno, un giorno, faccia anche il passo successivo, quello che discende logicamente dal primo: se l’elettore è un bambinone, perché mai dovremmo lasciargli il diritto di voto?
Sullo sfondo si intravvede la cattiva coscienza di élite che non hanno mai saputo fare ben i conti con il suffragio universale e le conseguenze che ne discendono. Élite che hanno paura del popolo. E c’è la predilezione per i circuiti ristretti ove gli ottimati — qualcuno pensoso del bene comune, i più pensosi delle future distribuzioni di cariche — possano occuparsene al riparo dalla pressione popolare. La politica è solo una faccia della società. C’è una connessione fra l’ideale di una democrazia sotto tutela (che va difesa dal suo principale nemico: il popolo) e la pratica dei mercati protetti che impedisce la libera competizione. In queste condizioni, non fa meraviglia l’insorgenza di potenti movimenti di protesta. Meraviglia che qualcuno si meravigli.
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