Un Giudice di Napoli , il Dott. Lepre in una sentenza ha dichiarato l'illegittimità del redditometro, come strumento invasivo della vita privata dell'individuo.
E' una bella notizia, di per sé , ancorché non bisogna illudersi troppo. Una sentenza di un singolo giudice, ancorché ben motivata, resta un caso isolato.
Però finisce in prima pagina, e chissà che possa essere un caso esemplare. Certo, ci vuole coraggio e voglia di ribellarsi, perché la sentenza nasce da una iniziativa personale evidentemente di respiro civile e politico di un singolo contribuente che contestava il diritto dell'Agenzia delle Entrate di frugare nella sua vita privata.
Una sola obiezione, da avvocato. Io sono convinto che il Redditometro, e quindi il decreto che lo introduce nell'ordinamento, sia uno strumento illiberale e di sospetta costituzionalità. Resta però una legge, fino a sua decadenza , revoca, o dichiarazione di incostituzionalità. E un giudice NON ha e non può avere il potere di metterla nel nulla. Vale per l'Ilva, vale per il Segreto di Stato, vale anche quando un Giudice prende una decisione che pure tanto ci piace.
Il suo compito è quello di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma, per la violazione del diritto della Privacy, della invadenza del potere statale contro la libertà individuale, ma non può lui, giudice, metterla nel nulla.
Perché il cambio dalla dittatura statale e quella giudiziaria , non è che sia 'sto granché.
Stavolta la sentenza che disattende la Legge ci piace. E quando no ?
Insomma, confidiamo che sia la Corte preposta a confermare questa sentenza, che, così, posso apprezzare nella sostanza ma non condividere nella forma
Ecco l'articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera
RICONOSCIUTO IL DIRITTO ALLA PRIVACY DEL CONTRIBUENTE: «INVADENZA DEL POTERE»
Il giudice condanna il redditometro
Sentenza ordina all'Agenzia delle entrate di non usarlo. «Decreto del ministero Economia nullo e incostituzionale»
Per la prima volta da quando è entrato in vigore il 4 gennaio 2013, la sentenza di un Tribunale smonta lo strumento sul quale tanto puntava l'Agenzia delle Entrate nei preventivi di recupero dell'evasione (815 milioni nel 2013 sui primi 35.000 contribuenti) e tanto si accapigliavano i politici in campagna elettorale: e un giudice civile ordina all'Agenzia delle Entrate «di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza o utilizzo dei dati», di «cessarla se iniziata», e di «distruggere tutti i relativi archivi» se già formati.
È successo al Tribunale civile di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, dove il giudice Antonio Lepre ha accolto in 9 pagine un ricorso dell'avvocato Roberto Buonanno per un contribuente che non voleva che «l'Agenzia venisse a conoscenza di ogni singolo aspetto della propria vita privata».
Una volta inquadrato il suo intervento nella cornice della tutela dei «diritti fondamentali della persona» nella Costituzione e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il giudice passa a valutare se il nuovo sistema di coefficienti, che trasforma le spese in reddito attraverso un misto di dati certi provenienti dall'anagrafe tributaria e di stime messe a punto dall'Istat, soddisfi il principio di proporzionalità che vieta alla Pubblica amministrazione di sacrificare la sfera giuridica dei privati se non in casi di assoluta eccezionalità, in presenza di circostanze specifiche, per il raggiungimento dell'interesse generale. È negativa la risposta del giudice Lepre, già nella commissione del Csm sui metodi di valutazione della produttività dei magistrati, esponente della corrente di centrodestra di «Magistratura indipendente».
A suo avviso il decreto natalizio del ministero dell'Economia «è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo» perché «fuori dalla legalità costituzionale e comunitaria» in quanto «non individua categorie di contribuenti ma altro, sottoponendo a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare». Inoltre «non fa alcuna differenziazione tra "cluster" (gruppi omogenei, ndr ) di contribuenti, ma opera una distinzione familiare di tipologie suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando all'interno di ciascuna figure di contribuenti del tutto differenti tra loro».
Utilizza poi come parametro delle spese medie delle famiglie l'attività dell'Istat, «che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria» ed «è nata per tutt'altri fini». Inoltre «viola il diritto di difesa in quanto rende impossibile fornire la prova di aver speso meno di quanto risultante dalla media Istat», giacché «non si vede come si possa provare ciò che non si è comprato o non si è fatto». Infine «il diritto del contribuente al contraddittorio» è «in gran parte svuotato di effettività» perché, in un procedimento «eminentemente inquisitorio e sanzionatorio, il contribuente e l'Agenzia delle Entrate si trovano in posizione di fortissima asimmetria»: un po' perché «l'Agenzia è anche socia della società di riscossione forzata», e un po' perché «è in conflitto di interessi, essendo normalmente vincolata al raggiungimento di obiettivi di evasione da recuperare e dunque avendo filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi».
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