lunedì 4 marzo 2013

L'EDUCAZIONE DI SALVATORES NON EMOZIONA


Andato ieri a vedere il film Educazione Siberiana. Sono uno a cui piace Gabriele Salvatores. A parte il bellissimo Mediterraneo, che vinse l'Oscar come miglior film straniero, ho apprezzato Puerto Escondido , Sud, Marrakesh, e naturalmente Io non ho paura, che si meritò un'altra candidatura all'Oscar.
Non ero sicurissimo devo dire, però una discreta critica e la presenza di un attore bravissimo come John Malcovich mi hanno alla fine deciso.
Il film è godibile ma certo non imperdibile.

La storia è incentrata essenzialmente sulla  inculcazione di un codice etico tutto particolare che un bambino, orfano di padre. subisce fin da piccolo e impartitagli dal nonno. Un codice fatto di onore, lealtà e accettazione della criminalità come modo di sopravvivere e difendersi dalla prepotenza di una legalità ufficiale. In realtà i "siberiani" si chiamano così perché sono dei deportati.
 Intere famiglie che, bollate come irrecuperabili, furono veramente deportate in Siberia.
Un po' come se lo facessimo qui in Italia con quelli di Scampia , di Corleone, o, parlando delle città maggiori, i quartieri spagnoli a Napoli, Bari vecchia, 
Il film scorre ma non emoziona  nonostante i temi del grande legame tra nonno e nipote, dell'amore tra il protagonista e una tenera ragazza senza senno, l'amicizia grande che in fondo rimane fino alla fine con un coetaneo nonostante la vita e la condotta cinica, fino al crimine, di quest'ultimo, faccia molto per dividerli...
 Tutto questo, a mio personalissimo gusto, viene tratteggiato con mestiere ma senza intensità....
 Forse perché Salvatores è più regista della commedia umana che del dramma. Bravo anche a tratteggiare la parte interiore degli uomini ma facendolo con "leggerezza", come nel bellissimo Mediterraneo.
Educazione Siberiana è libro forse troppo crudo per lui. 
Ma lascio il passo ai critici di professione



Inviato il 28/02/2013 da Francesco Manca

Educazione Siberiana - recensione - Cinema

 Fra i tanti meriti da attribuire al regista Gabriele Salvatores, uno su tutti è senz'altro quello di non aver mai perso, in trent'anni di carriera e dopo un Oscar vinto nel 1992 per il celebre Mediterraneo (1991), quella tanto insolita - per il nostro cinema - quanto benefica frenesia sperimentativa divenuta presto una costante della sua produzione artistica. Dal tema della fuga che fa da cuore pulsante alla rispettiva trilogia (Marrakech Express (1989), Turné (1990) e il succitato Mediterraneo) alle atmosfere surrealiste di Nirvana (1997), dalle euforiche sperimentazioni visive di Denti (2000) e Amnésia (2001) a quelle più contenute di Io non ho paura (2003) e Come Dio comanda (2008), fino al metacinema ironico di Happy Family (2010).
Difficile stabilire quali siano i reali punti d'accordo fra le quindici pellicole dirette in carriera dal cineasta di origine partenopea. E' possibile, più che altro, rintracciare in tutte le opere una sorta di ricerca, umana e formale, attraverso i personaggi e le vicende che li vedono protagonisti, pur, appunto, in contesti, luoghi e realtà differenti.
Dunque, a tre anni di distanza dalla gradevole commedia interpretata, tra gli altri, da Fabio De Luigi e Diego Abatantuono - da prendere più che altro come una scanzonata reunion tra vecchi amici/colleghi - Educazione siberiana, dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin, segna quello che è il vero ritorno dietro la macchina da presa di Gabriele Salvatores. 
IL GRANDE FREDDOIn linea con quanto fatto recentemente da Tornatore con l'apprezzatissimo La migliore offerta, anche Salvatores sceglie, per Educazione siberiana, un cast di nomi internazionali, ove spiccano, senza troppe difficoltà, quelli di Peter Stormare e soprattutto John Malkovich, nessuno dei quali, però, impiegato in un ruolo da protagonista. Carica ricoperta invece dai giovani Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius, rispettivamente nei panni di Kolyma e Gagarin, amici per la pelle nella fredda Transnistria - corrispondente all'attuale Moldavia - iniziati alla criminalità da nonno Kuzjia con le prime rapine e la condivisione della refurtiva. Poco prima di finire in carcere, Kolyma si innamora perdutamente di Xenja (Eleanor Tomlinson), ragazza mentalmente disturbata, figlia del medico legale. Durante la detenzione, il giovane traduce il proprio sentimento attraverso un simbolico tatuaggio, elemento cruciale per l'educazione che nonno Kuzjia ha voluto impartire al nipote. Una volta scarcerato, Kolyma apprende dallo stesso nonno che la ragazza di cui è innamorato ha subito una violenza. Fatto che porterà il giovane ad arruolarsi nell'esercito, infrangendo così il proprio codice d'onore, per trovare e uccidere l'uomo che ha abusato della sua amata. Parlavamo di ricerca, nelle righe soprastanti. Aspetto che Salvatores, in questo più che in qualunque altro tassello della sua filmografia, pone in cima alla lista dei propri obiettivi da perseguire, imprimendo nella sceneggiatura - di cui è autore insieme ai fedeli Stefano Rulli e Sandro Petraglia - come nella regia il proprio, inconfondibile marchio di fabbrica, testimoniato da personaggi forti e corposi e da una struttura narrativa solida seppur, in alcuni tratti, superficiale. Elemento, questo, che non impedisce comunque alla pellicola di rendersi appetibile agli occhi di qualsiasi spettatore pur trattando, come detto, argomenti di forte impatto emotivo e talvolta esaltati da un uso forse un po' eccessivo della violenza.
Non vi è, alla fine, grande fedeltà con la matrice letteraria di Lilin da cui l'opera trae appunto ispirazione, come risultano talora fastidiosi i frequenti viraggi verso la spettacolarizzazione che regista e sceneggiatori adottano in vari frangenti della storia, sottraendo in questo modo valore e credibilità allo stile asciutto, essenziale e glaciale - visto il contesto - che avrebbe potuto rimanere inalterato.
Il risultato complessivo è comunque quello di un'opera pregevole, tecnicamente distinta (da ammirare la splendida fotografia di Italo Petriccione, altro fedelissimo della factory di Salvatores), forte, cruda e non di rado straziante, che paga dazio solo per la troppa enfasi mostrata in alcune parti del minutaggio.
Gabriele Salvatores, alla sua fatica n. 15, sceglie un cast internazionale (John Malkovich e Peter Stormare tra i componenti) affidando però i ruoli dei protagonisti assoluti a due giovani attori russi.
Del romanzo omonimo di Nicolai Lilin utilizzato come fonte d'ispirazione rimane poco in questa trasposizione filmica, soprattutto per quanto riguarda lo stile narrativo asciutto ed essenziale che costituiva uno dei massimi pregi dello scritto.
Grazie alla straordinaria abilità del regista nel disegnare personaggi forti e situazioni di grande impatto, la pellicola risulta alla fine valida ed avvincente per buona parte della sua struttura, con un reparto tecnico eccellente ad arricchire l'operazione.

Educazione Siberiana - recensione - Cinema


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