giovedì 7 marzo 2013

E A RENZI SCAPPA UN "COSì NON CAMBIEREMO MAI"


Non parla, ufficialmente, e se lo fa, sempre ufficialmente dice che sta con il segretario. Del resto tutti dicono così...per ora. In fondo Bersani, dopo aver perso la partita che sembrava vinta, adesso prova a giocarsi quella che tutti danno per persa : avere una maggioranza mettendo insieme i centristi di Monti e un po' di grillini (che Grillo credo che anche il testardo romagnolo lo dia per non recuperabile alla causa). Perché persa ? Semplicemente perché uno sta a quello che i protagonisti dicono, anche accettando un margine di scarto, di errore, direbbero quelle facce di tolla dei sondaggisti (in testa, il buon Mannheimer, che dopo le toppe prese, lui come gli altri suoi colleghi, ancora pubblica "intenzioni di voto"...).
E così, abbiamo un Monti che dice che piuttosto che alleanze con forze antieuropee meglio il voto e i grillini che giurano fedeltà al Movimento e al leader dello stesso. Se così sarà, Bersani ha già perso.
Faranno altro ? Il voto di fiducia è PALESE, non facile da immaginare il colpo di scena in parlamento. Anche perché, come abbiamo più volte ricordato, qui mica bastano un pugno di "responsabili" (o di Giuda, a seconda del punto di vista) : ce ne vogliono circa la metà di quelli di Grillo !!
Ma Bersani, perso per perso, si gioca questa carta. Del resto, nuove elezioni non lo vedrebbero più candidato premier, dopo la "vittoria" azzerata dal mancato raggiungimento dell'obiettivo, nel partito comunque avrebbe lasciato la segreteria al prossimo giro di ruota (come l'ha definito lui), per cui o la va o la spacca. Ma i discorsi sentiti in direzione, la genericità degli otto punti, il politichese che nelle occasioni di partito emerge trito e antico, hanno demoralizzato il buon Renzi che ha pensato bene di non dire nulla e ad un certo punto andarsene (del resto, non è stato il solo).
E qualcuno lo avrebbe sentito sfogarsi, sia pure per un attimo, lasciandosi scappare un "così non cambieremo mai".
L'autore dell'articolo che riporta la notizia. Federico Geremicca, uno che oggi scrive sulla Stampa ma io non ne ho grandi ricordi da Repubblica ( i due giornali si scambiano i giornalisti, da un po', assomigliandosi sempre di più, il che non è proprio il massimo), mostra un qual certo biasimo per la posizione del sindaco fiorentino...questo suo dire e non dire, andare ma non partecipare...
Immagino che Geremicca, alle primarie, abbia votato per il compagno segretario....
Buona Lettura


Renzi lascia la sala in anticipo
“Così non cambieremo mai”

Il sindaco ai fedelissimi: da Pier Luigi nemmeno una parola sui temi anti-casta
FEDERICO GEREMICCA
ROMA
La faccia di Matteo Renzi in tv in una carrellata che riprende D’Alema, Bersani, Epifani, Marini e chissà chi altro; oppure un primo piano zoomato che lo porta nelle case degli italiani, a ora di pranzo, mentre parla alla piccola tribuna del Partito democratico avendo affianco, magari, il presidente Rosy Bindi... 

Chissà se sono precisamente questi i pensieri ed i volti che ieri si sono materializzati nella testa di Matteo Renzi quando - poco dopo mezzogiorno - ha voltato le spalle alla compagnia e se ne è tornato a Firenze. Fatto sta che è successo: ed è un nuovo piccolo-grande-caso. 

C’è molto di studiato, naturalmente, nella mossa con la quale ieri Matteo Renzi ha deciso di riprendersi un po’ di titoli di giornali abbandonando, senza nemmeno intervenire, la Direzione del Pd: evitare il rischio, per esempio, di finire ritratto in quella sconsigliabile sorta di album Panini della nomenclatura democrats (e non solo democrats). Ma c’è anche molto di nient’affatto studiato, cioè di assolutamente incontrollabile: come un’allergia, un prurito tremendo, che resisti, resisti, ma alla fine ti devi grattare. Così, Renzi ha resistito, ha resistito, ma poi - appena finito l’intervento di Dario Franceschini - non ha retto più: ha girato le spalle alla presidenza e se ne è andato, percorrendo rapidamente i pochi metri che separavano il fondo della sala (dov’era in piedi) dal terrazzo che abbellisce l’ultimo piano della sede Pd. 

Diremo poi se la mossa può esser considerata più giusta o più sbagliata: per ora raccontiamola. «Onestamente, quello che dovevo dire l’avevo detto - ha spiegato Renzi a qualche fedelissimo convinto che, stavolta, avrebbe addirittura preso la parola in Direzione -. Sostengo il tentativo di Bersani: posso pure impararlo a memoria e dirlo in cinese... Ma oltre questo, che devo fare? Tra me e lui le differenze ci sono: dovevo intervenire per esasperarle?». È la verità: fino ad oggi il sindaco di Firenze ha messo su un disco che dice “sto con Pier Luigi, sto con Pier Luigi” e non l’ha mai cambiato. Ma è anche solo una mezza verità: l’altra metà della spiegazione (dell’abbandono della sala della Direzione, intendiamo) è in una sorta di repressa delusione. 

«Ma come - si è sfogato tornando a Firenze - sono giorni che insisto a dire che se avessimo cavalcato noi l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti avremmo spuntato qualche unghia a Grillo, e Bersani che fa? Nemmeno ne parla nella relazione introduttiva... Qua si rischia di andare avanti come prima. Ma come prima non va bene affatto». Dietro l’abbandono della Direzione, dunque, ci sono tante cose. Un po’ il timore di venir catalogato anche lui come “casta”, cosa che considera un pericolo mortale; un po’ un’insofferenza genuina verso certi interminabili vertici, considerati inutili liturgie di partito; ma un po’ anche la circostanza che con Bersani le cose continuano a non andare granché bene: Sono andate male durante le primarie, sono andate male in campagna elettorale e continuano ad andar male a fine campagna. 

Uno spaccato di come sono andate le cose durante la battaglia elettorale lo offre, per esempio, Claudio Burlando - governatore ligure - quando va alla tribuna della Direzione: «Negli ultimi giorni della campagna ho invitato Renzi a Genova e mi sono reso conto che, ormai vicini al voto, non era impegnato altrove: un altro segnale che le cose non stavano andando nel verso giusto». Se era - se è - una risorsa (è l’implicita obiezione di Burlando) perché è stato lasciato così tanto in panchina? 

Comunque sia, lo strappo è consumato. Niente di gravissimo, ma a tanti (da Fassina a Cuperlo) non è piaciuto. E non è piaciuto nemmeno a qualcuno nella folla di cittadini e militanti che ha seguito la Direzione via Internet e l’ha commentata via Twitter. Scrive Patrizia: «Sarebbe utile che Renzi parlasse al partito, oltre che a Ballarò. Coraggio, fallo». Il partito, già... Il sindaco di Firenze ne ha in mente uno del tutto diverso, rispetto a quel che è oggi il Pd: un partito “liquido”, leggero, senza praticamente apparati ma capace - attraverso i nuovi strumenti - di arrivare fin dentro le case degli italiani. Ma questo è il partito che sarà: se e quando sarà. Per ora il Pd è altro: e magari ignorarlo, mostrare fastidio e starne lontano potrebbe non essere un grande affare. Non è tempo di scelte a metà. O dentro o fuori, in genere è meglio. Mezzo dentro e mezzo fuori, si rischia molto: come proprio a Renzi hanno dimostrato le primarie perse giusto tre mesi fa... 

Nessun commento:

Posta un commento