giovedì 14 marzo 2013

MONTI BATTE UN COLPO DOPO IL TRAUMA E DICE : "COSì NO ! " MAGARI è SINCERO...


Stamane ho letto che anche i montiani respirano e dicono qualcosa. Per fortuna sensata. Più esattamente : che c'è necessità di un governo di respiro europeo, che faccia riforme strutturali (quelle di sempre..). Tutto questo è improbabile si possa fare con Grillo e contro il PDL. A parte questa osservazione, negli otto punti del programma bersaniano di questa "robetta" non c'è traccia, a meno che , sfruttandone la genericità, non la si voglia far entrare dalla finestra...
Insomma,un governo così, i Montiani non sono disposti a votarlo. A quel punto la strada del governo Bersani si fa ancora più impervia : non gli basta sedurre la metà dei senatori grillini ( 20-25), gli servono TUTTI. Insomma deve riuscire a fare un vero esecutivo PD - M5S.
Magari alla sinistra piddina piace, e con quintali di maalox lo trangugiano pure gli altri. Ma Grillo ??
Senza poi voler pensare a che razza di governo potrebbe uscire fuori....
Però dico anche un'altra cosa : CHE SIA.
Sì perché ad un certo punto se effettivamente il PD bersaniano decide di giocarsi questa carta, pur di governare, e fare tutte le concessioni che Grillo e i suoi  gli chiederanno, e a quel punto il comico accettasse, allora è giusto e hanno pieno diritto di governare insieme. Inutile lanciare anatemi come fanno i giornali di destra, che stanno lì a ricordare quante se ne sono reciprocamente dette gli uni contro gli altri. Questo vale per ogni compagine elettorale, per cui, visto che nessuno ha i voti da solo, non resterebbe che tornare a votare e pregare che la gente, a distanza di poco tempo, voti diversamente. In Grecia un po' è successo (e non  a favore dei movimenti radicali...).
Se si vuole evitare il voto, bisogna trovare una maggioranza che raggiunga una minima intesa sul da farsi. Il PD la vuole trovare a tutti i costi con il M5S e solo con lui (confidando che i montiani si aggreghino, ma per ora hanno detto di no). Se alla fine li convince, è giusto che governino, o quantomeno ci provino.
In fondo, a quel punto, avremmo una maggioranza che rappresenta il 55% circa dei voti espressi...assolutamente dignitosa .
Coesa ? Lo si vedrebbe. Ma scandalizzarsi perché Grillo e Bersani si rimangino gli epiteti scambiatisi nei mesi addietro, francamente no. Io ricordo ben altro negli anni...
Poi restano le valutazioni critiche, le analisi di prospettiva, come quella che trovo assai valida, come spesso acacde, di Antonio Polito, e che per questo propongo.
Polito, lo ricordo, è uno di sinistra, ex senatore dell'Unione di Prodi nel 2006 e spesso portavoce in tv di quel governo. Insomma non uno di destra ! Però è un liberal, uno che ritengo abbia creduto  nell'idea originaria del PD e poco si ritrova nella versione bersaniana, decisamente "vintage". E si vede.
Buona Lettura




BERSANI E GRILLO

Quella trattativa che indebolisce il Pd

Se l'intento di Bersani era quello di mettere con le spalle al muro Grillo, bisogna dire che sta ottenendo l'effetto contrario. È piuttosto il Pd che ogni giorno cede un altro po' di terreno al Movimento 5 Stelle, perdendo al tempo stesso qualcosa della sua credibilità di forza di governo. Non è solo la forma: il segretario del Pd è già costretto a dialogare con Celentano, speriamo non debba farlo prima o poi pure con il nipote e il commercialista di Grillo, rispettivamente vicepresidente e segretario del partito con cui si vuole alleare. È anche questione di sostanza. Ieri, per esempio, è ufficialmente entrato nella trattativa politica per la formazione di una maggioranza parlamentare il tema dell'arresto di Silvio Berlusconi. Prima il leader dei grillini al Senato, Vito Crimi, e a ruota il braccio destro di Bersani, Maurizio Migliavacca, hanno fatto sapere che i loro gruppi voteranno sì a un'eventuale richiesta di custodia cautelare per l'ex premier. Si badi bene: nessuna Procura l'ha chiesta, almeno finora. Però già si sa che Pd e M5S la voterebbero. Che cos'è? Il nono punto di un programma di governo? Dopo la marcia dei parlamentari pdl sul Tribunale di Milano, un altro piccolo grande passo verso l'imbarbarimento dello Stato di diritto.
Altro esempio: il finanziamento pubblico. Lì il gioco di Grillo non è stato neanche difficile. Siccome Bersani insiste tanto nel proporre un fidanzamento, lui gli ha chiesto in dote i 48 milioni che spetterebbero al Pd per queste elezioni. Comincia a rinunciare a quelli - lo ha provocato - e poi ne parliamo. Naturalmente Grillo sa benissimo che il Pd non vuole, e forse non può, rinunciare a quei soldi. Ma quando tutto sarà finito, gli elettori ricorderanno questo no di Bersani molto più degli otto sì che ha proposto. Ancora: prima delle elezioni Bersani ha fatto il giro delle capitali europee per assicurare che il Pd è una forza europeista, che non tradirebbe gli impegni presi, che non lascerebbe sprofondare il Paese nel baratro dell'insolvenza. Ma un suo governo dovrebbe tener fede alla parola alleandosi con chi ancora ieri ha dichiarato che «l'Italia è una patata bollente già fuori dall'euro», e anzi propone un referendum (inammissibile per la nostra Costituzione) per uscirne.
Il prezzo di questa presunta trattativa tra Pd e M5S, insomma, sembra pagarlo molto più il Pd. Se il premio finale fosse il governo, si potrebbe anche capire il sacrificio. Ma se così non sarà, e tutto lo lascia credere, perché mai i Democratici si sono infilati in queste forche caudine? In molti cominciano a chiederselo nel partito, e qualcuno comincia a chiederlo anche a voce alta. Il sospetto è che Grillo sia usato ormai solo al fine di una lotta interna: per stabilire chi sarà il candidato premier nel caso si vada subito al voto, se Bersani che lo corteggia o Renzi che lo fronteggia.
 Il problema è che tornare subito alle urne non sarebbe solo un brutto colpo alla governabilità del Paese; potrebbe esserlo anche per il Pd. Nel migliore dei casi, infatti, quel partito può ambire a confermare il risultato di febbraio, arrivando primo alla Camera; ma la maggioranza al Senato resterebbe un miraggio. D'altra parte alla roulette russa del Porcellum potrebbero arrivare primi anche Grillo o Berlusconi, bastano poche centinaia di migliaia di voti in più. E in quel caso la sinistra perderebbe, oltre a tutto il resto, anche duecento parlamentari, perché chi arriva secondo scende da 340 seggi a 140.
Questi ragionamenti sono ben presenti a molti nel Pd.Il fronte di coloro che non vogliono tornare alle urne è più ampio di quanto sembri, ma è frammentato; e soprattutto è paralizzato dalla virulenza che ha assunto di nuovo (forse non casualmente) la guerra tra Berlusconi e i tribunali. Hanno paura di incorrere nella scomunica di quel potente partito extraparlamentare che, in nome della morale, ha ormai subordinato ogni salvezza comune alla perdizione del nemico. Tutto sembra dunque inesorabilmente avvitarsi verso il disastro. Eppure, avrebbe detto Abramo Lincoln, «una volta deciso che una cosa può e deve essere fatta, bisogna solo trovare il modo». Anche lui era un presidente della Repubblica.


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