domenica 24 marzo 2013

PRESIDENTE NAPOLITANO, CON GRANDE RISPETTO, MA QUESTI TRE GIORNI LI DOVEVAMO PROPRIO BUTTARE ?


Nel leggere le esternazione del compagno segretario del PD mi è venuto spontaneo commentare su FB : "Tra le cose "urgenti e indispensabili" da fare in un governo di non si sa quale respiro , con 2000 miliardi di debito e 100 con le imprese nazionali, il 10% di disoccupati, la recessione, la pressione fiscale più alta d'Europa (con equivalente livello di evasione ), Bersani cosa mette tra le cose indifferibili ??? Un decreto legge sulla ineleggibilità. Esimio Presidente Napolitano, con la stima e il rispetto che Lei merita, siamo sicuri che questi tre giorni non li potevamo usare meglio ?"
Di Bersani credo pochi potessero immaginare l'involuzione in corso, che forse invece è solo rivelatrice dell'autentica natura della persona. Io (che comunque dico subito MAI avrei immaginato una deriva così penosa e irritante) qualcosa avevo avvertito negli incontri pre elettorali in tv...Bersani ha un tratto in comune con Berlusconi ma probabilmente generalmente diffuso tra chi "comanda" : sorride finché l'interlocutore è garbato se non addirittura ossequioso, ma s'irrita se le domande si fanno scomode. Il Cavaliere però, andando da Santoro, quindi infilandosi nella trasmissione del suo nemico mediatico per eccellenza (tra l'altro lì trovava anche Travaglio...paghi uno e prendi due...) ha dimostrato di avere, all'occorrenza, risorse istrioniche che gli permettono di confrontarsi con gli avversari. Bersani pare proprio di no.
Del resto si era visto anche nei confronti televisivi con Renzi.
La gente esalta tanto l'apertura alle Primarie, che lo statuto del partito aveva esorcizzato stabilendo che il segretario eletto fosse naturalmente e direttamente il candidato premier del PD . Smentendo peraltro in questo modo la novità introdotta dai tempi dell'Unione, quando Prodi e Veltroni furono candidati Premier incoronati da primarie ancorché solo di facciata, tanto l'esito era scontato. In realtà, ragionando, che alternativa aveva l'ex aiuto benzinaio ? Renzi era in ascesa, la sua popolarità grande e diffusa a fronte di un PD che nei sondaggi non scollava dal 25% (che è quello che poi ha preso !!) ...., restare al chiuso del fortino di via Nazzareno era votarsi alla conduzione collegiale del partito con i soliti nomi (D'Alema, Bindi, Veltroni, Marini, Letta )... Maglio accettare le Primarie però farle belle chiuse, prevalentemente identitarie, ostacolare in ogni modo possibile il voto generale (come era sempre stato ), in modo da osteggiare i votanti di Renzi .
La vittoria era certa e con tanti benefit che regolarmente sono scattati. Anche oggi, che in tanti dicono che con Renzi ci sarebbe stato un CENTRO SINISTRA VERO, e non la solita Sinistra statalista e tassaiola, che avrebbe sconfitto una volta per tutte il Cavaliere (che infatti NON si sarebbe candidato contro il sindaco di Firenze ) e vinto le elezioni con ben più del 30% risicatissimo conquistato dalla coalizione di Bersani, quest'ultimo può legittimamente dire : "oh ragassi, io ho fatto le primarie, più di questo...".
Nel caos che ne è uscito, assistiamo a questo penosissimo sforzo della sinistra PD di abbracciare i grillini dicendo loro : siamo fratelli !! vogliamo le stesse cose...in primo luogo la testa di Berlusconi....
I Vaffa ricevuti sono tanti ma loro non deflettono... sanno che la carne è debole e che alla fine quello del M5S è un pianeta variegato e disorganizzato e un po' di giuda potrebbero raccattarli. Certo, c'è Grillo, che ricorda ogni giorno che per lui il PD è solo un PDmeno ELLE , che Berlusconi e Bersani fanno parte della stessa casta.... Del resto, gli acerrimi alleati , come giustamente li ha definiti Verderami sul Corsera, non sono stati uniti e compatti nel difendere sotto il governo Monti tutti i privilegi dei partiti ? Disponibilità a parole a "tagliarsi le unghie" avoglia !! Ma nei fatti ? Mentre il governo dei tecnici doveva badare a fare riforme di tipo economico strutturale ( e sappiamo com'è andata....tasse a go go, e l'unica cosa dolorosa ma abbastanza valida è stata la conclusione della riforma previdenziale, che infatti il Grillo corteggiato da Bersani vuole ABOLIRE ) , i partiti che garantivano la maggioranza dovevano fare poche cose ma importanti, le stesse di cui si riempiono la bocca ora : dimezzare il numero dei parlamentari, abrogare il bicameralismo perfetto, ridurre drasticamente appannaggi e privilegi dei politici, dimagrire fortemente la bestia politica iniziando dal rimborso elettorale...
Visto nulla di tutto questo ?? Non parliamo della Legge Elettorale, che B&B (Bersani e Berlusconi), hanno di fatto difeso strenuamente, ognuno con qualche ragione : il primo, con nemmeno il 30%, si ritrova con 100 deputati in più alla Camera che gridano vendetta al principio di rappresentanza democratica, il secondo ha reso impossibile la maggioranza al Senato...
Proprio incentrando la sua analisi sulla SCUSA del problema della legge elettorale, scrive oggi da par suo Luca Ricolfi .
Un articolo eccezionale, come spesso quelli del professore di scienza politica e sociologia, che esamina a volo d'aquila tutte le problematiche del post voto e ricorda che sicuramente il Porcellum  NON è una buona legge elettorale del resto, nomen omen)   ma NON per i motivi che Bersani dice. Lui di fondo si lamenta perché avrebbe voluto che col voto del 25% degli italiani aventi diritto, fosse stato possibile al Senato quello che era avvenuto alla Camera : la maggioranza assoluta con il quarto dei consensi !
Tutto qui. Roba che se fosse avvenuto l'inverso, e c'è mancato un SOFFIO (appena 140.000 voti, lo 0,4%) questo risultato lo otteneva Berlusconi e sai allora gli strilli !!!!
Io sono abituato, a 50 anni, alla spregiudicatezza dei politici, però confesso che Bersani è una delusione. Lo pensavo più "per bene". Allora molto meglio l'intelligenza arrogante ma autenticamente politica di D'Alema.
Bellissima la vignetta che ho trovato sulla rete a proposito di una nuova legge elettorale : essenziale nello sceglierla è stabilire CONTRO CHI !
Buona Lettura


Non basta una legge elettorale


LUCA RICOLFI
La politica è in crisi, sentiamo ripetere. E certo lo è, a giudicare dai risultati degli ultimi vent’anni: il Paese è allo sbando, molti politici sono corrotti, non si riesce a formare un governo. Quello che forse è meno evidente è che anche i rimedi che si stanno sperimentando non sono la soluzione, ma sono parte integrante della malattia. 
La politica si sta comportando come una squadra di calcio in crisi che, per superare la crisi, cercasse di vincere le partite a tavolino, o condizionare gli arbitri, o accusare gli avversari di doping, anziché allenarsi di più e meglio, impegnarsi a fondo in partita, o cambiare qualche giocatore (e magari anche l’allenatore). È paradossale, ma la politica non sembra rendersi conto che i problemi che deve affrontare sono innanzitutto di natura politica, non di altro genere. E come tali andrebbero risolti sul campo, non invocando demiurghi e agenti esterni. 

E invece è proprio questo che sta succedendo. La politica non sa risolvere i propri problemi politicamente, e allora ricorre continuamente a supplenti e surrogati. C’è un problema di privilegi e di costi della politica?  
Ed ecco che scatta la gara a chi si riduce di più lo stipendio: l’etica viene chiamata a sostituire la politica. 
C’è un uomo politico che avvelena la competizione fra destra e sinistra ma prende un sacco di voti? Ed ecco che scattano tutte le armi improprie disponibili: leggi nuove di zecca per impedire la ricandidatura, pressioni sulla magistratura perché reinterpreti una legge esistente, che «se ben interpretata» potrebbe mettere fuori gioco il politico che non si riesce a sconfiggere sul campo (una delle due manifestazioni di ieri a Roma aveva precisamente questo scopo, mentre l’altra – in modo specularmente aberrante – aveva lo scopo di difenderlo dalla magistratura). La legge, che dovrebbe semplicemente essere rispettata da tutti, viene chiamata a risolvere un problema politico che non si è stati capaci di risolvere con armi proprie, ossia con la sola forza della politica, pur avendone tutta la possibilità: se il Pd avesse candidato Renzi il politico della discordia sarebbe fuori giuoco, e noi non staremmo ancora qui a sfogliare la margherita delle alleanze (m’ama? non m’ama? Bersani non l’ha ancora capito che Grillo non lo ama?).  

Ma il caso più interessante è quello della legge elettorale. Qui non solo nella testa dei politici, ma anche in quella degli elettori, si è installata una curiosa credenza. Dato che nessuno riesce a vincere le elezioni, dato che a un mese dal voto non si sa ancora chi sarà il premier, dato che in Parlamento non esiste alcuna maggioranza in grado di sorreggere un governo, allora si è portati a credere che la colpa sia della legge elettorale. Ma è una grandiosa bestialità. Le leggi elettorali possono essere più o meno buone, più o meno adatte a un Paese, più o meno scandalose, ma da sole non possono risolvere i problemi la cui natura è essenzialmente politica.  
Se per quasi mezzo secolo in Italia non c’è stata alternanza fra destra e sinistra non è dipeso dalla legge elettorale proporzionale ma da due fattori genuinamente politici: la divisione del mondo in due blocchi, la mancata evoluzione del Partito comunista. Tanto è vero che i socialdemocratici tedeschi, che le loro scelte riformiste le avevano fatte già nel 1959 a Bad Godesberg (32 anni prima del Pci), non hanno dovuto aspettare la caduta del muro di Berlino per andare al governo, e lo hanno fatto con una legge di impianto prevalentemente proporzionale. L’alternanza al governo fra destra e sinistra, o fra conservatori e progressisti, è un frutto della politica, non della legge elettorale. 

Così oggi in Italia è del tutto fuorviante pensare che possa essere una nuova legge elettorale a tirarci fuori dalle secche in cui la politica si è andata a cacciare. Se le elezioni non riescono a esprimere una maggioranza e il Parlamento non riesce ad esprimere un governo è per due precise ragioni, entrambe di natura politica. La prima è che il nostro sistema politico è improvvisamente divenuto tripolare, come nel 1992-1993 (subito prima della discesa in campo di Berlusconi), quando l’Italia per una breve stagione assunse un assetto tripolare, con la Lega egemone al Nord, il Pci al centro e la Dc al Sud. E i sistemi tripolari non sono immuni al «paradosso di Condorcet»: può succedere che una maggioranza preferisca A a B, un’altra B a C, ma che vi sia anche una maggioranza che preferisce C ad A. Mettete, nell’ordine in cui volete, Bersani, Berlusconi e Grillo al posto di A, B, C, e vedrete in che bel pasticcio potremmo esserci cacciati. La seconda ragione è che Bersani e Grillo, ossia i due semi-vincitori delle elezioni, pensano solo a conquistare (o riconquistare) voti, il primo puntando sull’antiberlusconismo (un’idea veramente nuova e originale, come si addice a un «governo del cambiamento»), il secondo scommettendo sulla nascita di un governo Pd-Pdl così abominevole da consegnare il 51% (pardon: il 100%) dei consensi al Movimento Cinque Stelle. 

Pensare che da un simile ginepraio possa tirarci fuori una legge elettorale è molto ingenuo. Certo, l’orrido Porcellum va cambiato, e alla svelta (io avrei anche una proposta: chiediamo a Giovanni Sartori, il nostro studioso di sistemi elettorali più illustre, di scrivere lui una legge sensata). Ma nessuna legge elettorale può produrre, di per sé, quel che solo la politica può darci, ossia un governo che abbia il consenso necessario per governare. Se tornassimo al proporzionale, cadrebbe la finzione attuale del vincitore (chi ottiene il premio di maggioranza), ma comunque dovremmo assistere ai medesimi estenuanti negoziati di oggi. Se sopprimessimo il Senato e mantenessimo l’attuale premio di maggioranza alla Camera, assisteremmo alla nascita di governi che hanno il 54% dei seggi in Parlamento e il 25% dei consensi nel Paese (tenuto conto del non voto, è questo il consenso reale di cui godono oggi Bersani-Berlusconi-Grillo). Se adottassimo il doppio turno alla francese, che tanto piace al Pd, dovremmo prepararci ad assistere al paradosso dei sistemi tripolari: il vincitore del primo turno perde al ballottaggio, perché il terzo arrivato si allea con il secondo. Spieghiamolo con due esempi: nelle regioni rosse vanno al ballottaggio Pd e Grillo, ma il Pdl escluso si vendica votando Grillo. Nelle regioni bianche vanno al ballottaggio Pdl e Grillo, ma il Pd escluso si vendica votando Grillo. Insomma, vince sempre Grillo, anche se Pd e Pdl hanno il doppio dei suoi voti. 

Per questo, pur convinto che le regole del gioco vadano rinnovate, e vadano rinnovate nel senso di una maggiore efficienza – una sola Camera, meno deputati, più potere al premier, regolamenti parlamentari snelli – vedo con qualche perplessità l’attuale tentativo di Bersani di ottenere la benevolenza del Pdl con una mera intesa sulle regole. Di regole istituzionali meno paralizzanti c’è sicuramente bisogno. Di una nuova legge elettorale pure. Ma le regole servono per governare, e governare significa affrontare tutti gli altri problemi, ossia lavoro, tasse, stato sociale. Di un accordo sulle regole che lasci tutto il resto come prima, con una sinistra e una destra che si odiano, e odiandosi paralizzano qualsiasi governo, non si sente proprio il bisogno.  



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