venerdì 5 aprile 2013

LA SCISSIONE DEL PD E' COSA POSSIBILE ? E SARà DI SINISTRA O DI DESTRA ?


Credo sia la prima volta che mi capita leggendo l'analisi di Luca Ricolfi (sulla Stampa di oggi) , in cui non ne condivido l'essenza. Il fine opinionista dice molte cose giuste, parlando del PD, di Renzi, Bersani facendo accostamenti con la classe dirigente di ieri, in testa Berlinguer, evidenziando le macroscopiche differenze.
Ma il suo pronostico che il PD finirà per scindersi non lo condivido (anche se sarei felice della diaspora Renziana).
A me da tempo è venuto un sospetto che ho già avuto modo di esporre. Ricolfi , come molti, è assai critico di Bersani e se ne comprendono i motivi. E' un intellettuale di sinistra NON comunista o post (come lo è invee uno alla Asor Rosa, per fare un nome comprensibile a tutti ), che immagino abbia guardato con grande speranza   la nascita del "partito nuovo" che doveva essere il PD, un partito riformista all'americana. Quel partito, nato dalla fusione dei DS coi cattolici progressisti della Margherita, prese il 33% dei voti nel 2008, con il vento del fallimento del governo Prodi contro. La versione regressiva di Bersani, dato per favoritissimo nel febbraio 2013,  ha preso il 25% e perso 3 milioni e mezzo di voti. Occhetto, dopo la batosta del 1994, scomparve dalla scena politica che conta.
D'Alema si dimise da Presidente del Consiglio dopo aver preso le elezioni regionali, e non era certo obbligato, anticipando, sia pur di poco, la fine della legislatura e non presentandosi alla sfida con Berlusconi nel 2001. Veltroni lo fece dopo l'onorevolissima sconfitta del 2008, costretto dai malpancisti di sinistra del partito che infatti poi lo conquistarono.
Bersani si attacca alla corruzione dei senatori grillini per sfruttare una maggioranza alla Camera garantitagli solo dal disprezzatissimo ma salvifico Porcellum...Non un granché....
Come dare torto a Ricolfi ?
Però c'è un metodo in quella follia, parlando sempre del compagno segretario. Lui è debole, ma gli altri lo sono di più. E lui intende sfruttare questa debolezza. Al Senato servono 160 senatori, e lui ne ha 120, compresi quelli di SEL...gliene mancano una quarantina. Tanti. Però dalla sua ha che alla Camera non c'è nessuna maggioranza possibile senza il PD, quindi l'alternativa alla sua chiusura ad un governo col PDL sono solo le elezioni. E infatti Renzi questo dice. MA Bersani ha un asso, il solito, che è l'ostilità umana dei peones di perdere la poltrona di onorevole......Specie poi i girllini !!! Quelli che hanno già manifestato il loro possibilismo al PD si sono giocati tutto !! Se le camere vengono sciolte, la loro avventura politica muore in culla. Quanti sono ? Tanti credo....secondo me potrebbero rivelarsi anche la metà dell'intero gruppo senatoriale (53), il che la dice lunga sulla solidità e coerenza del M5S. A quel punto mancherebbero un'altra decina, poco più, di voti.
E sia i montiani che la Lega di tornare al voto non hanno nessunissima voglia.
Per cui la tattica di Bersani è scoperta : aspettare che Napolitano sgombri il Quirinale, insediare un Presidente amico che gli consenta di andare in Parlamento e ottenere il varo del suo governo, sul programma sotteso ma unico reale :   tutto meno che il voto, e poi Dio vede e provvede ...
Perché di questo poi si parlerebbe...di andare all'avventura !  Ottenuta una qualche forma di fiducia, poi si tratterebbe di governare, e fatte le leggi anti casta e quelle anti Berlusconi, cosa legifereranno in comune quelle forze ? Un'ultima cosa...Berlusconi, grazie allo Scilipotismo (un modo più dispregiativo per ribattezzare il trasformismo politico, sempre stato in voga nel nostro paese di banderuole ) avrebbe retto fino al 2013....Non lo ha abbattuto il Parlamento, ma l'Europa e lo Spread.
Sarà quello lo scoglio del compagno segretario....perché quando i soldi NON stanno in casa, e bisogna andarli a prendere FUORI, i giochini politici che tanto piacciono ai politici italiani hanno il fiato corto...
E poi, gli "ateniesi" di Renzi che faranno, cosa voteranno ?
Insomma, se fosse una fiction e non la (drammatica) realtà, sarebbe pure appassionante...
Vi lascio al bravo Ricolfi, segnalando in particolare le belle righe finali dove si biasima la politica basata sul disprezzo dell'altro...
Buona Lettura


La sfida sull’onore del Pd


LUCA RICOLFI
E’ da un po’ di tempo che me lo chiedo: la scissione del Pd avverrà a destra o a sinistra?  

Sì, perché fino a ieri davo abbastanza per scontato che una scissione ci sarebbe stata. Vista la disastrosa conduzione di Bersani, vista la cocciutaggine del gruppo dirigente.  

E vista la determinazione dei renziani a dare battaglia, riuscivo a immaginare solo due scenari.  
Scenario 1 (scissione «a sinistra»): il Pd volta pagina, Renzi conquista il partito, gli irriducibili fondano un partito a sinistra del Pd (Rifondazione democratica?), magari con Vendola e gli avanzi della lista Ingroia. 

Scenario 2 (scissione «a destra»): il Pd si compatta intorno a Bersani, non concede le primarie a Renzi, e induce il sindaco di Firenze a fare una lista propria. 

Non tutti se ne ricordano, ma due scissioni del genere sono già avvenute negli anni scorsi, con esiti disastrosi per gli scissionisti. Nel 2008, erano stati gli irriducibili dei Ds (autodefiniti SD, ovvero Sinistra Democratica) a tentare l’avventura con la lista Arcobaleno, nel 2009 era stato Rutelli a fare l’irriducibile, con la mai decollata Alleanza per l’Italia. Molti indizi, a partire dai sondaggi, fanno ritenere che oggi le cose andrebbero diversamente: il Pd è così diviso che c’è spazio sia per una robusta scissione a sinistra, sia per una robusta scissione a destra. 

Da ieri, tuttavia, sono meno convinto che il Pd finirà per spaccarsi a metà come una mela. Ieri infatti è successo un fatto nuovo: Renzi ha rotto il silenzio che si era imposto e, in una intervista al Corriere della Sera, ha detto tutto (o quasi tutto) quello che pensa. Molte delle cose che Renzi ha detto non sono nuove. Ce n’è una, però, che – per il suo contenuto e per la forza con cui è stata detta – potrebbe produrre effetti importanti. Mi riferisco ai passaggi nei quali Renzi denuncia l’arroganza dei parlamentari grillini («un’arroganza che non si vedeva dai tempi della prima Repubblica») e solidarizza con Bersani, raccontando il proprio sconcerto di fronte all’incontro Pd-Movimento Cinque Stelle trasmesso in diretta streaming qualche giorno fa: «mi veniva da dire: Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così». 

Anch’io, che non sono certo un fan di Bersani, avevo provato una sensazione simile a quella di Renzi: un misto di sconcerto, di pena, di rabbia. Ho un’età che mi permette di ricordare molto bene che cos’erano i militanti del Pci negli anni ’70, cos’erano i dirigenti, cos’era il segretario del più grande partito comunista dell’Occidente. Il Pci aveva mille limiti (che la sinistra paga ancora oggi), ma di una cosa tutti noi nati prima del 1960 siamo assolutamente certi: Enrico Berlinguer non si sarebbe fatto umiliare così. Quel partito e il suo gruppo dirigente avevano una dignità, un orgoglio, una compostezza mi verrebbe da dire, che mai e poi mai avrebbero reso possibile quel che oggi accade. Non tanto il fatto che un comico e i suoi discepoli deridano, insultino, svillaneggino quotidianamente i rappresentanti del più grande partito della sinistra (questo non lo si può impedire), ma che quei medesimi dirigenti derisi e svillaneggiati porgano l’altra guancia, corteggino, lusinghino chi li disprezza così profondamente.  

No, questo con Berlinguer non sarebbe mai potuto succedere. Ed è curioso che a restituire l’onore al Pd, o quantomeno a provarci, non siano i pasdaran di Bersani, che sulle «radici» e sull’identità del partito avevano puntato tutte le loro carte, ma sia questo ragazzino bizzoso e un po’ strafottente, che però della politica pare avere un’idea alta. Un’idea secondo cui la parola data si mantiene, quel che si pensa lo si dice, gli avversari si battono in campo aperto, gli elettori – tutti gli elettori – meritano rispetto. Come la politica, appunto, che non può e non deve rinunciare alla propria dignità. 

Ecco perché dicevo che, dopo l’intervista di ieri, non escludo più che il Pd riesca a restare relativamente unito, e ci riesca proprio grazie a Renzi. Fino a ieri il sindaco di Firenze rappresentava solo la componente liberale e dialogante del Pd. Da oggi, Renzi sembra candidarsi alla guida del partito anche come colui che ne difende la dignità e le buone ragioni. E, a pensarci bene, è del tutto naturale che questa difesa venga proprio da lui, e non dalla vecchia guardia. Non solo perché la «fortezza Renzi» è così poco compromessa con il passato da risultare inespugnabile dal grillismo, ma perché Renzi è l’unico dirigente del Pd che ha capito fino in fondo quanto sia sbagliato, nonché autolesionistico, il disprezzo per l’avversario. Il trattamento che i grillini stanno riservando al Pd, fatto di derisione e disistima, è il medesimo che il Pd ha sempre riservato all’avversario di destra. E’ possibile che molti dirigenti del Pd non se ne siano ancora resi conto, o non se ne facciano una ragione, ma la realtà è che Grillo sta al Pd come il Pd sta al Pdl. Fuor di metafora matematica: per i grillini la classe dirigente del Pd è impresentabile, esattamente come per il Pd lo è quella del Pdl. L’umiliazione del Pd, accusato dal Movimento Cinque Stelle di ogni nefandezza, è una sorta di contrappasso per vent’anni di disprezzo verso gli avversari politici. 

Non è detto che Matteo Renzi riesca nell’impresa di restituire al Pd l’onore perduto, se non altro perché il passato prossimo di quel partito non è particolarmente onorevole. E tuttavia già sarebbe un grande risultato che il tentativo di Renzi sortisse almeno un effetto: quello di far comprendere a tutti, e innanzitutto al suo partito, che il disprezzo dell’avversario, la sua derisione e la sua umiliazione, sono solo il vecchio della politica, le scorie di un passato che speriamo non ritorni mai. 

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