Provocatorio ma stimolante l'articolo di Michele Ainis dopo che al voto di domenica il 40% degli elettori , a Roma quasi il 50 !, è rimasto a casa. Il dato preoccupa poco quelli di sinistra, che pure sono - dovrebbero essere - i principali sostenitori dello strumento essenziale della democrazia moderna : il voto. Anche coloro che ambiscono demagogicamente a impossibili forme di democrazia diretta, al posto di quella rappresentativa esistente, non escludono il voto anzi lo ampliano, immaginando una popolazione che ogni volta viene chiamata ad esprimersi e quindi a legiferare su tutto.
Invece quelli del PD hanno scoperto che se il voto si contrae, e accade anche per loro (Marino ha preso almeno 200.000 voti in meno rispetto a Rutelli nel 2008, che poi PERSE...) , la cosa punisce maggiormente gli altri e col sistema elettorale dei comuni ala fine si vince lo stesso.
Che è l'unica cosa che conta.
Infatti Renzi vuole il Sindaco d'Italia e Bersani rimpiange il sistema francese, dove Hollande, con meno del 30% dei voti fa il Presidente.
Personalmente sono favorevole al presidenzialismo, e dopo quello che si è visto alle ultime elezioni del Capo dello Stato, con i militanti a fare pressione in piazza perché i parlamentari votassero per quel nome o per qull'altro, con Napolitano che da due anni forza alquanto il suo ruolo, mi sembra che i tempi siano più che maturi. Se poi ho bisogno di una controprova, mi basta sapere che la Bindi la pensa l'opposto per essere certo di avere ragione.
Ciò posto, non mi pare un buon segno di salute delle nostre istituzioni se la maggior parte delle persone si distacca sempre più dalla politica e/o non trova nessun candidato in cui riconoscersi. Sicuramente in questo delle colpe ce le abbiamo anche noi cittadini, sempre più con la pretesa del "meglio", e di una identità tra le nostre idee, concezioni, e quelle di chi ci doverebbe rappresentare.
Tornando ad Ainis, cosa dice il noto costituzionalista, notista di Corriere ed Espresso ?
Diminuiamo i poteri degli eletti, o la durata del loro mandato !
Marino diviene Sindaco con metà dei romani che non hanno partecipato al voto e uno su 5 che lo ha prescelto ? Dimezzato il tempo della carica : 2 anni e mezzo anziché 5 !
E così si potrebbe fare per tutte le altre cariche elettorali.
E' evidente che si tratti di un paradosso, che però trovo positivo perché riporta alla luce un problema serio.
Del resto questa è la critica più frequente che si fa ai nostri politici : essere schiacciati sul presente, avere imperativo il concetto di sopravvivenza (la propria ovviamente) piuttosto che quello di futuro, progetto, cambiamento.
Certo, se li senti parlare, non è così. Ma i fatti dicono altro.
Buona Lettura
POLITICA E ASTENSIONISMO
Partiti, istituzioni e cittadini
Le vuote indifferenze gemelle
Il sentimento prevalente di queste ultime elezioni? Un non sentimento, un torpore che Cechov definiva «la paralisi dell'anima»: l'indifferenza. Quando a Roma un elettore su due non va a votare, quando in Italia l'astensionismo si gonfia a ogni tornata elettorale come un fiume in piena, significa che il popolo ha ormai divorziato dal Palazzo. Significa che le istituzioni sono rimaste orfane.
D'altronde, se moglie e marito litigano, prima o poi faranno pace. Ma se non si parlano, se non si guardano più nemmeno in faccia, allora in quel matrimonio non c'è rimasto nulla da salvare.
E un consenso dimezzato dovrebbe quindi coniugarsi a un potere dimezzato.
Sicché azzardo, e al contempo apro l'ombrello per ripararmi dagli improperi che mi pioveranno addosso. Azzardo un nesso fra la legittimazione del potere e il suo spessore: in termini di durata, di posti, e perché no? di competenze. In sintesi: alle comunali ha votato la metà degli elettori? Vuol dire che quel sindaco, anziché cinque anni, rimarrà in carica due anni e mezzo. Alle regionali si registra un 40 per cento d'astenuti? E allora i consiglieri, invece di 100, questa volta saranno 60. C'è un astensionismo altrettanto consistente alle politiche? Il Parlamento potrà pur sempre scrivere le leggi, ma non quelle di revisione costituzionale, perché una rappresentanza zoppa non può esprimere maggioranze qualificate.
D'accordo, è un paradosso; però è paradossale anche il tempo in cui viviamo. Dove la crisi del voto si combina con la crisi dei partiti, e quest'ultima con la crisi della delega, delle istituzioni rappresentative. Ma è possibile una democrazia senza partiti? Rovesciamo la domanda: è ancora possibile una democrazia con questi partiti? L'America è Obama, non il Partito democratico; in Italia non c'è Obama, ed è in crisi pure il Partito democratico. L'indifferenza, l'abbandono delle urne, viene da qui, da un vuoto divorante. E una soluzione dovremo pur trovarla: perché la democrazia è inclusiva, non può separarsi dal suo popolo.
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