La vicenda tormentata dei parlamentari ortotteri , con la querelle sulle espulsioni, quelli che se ne vanno nel gruppo misto - passi di transumanza...l'approdo è ALTRO - mi vede schierato dalla parte di Grillo. Le ragioni le ho spiegate in più post.
Io sono piuttosto d'accordo coi commenti che leggo e che evidenziano l'incredibile velocità della parabola grillina....Però aspetterei un secondo a mischiare la crisi del movimento con quella evidente dei parlamentari. Questi ultimi NON sono i 5 Stelle, NON li rappresentano. Questa è gente figlia del Porcellum e di votazioni in rete dove sono stati più i candidati che i voti ! Viceversa il movimento l'SWG lo dà, rilevamenti di lunedì scorso, a oltre il 18%, che sono sì 7 punti in meno rispetto a febbraio, e probabilmente scenderà ancora, ma oltre il quadruplo dei montiani , dei leghisti e di Sel...degli altri più piccoli nemmeno parlo. Insomma, non è da escludere che Grillo abbia pagato il troppo successo e quindi l'elezione di una massa di gente, per lo più sconosciuta, e che fa secondo la propria testa (e convenienza). Magari questa dieta feroce riporterà il movimento ad una sua dimensione protestataria più omogenea nelle idee ( non è che sono tutte bislacche) e anche compatta politicamente. Quanto alle epurazioni...in assoluto sono odiose, però nel caso degli scilipotini ortotteri farei un'eccezione...
il movimento ha preso 8 milioni
di voti ! Molti sono di esclusiva protesta, il famoso VAFFA, ma io penso che
qualche milione di persone alle idee di Grillo (magari non proprio tutte) ci credono
seriamente. E questi milioni, uno o due che siano, sempre tanti, NON sono
rappresentati dai parlamentari che siedono in Parlamento ma SOLO da Grillo. E'
questo il problema GRANDE e inedito che si è creato con il M5S : gli eletti
rappresentano solo se stessi. Dopodiché, che lo scilipotismo conseguente oggi
faccia comodo al PD come ieri ha fatto comodo al PDL è meramente un fatto. Così
come è un fatto risaputo è che quando una cosa viene strumentalizzata dal Cav è
immonda, quando fa comodo all'altra parte "se po' fa". Il Porcellum è
altro esempio di questa "coerenza".
So bene che s'invoca l'art. 67 della Costituzione per ribadire la libertà del parlamentare e l'assenza di vincolo di mandato. A me andrebbe bene questa cosa se gli eletti avessero la
possibilità di revocarlo, il mandato, come in molti stati americani è previsto.
L'art. 67, di cui conosco le ottime intenzioni ottocentesche, sta producendo
cose pessime.
L'Istituto , di cui pure nel Camerlengo ho in passato parlato, si chiama RECALL, e lo descrive molto bene Rossella Aprea in un articolo (segnalatomi dalla preziosa amica Marta, che pure, nella vicenda, propende per gli eletti) postato sul sito CIVIC LAB, che si presenta come laboratorio di idee per la cittadinanza attiva.
Io non condivido alle lettera l'articolo, però lo ritengo utile perché spiega in modo suffcientemente chiaro l'istituto, ne rappresenta pregi ma anche rischi. Insomma, uno strumento utile, ma come ogni strumento, va perfezionato(sicuramente, non è possibile che il recall possa essere utilizzato per eleggere un candidato di ALTRO partito, come leggo invece successo in California ! ) e comunque accettato il rapporto costi benefici. Non c'è MAI una soluzione perfetta. Il deprecato porcellum voleva eliminare la pratica del voto di scambio e la mercificazione delle preferenze , che continua ad accadere nelle elezioni amministrative. Però il sistema dei nominati dal partito direi che è PEGGIO.
Comunque da leggere
In inglese si chiama “recall”: la revoca degli eletti. L’atto che fa da contraltare alle elezioni politiche. E’ uno strumento mediante il quale gli elettori possono rimuovere un funzionario pubblico prima della scadenza del mandato, presumibilmente a causa della disapprovazione delle politiche da lui perseguite.
Si tratta di un istituto tipicamente americano (ma non esclusivamente), nato all’inizio del secolo scorso per contrastare l’eccessiva arrendevolezza degli eletti alle lobby organizzate e oggi presente praticamente in tutti gli stati degli USA.
Il recall si presenta come l’esaltazione del principio democratico di rappresentatività tra elettori ed eletti che non dovrebbe potersi esprimere solo nel momento dell’elezione, ma anche durante l’esercizio del mandato da parte degli elettori con l’esercizio da parte di questi ultimi di un potere di controllo e di sanzione di cui il recall costituisce la massima espressione.
Sconosciuto in Italia, il recall, oltre che negli Stati Uniti, dove opera soprattutto a livello locale, è utilizzato anche in altri paesi di cultura anglosassone come il Canada. Se ne registrano però diverse applicazioni in altre parti del mondo e in altre epoche (in Venezuela e in Bolivia per esempio).
La diffusione della revoca nei Paesi di lingua anglosassone è stata possibile in virtù dell’assenza, in Costituzione, del divieto di mandato imperativo, presente nella maggioranza delle Costituzioni europee e anche in quella italiana (art. 67).
Il senso della revoca
La democrazia secondo Bernard Manin, autore di Principi del governo rappresentativo (2011) ha vissuto tre stagioni di rappresentanza politica:
1- il parlamentarismo
2- la democrazia dei partiti
3- la democrazia del pubblico.
Il parlamentarismo ottocentesco di stampo aristocratico era espressione di una finta democrazia, in cui solo i notabili sedevano in parlamento con mandato libero, cioè senza dover rendere conto agli elettori del proprio operato.
La democrazia dei partiti, figlia del suffragio universale e della Grande guerra, ha visto la luce con i primi partiti di massa e la responsabilità degli eletti si spostava dagli elettori verso il partito e la sua ideologia.
La democrazia del pubblico è quella in cui viviamo oggi, i cui connotati risultano ancora imprecisi, anche se si differenzia rispetto alle forme precedenti. La personalizzazione del potere ne costituisce il fulcro e l’elemento fiduciario diventa essenziale, ridimensionando l’importanza dei partiti e dei loro programmi. I media hanno contribuito in maniera rilevante all’irruzione delle varie personalità politiche nella vita pubblica.
Il rapporto sempre più complicato tra elettori ed eletti e la carenza di fiducia nei confronti dei governanti nelle democrazie avanzate spiegano l‘attualità del recall e la rinascita di interesse per la sua utilizzazione. Diventerebbe uno strumento nelle mani dei cittadini per richiamare i propri rappresentanti al rispetto del patto fiduciario stipulato al momento dell’elezione.
Il recall potrebbe contribuire probabilmente ad una democrazia più “democratica”, anche se con il rischio di renderla meno partecipativa. Infatti, c’è da tener conto del peso che hanno assunto oggi gli organi d’informazione che possono, nelle mani sbagliate, mettere in piedi campagne diffamatorie nei confronti di politici sgraditi, oppure esaltarne altri rivestendoli di un credito che non hanno o che non meritano.
È ciò che è accaduto negli USA, per esempio, ai danni di un governatore democratico della California e a favore di chi ne prese il posto, il repubblicano Arnold Schwarzenegger.
Da notare che in questo caso il recall è stato attivato dalla forza politica di opposizione, piuttosto che da gruppi organizzati della cittadinanza attiva e il successo è stato possibile grazie alla mobilitazione di ingenti risorse economiche.
Un recall in Italia?
Di questi rischi bisogna tenere conto ragionando sull’applicazione della revoca alla realtà italiana. Il primo problema di natura costituzionale è, però, il principio del libero mandato parlamentare (art. 67), che indubbiamente sembrerebbe escludere l’utilizzo del recall a tutti i livelli. Tuttavia, pur trattandosi di un meccanismo estraneo alla nostra storia costituzionale, potrebbe costituire un istituto di controllo tutt’altro che inutile a disposizione dei cittadini.
Ma a qualche condizione. Dovrebbe, innanzitutto, essere attivabile solo dai governati nei confronti dei governanti, un’arma a disposizione della società civile e non utilizzato (magari strumentalmente) da un gruppo politico contro gli organi elettivi.
Dovrebbe, in realtà, rappresentare un rimedio di ultima istanza, una sorta di extrema ratio da attivare nei casi di particolare gravità, in modo da evitare un uso distorto che possa inquinare ulteriormente il clima politico del nostro Paese.
Dovrebbe, infine, essere valutato non tanto per la sua efficacia formale quanto per il suo effetto di controllo sui governanti perché potrebbe svolgere una funzione sanzionatoria nei confronti dei governanti indegni, ma allo stesso tempo aprire nuovi e quanto mai opportuni canali di dialogo tra il ceto politico e l’opinione pubblica, di cui oggi nel nostro Paese si sente sempre più urgente bisogno. Inoltre, la possibilità di far valere la propria opinione non solo al momento dell’elezione potrebbe indurre i cittadini a comportamenti più partecipativi e più vigili, con il conseguente miglioramento del processo democratico.
Ovviamente sarebbe meglio se il recall fosse la parte finale di un’attività di controllo da parte dei cittadini resa stabile e che dovrebbe cominciare dalla partecipazione alle decisioni politiche.
Rossella Aprea
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