venerdì 21 giugno 2013

LA DECISIONE DELLA CONSULTA E IL NODO IRRISOLTO


L'indomani della sentenza della Consulta, mi ero limitato a dire che si poteva senz'altro concordare con i giudici della Legge che nel difendere la scelta del Tribunale di Milano di negare il legittimo impedimento al Presidente del Consiglio impegnato in una seduta del Consiglio dei Ministri, avevano sottolineato come tale convocazione fosse avvenuto in modo sospetto,  proprio in occasione dell'udienza a suo tempo concordemente prescelta   per evitare un simile problema. Però la Corte Costituzionale non è un giudice di questioni particolari, ma di principi generali. IL timore quindi è che magari nella circostanza si sia punita una condotta capziosa e strumentale - quella del Cavaliere - stabilendo però un precedente pericoloso : può essere mai un Tribunale a stabilire se il governo si è riunito d'urgenza in modo lecito o meno ?
Direi di no. Al di là di questo, osservavo invidioso la Francia dove questo problema non ce l'hanno perché semplicemente gli uomini dell'esecutivo sono sostanzialmente improcessabili per tutto il tempo che dura il loro mandato. Quando questo scade, la giustizia può avviare il suo corso. E' un fatto di equilibri.
Mi ha fatto quindi piacere oggi leggere Davide Giacalone che aveva a sua volta scritto sul problema, esprimendo tesi che penso di poter dire similari.
Aggiunge, correttamente a mio avviso, il politologo che non ne usciamo da questa situazione se non con un colpo d'ala oggi forse possibile solo al Capo dello Stato. Ha ragione, ma temo che il momento , se mai c'è stato, sia passato. L'avrebbe potuto fare Napolitano quando ancora c'era Monti e il Cavaliere era defilato , apparentemente marginalizzato anche dai suoi. Quello sarebbe stato il momento ideale. Certo, gli strilli ci sarebbero stati lo stesso, però sarebbe passata. Com'era successo per Andreotti.
Oggi, in questa situazione di tensione continua, con i processi e le condanne che cominciano a susseguirsi, la vedo pressoché impossibile.
Buona Lettura


 

Dobbiamo uscirne

La sentenza con cui la Corte costituzionale respinge il conflitto d’attribuzione, non riconoscendo al presidente del Consiglio il diritto di fissare la data del Consiglio dei ministri e con quella eccepire legittimo impedimento in un procedimento penale, pone un problema a tutti. Basta capirne i contorni.
Non ho creduto alla tesi (prima di ieri) più in voga: il governo delle larghe intese, la lealtà istituzionale e l’accordo con il Quirinale propiziano un clima e una sentenza favorevole al ricorrente. Non solo considero inaffidabile quel genere di meteorologia, non solo vi erano precedenti che deponevano in senso opposto, ma i sostenitori di quella tesi non hanno tenuto conto del fatto che nessuno controlla nulla. Vuoi, alatamente, perché ci sono cose che non devono essere controllabili. Vuoi, più prosaicamente, perché il sistema s’è sbullonato, sicché ciascuno va per i fatti propri. Nobili o ignobili che siano.
La sentenza dice che nel caso di quello specifico Consiglio dei ministri l’imputato non ne spiegò la necessità, come altre volte aveva fatto. L’idea che il capo del governo debba spiegare a un giudice il perché convoca il massimo organo esecutivo ha del surreale. Ciò non toglie che, nel reale, non si sfugge all’impressione che fu convocato per impedire l’udienza.
Cancelliamo l’ipocrisia e veniamo al problema collettivo: non è pensabile che la forza elettorale sia giocata contro la giustizia, come non è pensabile che la giustizia sia giocata contro la forza elettorale. Succedono, da anni, entrambe le cose. La sorte del singolo imputato è rilevante, ma quella dell’Italia imballata più ancora.
Dobbiamo uscirne. Non ci riusciremo né in tribunale né nelle urne. L’uscita di sicurezza prevede che nessuno trionfi e nessuno tracolli. Dal punto di vista istituzionale si deve ridisegnare mappa e gerarchia dei poteri. L’improcessabilità in capo al Quirinale lo ha trasformato in potere politico, mentre la processabilità dei governanti li ha trasformati in ostaggi. L’indipendenza della magistratura è un bene, la separatezza autoreferenziale un male. Dal punto di vista immediato, al di là delle dichiarazioni mendaci, o si sottrae Berlusconi alla sorte giudiziaria e alla competizione elettorale, oppure si sceglie fra immobilismo e crisi di governo. La palla è al Colle.

2 commenti:

  1. Sottrarre Berlusconi alla competizione elettorale è esattamente quello che vogliono, mutatis mutandis i magistrati. In realtà qui non se ne esce perché c'è un partito giustizialista, purtroppo non piccolo, nel parlamento e nel paese che non concepisce la politica come espressione della sovranità popolare, ma che vorrebbe anche in Italia un sistema alla iraniana, con la casta dei magistrati nel ruolo dei guardiani della rivoluzione e di suprema guida del paese.
    Se non sapremo resistere, anche con cambiamenti costituzionali, a questa tendenza, continueremo come abbiamo continuato negli ultimi venti anni.

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    1. Gentile Franco, l'idea di Giacalone, non esplicitata, ma espressa più chiaramente in precedenti articoli, è l'elezione di Berlusconi come Senatore a vita. Fu la mossa di Cossiga con Andreotti (e non è che il grande mandarino italiano avesse suscitato poche polemiche, subito accuse non gravi ecc. ) . Certo, Napolitano , ammesso che abbia mai concepito un'idea simile, vorrebbe potersi fidare che ottenuto uno scudo del genere, pressoché invalicabile , Berlusconi accetti di fare un sostanzioso passo di lato, e veramente si metta a fare il padre nobile... Non accadrà, ma uno scenario del genere lo vedo alla fine il minore dei mali. Il centrodestra, in ogni caso, deve trovare un'alternativa valida ad un leader che, comunque lo si giudichi, ha 76 anni (e a settembre saranno 77). Insomma, non un giovanotto.

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