Il Camerlengo ha già parlato di Giovanni Taurasi , curatore e autore del Blog QUINTO STATO, che propone una sorte di rassegna stampa progressista, oltre a post dello stesso Taurasi.
Il quale fa politica attiva, oggi nel PD, in passato coi partiti che ne sono i progenitori.
Rappresenta , a mio avviso, il militante tipico del vecchio PCI : impegnato, critico ma alla fine obbediente.
E così si è fatto la traversata da PCI a PDS, DS e ora PD non tacendo ma obbedendo, perché convinto che comunque, al netto degli errori di percorso, è da quella parte che può venire il tipo di società che lui auspica.
E si adopera per questo. Lodevole, al di là delle diverse convinzioni.
Alle ultime primarie ha votato Bersani, ancorché non sia mai stato un demonizzatore di Renzi, anzi. E quindi oggi ha meno difficoltà di altri a guardare veramente e sinceramente al Sindaco di Firenze come al possibile futuro leader di un Partito finalmente vincente anche alle politiche.
Intanto, si gode il successo a questo test amministrativo, ma con molto più giudizio di quanto visto in genere in giro.
Ma preferisco lasciare la parola a lui, sperando che, venendo da un loro compagno, certe riflessioni e analisi siano lette senza il pregiudizio che scontano le mie, di sponda opposta.
Buona Lettura
“Il PD tra Catalano e Catoblepa”
Il quadro politico attuale
assomiglia sempre più a un’opera di Jackson Pollock, tanto è difficile
definirne i contorni e tale è la confusione politica e lo sbandamento dei
diversi attori politici. Il PDL è allo sbando con forti nostalgie forzitaliote,
i parlamentari (pardon i cittadini) del M5S sono circondati a Pomezia con gli
scontrini in mano e sotto il giogo del loro padrone Grillo (un morto che
cammina, per dirla con le sue gentili parole), Monti desaparecido, l’UDC
ridotto al calcolo infinitesimale, gli ex AN che pensano a rifare l’MSI, la
sinistra radicale ad Aosta che non IngRoia il rospo, SEL scioccata per il voto
di febbraio, spiazzata dagli esiti successivi e isolata in una posizione di
testimonianza, il PD con un successo fragile alle amministrative che si regge
sugli insuccessi degli altri e su un alleato incerto, l’astensionismo, e con un
congresso che rischia di amplificarne le divisioni invece che accentuare le
ragioni dell’unità.
Tra i soggetti politici, oggettivamente, mi pare che nessuno
abbia in questo momento voglia di elezioni nazionali. E penso che non ne
abbiano nemmeno gli italiani che le diserterebbero in massa.
A parte il fatto che non consegnerebbero a nessuno la
vittoria, visto che abbiamo un sistema politico frammentato ed un sistema
elettorale che è di nome e di fatto una porcata.
Credo che lo status del Governo Letta, stante la situazione,
sia passato ormai da Governo Balneare a Governo non di legislatura ma almeno di
medio-lunga durata, destinato a oltrepassare sicuramente le elezioni europee e
amministrative del prossimo anno. Penso che questo sia interesse del Paese (per
le misure urgenti da affrontare), ma anche del PD (da oggi l’unico soggetto che
potrebbe staccare la spina, cosa che non ha più interesse Berlusoni a fare).
Non credo però sia interesse nemmeno del PD staccare la
spina del Governo Letta, anche se qualche personalismo congressuale potrebbe
spingerlo in questa direzione. In questo torno di tempo il PD ha solo un
interesse: governare la situazione difficile del Paese e insieme rifondarsi con
un congresso di rinnovamento nei contenuti (con proposte che parlino al Paese e
ai giovani vittime della crisi) e nei gruppi dirigenti (con un cambiamento e un
forte ringiovanimento della classe dirigente nazionale).
Abbiamo vinto le elezioni amministrative. O meglio, siamo
arrivati secondi, perché le ha vinte il partito dell’astensionismo. Tuttavia,
rispetto alle forze in campo, siamo certamente noi democratici i vincitori. Le
hanno vinte i candidati del PD e del centrosinistra, perciò in primo luogo a
loro vanno espresse le congratulazioni.
Bravi!
Ma le ha vinte anche il PD, che ha dimostrato di essere
qualcosa di più grande dei 101 parlamentari che nel segreto dell’urna hanno
fatto ciò che non avevano avuto il coraggio di sostenere apertamente
nell’assemblea nella quale si ‘decise’ di votare Prodi alla Presidenza della
Repubblica.
Ma non è con questa chiara vittoria che abbiamo risolto i
nostri problemi, che si ripresenteranno identici (e forse anche aggravati) se
non faremo un congresso vero, di forte rinnovamento nei contenuti programmatici
e nella classe dirigente nazionale, nel quale dovremo istruire percorsi di
partecipazione ampia e primarie aperte anche ai non iscritti (tanto più adesso
che lo scollamento tra politica e società ha raggiunto livelli altissimi).
Una vittoria che si basa sulla sconfitta degli altri e
sull’astensionismo è una vittoria fragile, che può trasformarsi presto in
sconfitta sociale e politica. Certo, avrebbe sostenuto Catalano se fosse ancora
tra noi, è meglio vincere le elezioni con molti astenuti che perdere le
elezioni con molti astenuti, ma per ricostruire il centrosinistra, insieme a
sostenitori ed iscritti del PD, dobbiamo rivolgerci nell’ordine a coloro che
non ci votano più, poi a coloro che non votano nessuno e infine a coloro che
non ci hanno mai votato.
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