ESISTE UN BALUARDO, OLTRE BERLUSCONI, CONTRO LA SINISTRA DELLE TASSE E DELLO STATO PADRE PADRONE ?
Molto
bello e con diverse riflessioni vere e stimolanti l'articolo di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera di oggi. Descrive lo sbigottimento e il panico del cerchio magico berlusconiano, all'idea che stavolta possa essere finita davvero, per il Capo e quindi anche per la sua corte. Preoccupazione per le proprie sorti personali, e non per quella parte maggioritaria degli italiani che avevano guardato a Berlusconi sia come balurdo contro la sinistra, e la concezione di Stato e società che la stessa legittimamente propone, sia come il portatore di una rivoluzione liberale. Sappiamo come questa parte non abbia trovato poi minima realizzazione, la prima però sì (anche se sono in molti a rilevare, giustamente, come le ricette economiche dei governi del Cavaliere non abbiano portato a nessun ridimensionamento dell'ingerenza e dei costi dello Stato, operando politiche alla fine non dissimili da quelle dei governi di centrosinistra).
Battista si chiede cosa sarà di questa massa di elettori...domanda legittima, che però sembra escludere aprioristicamente una risposta : potrebbero restare lì dove sono sempre stati in questi 20 anni (molti peraltro se ne sono andati,,,quasi la metà rispetto al 2008).
Ieri l'SWG ha riportato i sondaggi raccolti DOPO la condanna, che danno
il PDL e la coalizione di centro destra comunque prevalenti in caso di elezioni
anticipate. Magari è solo un colpa di coda, un riflesso di rabbia e di orgoglio
destinato a scemare a mente fredda...Oppure può essere che quelli non di
sinistra NON ci stanno a lasciar vincere gli ALTRI, specie in questo
modo... Berlusconi, su questo, ci ha sempre puntato moltissimo...Ancora
oggi, quei tanti che non vogliono più, tra coloro che lo hanno votato
in passato, essere governati dal cavaliere, restano ancor più ostili
all'idea di esserlo da quelli di sinistra. Non c'è più la paura del
comunismo e dell'URSS, ma di quello Stato asfissiante e tassaiolo fino
al soffocamento, avoglia !!
Comunque, da leggere il commento del bravissimo editorialista
"Dietro i volti attoniti del «cerchio magico» la disperata lotta per la salvezza del Capo"
Quelle facce smarrite, quelle espressioni stordite. La paura del
presente e del futuro. Le facce di un partito colpito a morte. Ma anche
di una corte frastornata che si è aggrappata alle sorti del Capo di cui è
emanazione, beneficiaria, «utilizzatrice finale». Le facce della resa
dei conti sempre rimandata. Dei naufraghi di una nave che sta andando a
picco ma che imbarcava acqua già da tanto tempo, molto prima della
sentenza che ha messo fuori gioco il leader indiscusso. Le facce dei
maggiorenti del Pdl che non sanno più cosa fare, cosa sperare, come
andare avanti. Più preoccupati di se stessi che dei milioni di italiani
che nel centrodestra si sono riconosciuti per vent’anni e che oggi si
sentono orfani, in balia di un nemico che li dileggia, li disprezza,
invoca una maramaldesca Piazzale Loreto per Berlusconi e per il suo
popolo, la messa al bando sul piano morale dei nemici appena umiliati e
inchiodati da una sentenza inappellabile. Facce postume di se stesse.
Facce egoiste.
L’istantanea del «cerchio magico» berlusconiano,
sgomento e frastornato dopo la sentenza della Cassazione, descrive
compiutamente il dramma del centrodestra italiano. Non aver distinto
tempestivamente le sorti personali del Capo da quelle di un centrodestra
che nei momenti di massima potenza elettorale ha raggiunto quasi la
metà dei votanti, ha provocato il collasso del primo agosto. Invece di
difendere una storia politica, il «cerchio magico» viene inghiottito
dalla catastrofe.
Che ne sarà dei milioni di italiani che hanno chiesto
uno Stato meno invadente e oppressivo, un fisco meno rapace, la difesa
del mercato libero e non asfissiato dai lacci e lacciuoli del mostro
burocratico e dirigista, la non umiliazione degli individui schiacciati
dai tentacoli dell’idolatria del collettivo? Che ne sarà di quella
«rivoluzione liberale» sempre promessa e poi nemmeno avviata, di quella
parte dell’Italia che non si riconosce nel discorso pubblico e nella
retorica della sinistra, refrattaria al «politicamente corretto» e che
in questi decenni è stata raffigurata come un’accolita di bruti, di
esseri eticamente inferiori, di schiavi della pubblicità? Dalle facce
della corte berlusconiana che usciva desolata e sconvolta dalla reggia
del Capo non traspariva nessuna preoccupazione per chi stava fuori del
«cerchio magico», una nomenclatura che risponde oramai a se stessa, uno
strato di oligarchi che non hanno mai osato in questi decenni nemmeno la
più blanda delle critiche al Capo onnipotente e infallibile. Ora
Berlusconi chiede ai suoi di svenarsi in una battaglia per la «riforma
della giustizia» che è la riproposizione integrale della coincidenza tra
i suoi destini e quelli del centrodestra. Ma c’è qualcosa di stonato,
di ossessivo e di ripetitivo che nessuna chiamata alle armi (elettorali)
potrà nascondere. Eppure il «mondo di ieri», come recitava il titolo di
uno straordinario libro di Stefan Zweig dedicato all’Impero
austro-ungarico travolto dalle tempeste della storia, si è sfaldato. È
tramontato nel tempo in cui un magistrato in toga ha comunicato in tv il
verdetto di condanna. Con l’annichilimento dei punti di riferimento
oramai cancellati, il mondo della solidità e della certezza si sgretola.
Quando tutti sapevano che il berlusconismo si era già avvitato in una
crisi mortale, il «cerchio magico» si è baloccato con l’idea di una
sostituzione così morbida e indolore da essere praticamente una
non-sostituzione. Una sostituzione magnanimamente concessa non è un
cambiamento, è il proseguimento di una logica cortigiana. Il cambiamento
richiede conflitti, divisioni vere, progetti che si scontrano. In un
mondo che fa della competizione un valore, non si è permesso che nemmeno
un barlume di competizione accendesse una gara tra idee diverse, un
salutare conflitto su come proseguire una storia anche senza il Capo che
quella storia ha indelebilmente plasmato. Paura di finire come il Pd,
avvitato nelle sue risse perenni e inconcludenti? È vero, l’esempio del
Pd non è di questi tempi molto persuasivo. Ma anche nell’anomia
litigiosa e intossicata delle sue lacerazioni intestine, qualcosa del Pd
rimane anche quando i singoli escono di scena: un minimo di classe
dirigente, un senso della comunità che permane, pur vischiosa e
conservatrice, nel mutare degli eventi e dei destini personali. Una
storia politica deve sapersi emancipare dal «mondo di ieri». Se non è
capace di farlo restano le facce ammutolite e sconvolte di un’oligarchia
senza futuro. E resta l’ennesima guerra totale su una «riforma della
giustizia» che si è stati incapaci di realizzare in lustri e lustri di
governo. È la maledizione dei partiti personali. Nei partiti a forte
caratura carismatica, ma comunque animati da un sistema di idee
sufficientemente strutturato, la scomparsa, fisica o simbolica del Capo,
non coincide con la fine di tutto. Se si guardano le facce dei
militanti e del popolo comunista affranto nei «Funerali di Togliatti»
raffigurati da Renato Guttuso, si vedrà un senso di lutto atroce che
sembra inconsolabile: il capo che se ne va, e dalle cui parole, in
assenza di un dibattito democratico vero, dipendeva ogni decisione del
Pci, lascia i suoi seguaci frastornati e smarriti. La fine di una
persona riconosciuta come leader indiscusso strazia il corpo di un
partito che sembra aver smarrito il principio coesivo. Ma con la
scomparsa fisica del Capo, resta qualcosa nella storia che non finisce e
il corpo dei militanti non vive perennemente nel ricordo del «mondo di
ieri» definitivamente annientato. Il centrodestra italiano avrà un
futuro se saprà superare la fine (simbolica) del proprio Capo. È quello
che gli chiedono alcuni milioni di italiani.
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