domenica 15 settembre 2013

CASO ILVA. SE ANCHE I MODERATI COME PANEBIANCO NON NE POSSONO PIù DI QUESTA MAGISTRATURA


Dell' Ilva mi sono occupato ai tempi, sempre evidenziando come la situazione apparisse estremamente complessa, e che la GIP di Taranto mi sembrasse ideologizzata e per questo  indisponibile a qualunque soluzione transitoria, che consentisse di salvare il lavoro di decine di migliaia di persone nel mentre si cercava di riconfigurare gli impianti inquinanti. Da altre parti si obiettava che non è compito di un giudice mediare, ma quello di applicare la legge. Giusto, ma come mai poi la procura di Taranto, e lo stesso Gip, poi si sono ribellati palesemente ad un decreto legge dell'esecutivo, organo che invece HA il compito di tener conto dei diversi interessi in campo ? 
Tra l'altro per sentirsi respingere le contestazioni sollevate avanti alla Consulta. 
Quando ho letto in questi giorni che sempre la procura aveva sequestrato beni per centinaia di milioni della famiglia Riva, cioè dei tuttora proprietari dell'Ilva, non sono nemmeno intervenuto più, tanto stucchevoli e previdibili erano le scene successive : la proprietà che chiude alcune fabbriche sospendendo dal lavoro gli operai, i sindacati che intervengono con le solite parole "indegno, vergognoso", senza spiegare perché l'obiezione degli industriali sarebbe pretestuosa. Quelli dicono di non avere soldi per pagare né stipendi né fornitori, causa la misura cautelare della magistratura. Dunque chi li paga i lavoratori ? La Fiom ? O si tassano i pm e la gip di Taranto ?
Certo, l'obiettivo ultimo è immaginabile quale sia : la nazionalizzazione dell'Ilva, così ci penserà Pantalone...
Perché, lo Stato può produrre attraverso impianti nocivi per la salute dei cittadini ?
Interviene Panebianco con un editoriale sconsolato, nel quale denuncia il "PANPENALISMO" nel quale è precipitata la società italiana. Qualunque cosa accada, la gente immagina di poter fare querele, denunce, sognando anni di galera da comminare e ricchi risarcimenti da intascare. Ma finché il virus   attacca le persone normali, il problema è serio (anche per l'ingolfamento totale degli uffici giudiziari) ma non esiziale come invece diventa nel momento in cui il contagio si diffonde tra i magistrati. 
E adesso aspettiamo con fiducia che de Bortoli ospiti l'ennesima lettera di qualche toga offesa dalla critica del

"TANTI SALUTI ALL'INDUSTRIA" 

 
La vicenda dell'Ilva è un disastro in sé e l'ennesima tappa di un processo di de- industrializzazione da tempo in atto nel Paese che sta lasciando dietro di sé macerie fumanti e povertà. La chiusura degli stabilimenti Ilva in Lombardia, conseguenza della vicenda giudiziaria di Taranto, era prevedibile. A nulla sono valsi i tentativi dei governi (si ricordi il braccio di ferro fra il governo Monti e i magistrati tarantini) di impedire il disastro. Che sarà occupazionale e non solo. Come ha osservato Dario Di Vico (Corriere, 13 settembre), e ribadito il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, stiamo liquidando, per la gioia dei concorrenti esteri, un intero comparto industriale, la siderurgia. Non si tratta di difendere il gruppo Riva. Le sue eventuali responsabilità riguardano il tribunale. Si tratta di capire come e perché sia possibile affondare un comparto industriale vitale per la collettività, con effetti a catena su tanti altri comparti, come e perché sia possibile distruggere una cruciale fonte di ricchezza. La vicenda dell'Ilva di Taranto doveva essere gestita con buon senso. Si doveva contemperare l'esigenza della bonifica e la salvaguardia di una industria di grande importanza. A questo miravano richieste e provvedimenti dei governi. Non è stato così. Anziché procedere con la cautela che la problematicità del quadro consigliava si sono irrisi gli esperti che invitavano alla prudenza nei giudizi e la magistratura è andata avanti come un caterpillar. Ora se ne paga il prezzo. Due sono gli aspetti di questa vicenda che, anche al di là del caso Ilva, fanno temere che il declino economico del Paese sia inarrestabile. Il primo riguarda l'esondazione del diritto penale. Il diritto penale è, fra tutte le forme del diritto, la più primitiva e barbarica: precede storicamente le forme più sofisticate (il diritto civile, amministrativo ecc.) che la civiltà ha via via inventato. Per questo, dovrebbe, idealmente, essere attivato solo in casi estremi, dovrebbe avere un ruolo circoscritto. 
Ma quando il diritto penale (come nel caso dell'Ilva e come avviene ogni giorno in ogni aspetto della vita del Paese) diventa il mezzo dominante di regolazione dei rapporti sociali, allora ciò che chiamiamo civiltà moderna è a rischio estinzione.
 Il secondo aspetto riguarda la diffusione di una particolare sindrome, un orientamento anti-industriale, travestito da ecologismo, che punta alla decrescita, alla de-industrializzazione, perché tratta l'industria in quanto tale come una minaccia per l'ambiente. Da utile mezzo per contrastare le esternalità negative (i costi collettivi prodotti dall'inquinamento) l'ecologismo è diventato un'arma ideologica al servizio della mobilitazione anti-industriale (si veda il bel saggio di Carlo Stagnaro sull'ultimo numero della rivista Limes). Se non fossero stati sostenuti da questa diffusa sindrome anti-industriale, i magistrati di Taranto avrebbero forse attivato, come chiedeva il governo, percorsi dagli esiti meno distruttivi per l'industria italiana.

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