sabato 14 settembre 2013

SARA' RENZI A SALVARE IL SOLDATO PD ?


Decisamente lunga e anche spietata l'analisi della situazione di casa PD effettuata da Claudio Cerasa, per il Foglio, peraltro avallata e impreziosita dalla chiacchierata riportata con Michele Salvati, uomo che ha una indubbia conoscenza delle cose di via del Nazzareno (ex senatore dell'Ulivo, testimone della nascita democrat nel 2007, direttore del Mulino, rivista Liberal). 
Armandosi di pazienza, vale la pena leggere ed arrivare alla fine.

  "Salvati il soldato Pd"
 



Provateci voi a non perdere le coordinate. Provateci voi a essere da una vita di sinistra e accettare di essere alleati con il vostro avversario storico. Provateci voi a essere da una vita comunisti e ad avere un vostro premier democristiano e un futuro candidato premier che vuole rottamare i comunisti. Provateci voi a dire per una vita che la sinistra vera è quella che mette insieme un po’ Zapatero, un po’ Obama e un po’ Hollande e ad accettare poi il fatto che oggi di Zapatero si ricordano solo i suoi occhi, di Obama si ricordano soprattutto i suoi droni e di Hollande si ricordano soprattutto le sue formidabili svolte al centro. Provateci voi a dire per una vita che la sinistra vera è quella che avrebbe presto conquistato l’Europa liberando noi tutti dalla cattiva signora Merkel e accettare il fatto che la signora Merkel sta per rivincere le elezioni e che il candidato della sinistra tedesca probabilmente verrà ricordato solo per il suo dito medio. Insomma: provateci voi a non perdere le coordinate. E provateci voi a mettervi nei panni di quella sinistra che avrebbe dovuto conquistare l’Europa, altroché, e che oggi si ritrova invece in sella a una fantastica e gioiosissima macchina da guerra. Ok. Ma che cosa è successo? Come si è arrivati fin qui? Cosa si può cambiare? E, per esempio, cosa può fare la nostra sinistra per non dare l’impressione di muoversi come quegli scalatori che una volta arrivati vicino alla cima della montagna all’improvviso si ritrovano al buio, senza cartina, disorientati, senza bussola, senza coordinate da seguire e con una certa difficoltà a individuare il sentiero giusto da imboccare per non ruzzolare nel vuoto? Ecco. Dieci anni fa, proprio su questo giornale, il professor Michele Salvati, con un certo anticipo sui tempi, presentò un magnifico appello per la costituzione del Partito democratico in cui suggeriva ai vecchi contenitori della sinistra, per non ritrovarsi un giorno di fronte al famoso burrone, di rottamare i partiti della prima Repubblica e della Seconda repubblica e di riunire in un unico cocktail tutte le correnti riformiste e moderate della storia italiana. Dieci anni dopo, al termine di un lungo travaglio al seguito del quale la sinistra ha partorito un Pd che nelle intenzioni dei fondatori doveva avere il compito di essere il primo contenitore di tutte le anime democratiche, siamo tornati a stuzzicare il professore per capire le ragioni per cui, nonostante i molti sforzi fatti, questo partito non riesce ancora a essere maggioritario nel paese (visti gli ultimi sondaggi?), non riesce a rappresentare più di un terzo degli elettori (viste le ultime elezioni?) e si ritrova oggi in una situazione quantomeno paradossale. Paradossale perché – nonostante gli avversari non se la passino granché e nonostante le alternative al Partito democratico in questo momento siano divise tra partiti che tra pochi giorni potrebbero avere il proprio leader agli arresti domiciliari (Pdl) e tra movimenti composti da deputati che salgono molto sui tetti e si occupano molto di scontrini (Cinque stelle) – il Pd dopo appena sei anni di vita dà l’impressione di essere un partito che ha bisogno di essere salvato e che ancora una volta, per capirci, potrebbe fare i conti con il famoso ombrello di Altan (quello, quello, sì). Il discorso, oltre al contesto europeo e internazionale che naturalmente non aiuta il Pd a non perdere l’orientamento, riguarda, a giudizio di Salvati, alcune peculiarità precise che hanno caratterizzato in questi anni la non maturazione del Pd. Un po’ c’entra la storia dell’amalgama non riuscito. Un po’ le molte eterodirezioni a cui si espone la sinistra. Un po’ la continua cessione di sovranità al partito delle manette. Un po’ la solita difficoltà a sbarazzarsi della vocazione minoritaria. Un po’ la tradizionale difficoltà a conquistare nuovi elettori. Un po’ l’incapacità a rendersi conto che la sinistra non è autosufficiente. Un po’ la tendenza a considerare gli avversari non dei rivali ma degli inguaribili puzzoni da cui rimanere lontani. Un po’ per tutto questo e un po’ per molto altro. Fatto sta che a sei anni dalla nascita del Pd possiamo dire senza paura di essere smentiti che il Partito democratico che sognava il professor Salvati è nato, sì, ma non nelle forme in cui sarebbe dovuto nascere. Già, ma in che senso? E quali sono gli ingredienti che tra una shakerata e l’altra potrebbero avvelenare il cocktail? E che cosa c’è che non va? E cosa dovrebbe fare, poi, un politico come Renzi per non diventare un nuovo smacchiatore di giaguari, nel caso in cui dovesse diventare lui il leader del Pd? Abbiamo girato queste domande al professor Salvati e ne è venuta fuori una chiacchierata smaliziata che potrebbe tornare utile al centrosinistra in entrambi i casi: sia nel caso in cui l’inerzia dovesse condurre il paese verso elezioni immediate; sia nel caso in cui le molte debolezze di cui può trarre beneficio questo governo dovessero invece permettere alla grande coalizione di andare avanti nel tempo. Partiamo.
“Se dovessimo fare un bilancio di che cosa è oggi il Partito democratico, e dovessimo compilare una pagella, è evidente che il giudizio che andrebbe dato al Pd non potrebbe avvicinarsi alla sufficienza. In sei anni il Pd è riuscito a eliminare tre suoi segretari di partito, è riuscito con grande caparbietà a far risorgere il Cavaliere, è riuscito a perdere, come avete ricordato anche voi sul Foglio, 3 milioni e 600 mila voti rispetto al 2008 (8 milioni e 900 mila voti rispetto al 2006, e 5 milioni e 900 mila voti rispetto al 2001, se ci riferiamo ai suoi antenati), è riuscito a non vincere delle elezioni che sembravano vinte in partenza, è riuscito a farsi smacchiare dallo stesso giaguaro che doveva smacchiare e infine è riuscito a far nascere un governo in cui il Pd è azionista di maggioranza ma di cui l’unico vero azionista sembra essere il partito guidato dagli avversari. Un quadretto mica male, no? Quando il Pd nacque la speranza di chi per esso aveva combattuto era che questo partito si rendesse conto del rivolgimento epocale che ne rendeva la nascita necessaria al fine di dare rappresentanza alla sinistra italiana in un contesto in cui l’intero sistema politico della Prima Repubblica stava crollando e doveva necessariamente crollare. Persa l’occasione di trasformare la Dc in un partito di destra moderata e il Pci-Psi in un partito socialdemocratico, l’Ulivo indicava una possibile alternativa: il Partito democratico, appunto. Ma anche questa alternativa è stata mancata, sinora. Il Pd è nato sia troppo tardi, sia troppo presto. Troppo tardi perché doveva nascere dopo la sconfitta della sinistra nel 2001: il mio lungo articolo su questo giornale nel 2003 a questo si riferiva, proponendo anche una ‘rottamazione’ che non è ancora avvenuta, considerando che D’Alema e Marini, nobili rappresentanti di un mondo che fu, sono ancora tra noi. Ma è nato anche troppo presto, o meglio troppo affrettatamente, indotto dalle avvisaglie di crisi del secondo governo Prodi nel 2007: il discorso del Lingotto di Veltroni è ancora valido come prospettiva, ma è passato sulla testa del nuovo partito, ancora guidato da un sindacato di controllo ex-comunista ed ex-democristiano”.
Secondo il professor Salvati, seguendo il filo di questo ragionamento, i tabù che hanno impedito alla sinistra di crescere e che il Pd deve urgentemente imparare a riconoscere (e naturalmente a rottamare) riguardano cinque temi delicati, e cinque paure, che potremmo sintetizzare così: paura del bipolarismo, paura del leaderismo, paura del berlusconismo, paura dell’anti giacobinismo e paura dell’anti statalismo.
“Sono convinto – continua Salvati – che un partito che ha l’ambizione di conquistare non soltanto i vecchi elettori di sinistra ma anche una parte maggioritaria del paese debba scommettere su una prospettiva che in questi anni è stata spesso considerata un frutto avvelenato del berlusconismo: il bipolarismo. Il sistema tripolare con cui si ritrova a fare i conti l’Italia non è il risultato di chissà quale diavoleria, ma è il risultato di una strategia suicida portata avanti in questi anni da chi considerava legittimo in nome della divisione dei ruoli (io, partito di sinistra, penso agli elettori di sinistra; e tu, partito di centro, pensi agli elettori di centro) promuovere un sistema frammentato e proporzionale. La vocazione maggioritaria, in questo senso, la si può raggiungere e realizzare solo imponendo un sistema maggioritario e a mio avviso per andare verso quel traguardo occorre riconoscere che non esiste un partito moderno e capace di conquistare nuovi elettori senza che quel partito non abbia alla sua testa un leader carismatico. Da questo punto di vista – prosegue Salvati – il berlusconismo, per la sinistra, è una lezione straordinaria di cosa significhi avere un leader capace di trasformare il suo appeal in consenso elettorale. E le ultime elezioni credo abbiano fatto capire bene al Pd che senza un leader magnetico non si riescono ad attirare quei voti necessari per rappresentare qualcosa in più di un terzo del paese. Per questo credo che uno come Renzi potrebbe avere buone chance per far ragionare il Pd non più con le categorie archeologiche del passato e per imporre al centrosinistra un concetto elementare: che la fiducia che un elettore ha di un partito dipende certo dalla qualità di quel partito ma dipende soprattutto dalla fiducia che si ripone nella persona che quel partito lo guida. E non bisogna essere degli scienziati della politica per capire che in questa fase storica la dispersione di interessi e di orientamenti culturali che esiste nel nostro elettorato è talmente grande che un partito moderno, per essere tale, non può che essere, come è stato per molti anni persino Forza Italia, prima di tutto un grande partito d’opinione – ed è ovvio che per raggiungere quest’obiettivo Renzi debba indirizzare verso il centro il cannocchiale del suo partito. A mio avviso poi – aggiunge il professore e direttore del Mulino – sbaglia chi crede che ci sia contraddizione tra le necessità di un partito ben organizzato e la presenza di un leader carismatico che ne esprima in modo sintetico, comprensibile anche da chi non si interessa di politica, gli orientamenti di fondo e i valori. In paesi più fortunati del nostro un leader personale emerge dal partito. E’ solo in un paese in profonda crisi politica come il nostro che può succedere che un leader personale si faccia anche un partito personale…”.
Salvati, inoltre, sulla questione di cosa la sinistra debba imparare dal berlusconismo, sostiene che ci sia un’altra lezione impartita in questi anni dal Cavaliere che riguarda il complicato rapporto della politica con la parola “stato”. “Uno dei grandi errori commessi in questi anni dal Pd, come racconta bene nel suo libro sul berlusconismo Giovanni Orsina, è aver regalato alla destra la battaglia contro le inefficienze dello stato ed essere diventato, per molte ragioni, il difensore di uno stato inefficiente. Da un punto di vista politico, se Renzi diventerà leader del centrosinistra dovrà impegnarsi con tutte le sue forze per dimostrare che non vi è più, come si sarebbe detto un tempo, una cinghia di trasmissione tra la nuova sinistra, la Pubblica amministrazione e il sindacato. Renzi, in un certo senso, farebbe un errore a dire che il suo modello politico ideale coincide con la figura di Tony Blair. Il paragone non regge, perché Blair, quando diventò leader dei New Labour, non aveva il problema di dover fare i conti con una pubblica amministrazione malata e un sindacato che ostacolava progetti di rinnovamento. E un discorso simile, per alcuni versi, lo si può fare anche per quanto riguarda il suo rapporto con la giustizia”.
Già, ma in che senso? Salvati sostiene che fino a che Berlusconi rimarrà al centro della vita politica per il Pd sarà tecnicamente impossibile curare i velenosi tic prodotti dall’anti berlusconismo – “l’eliminazione di una patologia spesso si elimina con il suo contrario”. Eppure anche Salvati, che vede quasi come un fenomeno naturale la proliferazione di un berlusconismo chiodato, riconosce che negli ultimi anni vi è stato un eccesso che ha portato il centrosinistra a restare intrappolato in quello che il professore definisce il “partito di MicroMega”.
“Ci sono due problemi legati al rapporto tra il Pd e il giacobinismo. Dal punto di vista culturale è indubbio che la sinistra italiana ha trasformato l’antiberlusconismo in un comodo surrogato identitario di un partito che non riusciva a superare le sue diverse componenti originarie e che non riusciva a darsi un profilo di sinistra liberale e moderno. Lasciamo da parte i danni che Berlusconi ha fatto all’Italia. Quelli che ha fatto alla sinistra sono gravissimi: fornirle una scusa per non affrontare le sue contraddizioni interne, per tenersi legato il suo elettorato storico in opposizione a un nemico, con la N maiuscola. Una scusa plausibile, purtroppo, perché veramente, secondo me, Berlusconi era ‘unfit to rule’ in una democrazia costituzionale avanzata. Capisco che la tentazione di questa via breve fosse difficilmente resistibile, e che in ogni caso l’opposizione al modo di Berlusconi di concepire lo stato e la giustizia dovesse restare forte. Ma non al prezzo di compromettere l’identità di una sinistra liberale, socialista e democratica. Non al prezzo di consegnarla al travaglismo. Non al prezzo di rendere credibile l’accusa dei suoi avversari di utilizzare la giustizia come arma politica. Le riforme che Berlusconi ha attuato o tentato di attuare dovevano in gran parte essere combattute: ma la giustizia italiana ha bisogno di riforme, sia ordinamentali che di efficienza, e non si può dire che la sinistra sia stata sollecita nel promuoverle”.
Questi tic, secondo Salvati, hanno non solo impoverito l’identità della sinistra ma hanno anche permesso al centrodestra di conquistare con facilità quella parte del paese che invece osserva il mondo della giustizia non con ostilità ma con occhio critico e distaccato (e con lo sguardo di chi sa che in fondo non è sempre vero che di fronte a un contenzioso tra lo stato e il cittadino chi sbagli sia sempre il cittadino). E il professore condivide l’idea, ben delineata nel saggio di Orsina, che paradossalmente la sinistra, ponendosi sempre e comunque dalla parte dello stato, ha rinunciato a intercettare una parte importante dell’elettorato italiano, dando spesso l’impressione di voler portare avanti in modo moralistico una precisa rieducazione del popolo italiano.
“Vorrei essere chiaro – conclude Salvati – io sono dell’idea che il Partito democratico debba ancora nascere. Come struttura organizzativa non c’è dubbio che il partito ci sia, e anzi è l’unico che ancora assomigli ai grandi partiti del passato o ai partiti di paesi più fortunati del nostro. Quello che però manca ancora al contenitore è il contenuto. E sono convinto che il prossimo congresso possa essere l’occasione di un salto di qualità, che avvii il partito a incorporare quei valori di cui c’era stata un’avvisaglia nel discorso del Lingotto: un partito di sinistra adatto ai tempi in cui viviamo. Renzi e Letta sono due leader che già vivono in questi tempi, e per i quali non ha senso la definizione di ex-democristiani, e ce ne sono altri come loro. Ma la loro lotta, e soprattutto quella di Renzi, sarà durissima. Il suo successo alle recenti feste democratiche somiglia molto a una ciambella di salvataggio che un popolo stufo di perdere accetta di indossare un secondo prima di affogare. Ma il vecchio sindacato di controllo ex-comunista ed ex-democristiano è ancora forte, molti quadri intermedi e militanti sono ancora prigionieri di concezioni di sinistra che non si adattano ai tempi in cui viviamo, e io sarei molto prudente nel dire che da qui ai prossimi mesi per Renzi la corsa alla conquista del centrosinistra possa essere, come dire, una bella e spensierata passeggiata di salute”.

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