E' un periodo fecondo per le lettere ai giornali, anche da parte di personaggi eccezonali (come il Papa, a Repubblica) e potenti (Putin, al NY Times).
Sicuramente fa strano che l'autocrate russo - che questo è Putin in una Russia ancora lontana dagli standard democratici occidentali - discetti di diritti civili, assuma atteggiamenti da maestrino, peraltro usando come cattedra un importante giornale statunitense, laddove fa ridere solo pensare che Obama possa rispondere alla missiva rivolgensosi ai russi su un loro giornale qualsiasi.
Ma è solo una considerazione, tra le tante.
Resta che sullo scacchiere internazionale, chi in questo momento sta uscendo alla grande è proprio Putin che, senza zavorra di parlamenti e opinione pubblica (è il vantaggio delle non democrazie) in Siria ha sempre tenuta la barra dritta fregandosene del mondo, dei morti, dei profughi e degli sfollati. Assad è un amico e gli amici non si abbandonano (anche perchè non fa comodo farlo, che se no magari se ne potrebbe parlare). Francamente, se fossi un dittatore, oggi sarei molto più tranquillo se godessi dell'amicizia russa che di quella americana (vedi la fine di Mubarak, per dire).
Certo, quando gli americani sembrano decidersi a cambiare passo, poi anche gli altri si acconciano. Però è sempre Putin a tirare fuori il coniglio dal cilindro. Non è stato Obama a proporre come possibile soluzione della crisi generata dall'impiego delle armi chimiche il congelamento e in prospettiva la distruzione delle stesse ( il che significa che stavolta CI SONO ) negli arsenali di Assad, è stato Zar Vladimir I. Che poi la cosa si farà, è tutto da vedere, ma intanto la "punizione" è stata congelata fino a nuovo ordine.
Magari è meglio così, però non c'è dubbio quali delle due potenze, al momento, sembra controllare la situazione.
Le crisi internazionali non offrono mai soluzioni semplici e sicure, e vengono giudicate a posteriori, col senno del poi. Però se penso a Presidenti come Reagan e Clinton e oggi a Obama, un certo sconforto mi viene.
Ecco comunque l'articolo del corrisponde USA del Corriere, Masismo Gaggi.
L'articolo ha suscitato l'indignazione dei politici americani
La lezione di Putin agli Usa
«Non siete così eccezionali»
Il presidente russo scrive sul New York Times. La crisi siriana mi spinge a parlare direttamente al popolo americano
NEW YORK - John McCain lo giudica «un insulto all'intelligenza di tutti gli americani». Un altro senatore repubblicano, Jim Inhofe, si dice nauseato mentre il democratico Robert Menendez vorrebbe addirittura vomitare dopo aver letto lo scritto di Putin. L'articolo pubblicato ieri dal New York Times - un «op-ed» nel quale il presidente russo fissa la posizione di Mosca nel negoziato sulla Siria, pretende di impartire lezioni di rispetto della legalità internazionale agli Stati Uniti, invoca Dio e il Papa e deride la filosofia dell'«eccezionalismo americano» richiamata da Barack Obama nel suo recente discorso alla nazione - è stato preso come uno schiaffo in tutto il Paese.Anziché reagire replicando colpo su colpo sullo stesso terreno, la Casa Bianca ha preferito cercare di inchiodare Putin alle sue responsabilità: «Molte delle cose scritte nell'articolo» dicono i collaboratori del presidente Usa, «sono irrilevanti. Quello che ora conta davvero è che finalmente la Russia si è presa un grosso impegno: il suo fedele alleato siriano ha ammesso di avere un grosso arsenale chimico
Vista dagli Stati Uniti la sortita del leader russo sul principale quotidiano degli Stati Uniti sembra essere stata una mossa controproducente: se il suo obiettivo era quello di spingere gli Usa a ritirarsi dal ruolo di gendarme del mondo, deridere l'eccezionalismo americano è servito solo a provocare una reazione di segno opposto. E, umiliando inutilmente Obama, già accusato dai repubblicani di essere troppo accomodante con Mosca, lo obbliga a essere più esigente nel negoziato.
Perché allora Putin ha deciso di pubblicare questo articolo, recapitato al New York Times attraverso un'agenzia di pubbliche relazioni, la Ketchum, pagata da Mosca per promuovere investimenti americani in Russia? Forse perché, più che agli americani (dei quali può avere male interpretato lo stato d'animo), il presidente russo voleva parlare alla comunità internazionale.
Per molti anni la Russia è stata costretta a un ruolo di secondo piano: ha giocato di rimessa, dicendo sempre e solo «no». Ora che sulla Siria è riuscito a riprendere l'iniziativa e a conquistare una certa centralità, Putin prova a proporsi come punto di riferimento internazionale non solo ai Brics (le economie emergenti, dalla Cina al Brasile) come ha fatto al G-20 di San Pietroburgo, ma anche a molti altri Paesi: quelli che, insofferenti della leadership americana, osservano oggi con compiacimento le difficoltà di Obama.
Nessun commento:
Posta un commento