venerdì 13 settembre 2013

TEMPO DI POSTA. STAVOLTA E' PUTIN CHE SCRIVE ALL'AMERICA


E' un periodo fecondo per le lettere ai giornali, anche da parte di personaggi eccezonali (come il Papa, a Repubblica) e potenti (Putin, al NY Times).
Sicuramente fa strano che l'autocrate russo - che questo è Putin in una Russia ancora lontana dagli standard democratici occidentali - discetti di diritti civili, assuma atteggiamenti da maestrino, peraltro usando come cattedra un importante giornale statunitense, laddove fa ridere solo pensare che Obama possa rispondere alla missiva rivolgensosi ai russi su un loro giornale qualsiasi.
Ma è solo una considerazione, tra le tante.
Resta che sullo scacchiere internazionale, chi in questo momento sta uscendo alla grande è proprio Putin che, senza zavorra di parlamenti e opinione pubblica (è il vantaggio delle non democrazie) in Siria ha sempre tenuta la barra dritta fregandosene del mondo, dei morti, dei profughi e degli sfollati. Assad è un amico e gli amici non si abbandonano (anche perchè non fa comodo farlo, che se no magari se ne potrebbe parlare). Francamente, se fossi un dittatore, oggi sarei molto più tranquillo se godessi dell'amicizia russa che di quella americana (vedi la fine di Mubarak, per dire). 
Certo, quando gli americani sembrano decidersi a cambiare passo, poi anche gli altri si acconciano. Però è sempre Putin a tirare fuori il coniglio dal cilindro. Non è stato Obama a proporre come possibile soluzione della crisi generata dall'impiego delle armi chimiche il congelamento e in prospettiva la distruzione delle stesse ( il che significa che stavolta CI SONO ) negli arsenali di Assad, è stato Zar Vladimir I. Che poi la cosa si farà, è tutto da vedere, ma intanto la "punizione" è stata congelata fino a nuovo ordine. 
Magari è meglio così, però non c'è dubbio quali delle due potenze, al momento, sembra controllare la situazione.
Le crisi internazionali non offrono mai soluzioni semplici e sicure, e vengono giudicate a posteriori, col senno del poi. Però se penso a Presidenti come Reagan e Clinton e oggi a Obama, un certo sconforto mi viene. 
Ecco comunque l'articolo del corrisponde USA del Corriere, Masismo Gaggi.

L'articolo ha suscitato l'indignazione dei politici americani

La lezione di Putin agli Usa
«Non siete così eccezionali»

Il presidente russo scrive sul New York Times. La crisi siriana mi spinge a parlare direttamente al popolo americano

 
NEW YORK - John McCain lo giudica «un insulto all'intelligenza di tutti gli americani». Un altro senatore repubblicano, Jim Inhofe, si dice nauseato mentre il democratico Robert Menendez vorrebbe addirittura vomitare dopo aver letto lo scritto di Putin. L'articolo pubblicato ieri dal New York Times - un «op-ed» nel quale il presidente russo fissa la posizione di Mosca nel negoziato sulla Siria, pretende di impartire lezioni di rispetto della legalità internazionale agli Stati Uniti, invoca Dio e il Papa e deride la filosofia dell'«eccezionalismo americano» richiamata da Barack Obama nel suo recente discorso alla nazione - è stato preso come uno schiaffo in tutto il Paese.
Assad e Putin (Ap)Assad e Putin (Ap)
Tagliente, scritto con una prosa magistrale, come ammettono molti lettori nei commenti registrati dal quotidiano newyorchese (insultato da altri per aver dato spazio a un dittatore nemico degli Usa), l'articolo ha provocato una diffusa indignazione. Perché, come ha ricordato anche il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, ma senza calcare troppo la mano, viene dal leader di un Paese che sfrutta a suo vantaggio la libertà di stampa americana, ma non ne concede altrettanta nel suo Paese. Un presidente che si dimostra alquanto ipocrita quando pontifica su diritti civili sistematicamente violati nel suo Paese: «Dice che noi americani non siamo eccezionali e che quando chiediamo la benedizione del Signore non dovremmo dimenticare che Dio ci ha creati uguali» risponde al sarcasmo di Putin la democratica Nancy Pelosi. «Bene, mi auguro che valga anche per i cittadini russi, anche per i gay» perseguitati dal regime di Mosca. Per Obama la sortita di Putin è stata un pugno nello stomaco (sia pure avvolto nel guanto dell'affermazione che «tra me e il presidente Usa c'è un rapporto di fiducia crescente»). Oltre a sostenere che è molto pericoloso spingere un popolo a sentirsi eccezionale, Putin, sorvolando sui sistematici veti russi che paralizzano l'Onu, afferma che l'America, minacciando un uso unilaterale della forza, si mette dalla parte del torto davanti alla comunità internazionale, viola le leggi e rischia di far fare alle Nazioni Unite la brutta fine della Società delle Nazioni (fondata dopo la Prima guerra mondiale, fallì con lo scoppio della Seconda, ndr). Contro ogni evidenza assolve, poi, di nuovo Assad per l'uso dei gas che attribuisce, invece, ai ribelli. I quali adesso, aggiunge in un passaggio alquanto oscuro, potrebbero attaccare anche Israele.
Anziché reagire replicando colpo su colpo sullo stesso terreno, la Casa Bianca ha preferito cercare di inchiodare Putin alle sue responsabilità: «Molte delle cose scritte nell'articolo» dicono i collaboratori del presidente Usa, «sono irrilevanti. Quello che ora conta davvero è che finalmente la Russia si è presa un grosso impegno: il suo fedele alleato siriano ha ammesso di avere un grosso arsenale chimico e Mosca si è impegnata a smantellarlo e distruggerlo. È su questo che verrà giudicato il presidente russo», è questo il risultato che ha promesso e che il mondo si attende.
Vista dagli Stati Uniti la sortita del leader russo sul principale quotidiano degli Stati Uniti sembra essere stata una mossa controproducente: se il suo obiettivo era quello di spingere gli Usa a ritirarsi dal ruolo di gendarme del mondo, deridere l'eccezionalismo americano è servito solo a provocare una reazione di segno opposto. E, umiliando inutilmente Obama, già accusato dai repubblicani di essere troppo accomodante con Mosca, lo obbliga a essere più esigente nel negoziato.
Perché allora Putin ha deciso di pubblicare questo articolo, recapitato al New York Times attraverso un'agenzia di pubbliche relazioni, la Ketchum, pagata da Mosca per promuovere investimenti americani in Russia? Forse perché, più che agli americani (dei quali può avere male interpretato lo stato d'animo), il presidente russo voleva parlare alla comunità internazionale.
Per molti anni la Russia è stata costretta a un ruolo di secondo piano: ha giocato di rimessa, dicendo sempre e solo «no». Ora che sulla Siria è riuscito a riprendere l'iniziativa e a conquistare una certa centralità, Putin prova a proporsi come punto di riferimento internazionale non solo ai Brics (le economie emergenti, dalla Cina al Brasile) come ha fatto al G-20 di San Pietroburgo, ma anche a molti altri Paesi: quelli che, insofferenti della leadership americana, osservano oggi con compiacimento le difficoltà di Obama. 

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