mercoledì 9 ottobre 2013

ADRIANO SOFRI DIFENDE IL PRESIDENTE. "DA SEMPRE NAPOLITANO SENSIBILE AL PROBLEMA CARCERI"


Molto bella la risposta che viene da Adriano Sofri ai pentastellati e alla moltitudine irata col Presidente della Repubblica per il messaggio alle Camere che pone sul tavolo la questione Amnistia (e/o indulto). 
Il pensiero che di questa cosa possa beneficiare Berlusconi rende pazzi e il vilipendio si spreca. 
Come ho già scritto, nel presentare la notizia (  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/10/napolitano-parla-di-amnistia-e-subito.html  ) , se veramente Napolitano avesse voluto risolvere, almeno in gran parte, il problema Berlusconi, avrebbe potuto farlo in modo incisivo e in tempi molto migliori di questo. Mi viene in mente in particolare il novembre 2011. L'Italia era in ginocchio per via dello spread e della speculazione in corso, la recessione era alle porte (ancora c'è) e la crisi ormai mordeva pesantemente anche noi (continua a farlo). Berlusconi presiedeva il governo, non c'era una maggioranza alternativa senza il PDL e grazie ai "responsabili" di allora (Scilipoti e Razzi tra gli esemplari più noti...) l'esecutivo superava i vari voti di fiducia che ogni tanto si trovava davanti. Pure l'Europa incalzava : ci voleva una svolta rigorosa e di Berlusconi ormai non si fidavano più. Napolitano fece pressione col Cavaliere perché si dimettesse e appoggiasse un governo tecnico, soluzione che Berlusconi poteva accettare, pur di evitare le urne che in quel momento avrebbero significato il quasi sicuro disastro per il centrodestra (oddio, con Bersani candidato leader, va a sapere...). Ecco, se in quel momento Berlusconi avesse alzato la posta e avesse chiesto lo scudo senatoriale a vita, probabilmente Napolitano glielo avrebbe concesso. In fondo poteva sembrare una sorta di "liquidazione", e la gente, festosa per l'abbandono di Palazzo Chigi e anche presa dalle gravi pendenze economiche, avrebbe sì strillato un po', ma alla fine avrebbe smaltito. In fondo, anche Andreotti era assurto a quella carica, e le sue pendenze giudiziarie erano certo molto meno numerose, ma assai più gravi (omicidi, collusione con la mafia ai massimi livelli : nulla che poi non sia rimasto nel nulla. Però queste erano le accuse ). Insomma, sarebbe passata. Le condanne di Berlusconi erano di là da venire, e le decine di processi subiti fino a quel momento erano sempre finiti bene per lui (ora con assoluzioni piene, ora per prescrizione).
Può anche darsi che siano stati miopi entrambi i protagonisti, che non ci abbiano pensato (oppure, tanto oggi mi sento in vena di "dietrologismo", all'epoca Napolitano chiese, in cambio della nomina, il ritiro dalla politica attiva del Cavaliere, ricevendo un rifiuto..., ma qui siamo veramente nel mare vasto delle mere ipotesi fantasiose, ancorché non impossibili).
Quello che però ben ricorda Sofri è che non si può accusare il Presidente di aver scoperto la questione "carceri" solo ora. E ne ripercorre le tappe, risalendo quanto meno all'inizio del suo primo mandato, quindi ben otto anni fa, sottolineando che allora Berlusconi godeva ancora di ottima salute. E via via cita successivi episodi dove questo sollecito era stato comunque fatto, ancorché non in modo così ufficiale, e ancora il destino del Cavaliere non sembrava a rischio come ora. 
Tutti FATTI, non opinioni.
Quanto alla tempistica, il fatto che però è ORA che Napolitano ha preso carta e penna per scrivere alle Camere, ritengo che le motivazioni possano essere almeno due : L'Europa ha dato un termine perentorio (2014) entro il quale  l'Italia deve risolvere il problema, se no scattano le sanzioni previste per l'inosservanza delle disposizioni comunitarie (e Napolitano sempre mostra di essere MOLTO sensibile alle sollecitazioni europee),   in Parlamento ci potrebbe essere una maggioranza utile (ci vuole il voto dei 2/3) , cosa che non è mai semplice perché i provvedimenti di indulgenza non sono  graditi alla maggior parte dell'elettorato, argomento sensibile. Peraltro, siamo ad inizio legislatura, il governo sembra essersi rafforzato e si parla di elezioni non prima del 2015, insomma ci sarebbe tutto il tempo perché la gente smaltisca il fastidio per il provvedimento di clemenza.
Certo, sarebbe bene che un intervento del genere si accompagnasse quanto meno all'avvio concreto di una sana riforma della giustizia, anche per far vedere che si creano le premesse per le quali si evita di ritornare, da qui a non molto, nella stessa situazione di oggi.
Comunque, da leggere l'intervento del "pregiudicato" Sofri.

Napolitano, le galere e gli altri

Per una volta, mi metterò nei panni di Giorgio Napolitano. Il quale sapeva, come me e come voi, che il suo messaggio sulle carceri gli sarebbe stato ritorto contro come un vile espediente per trarre dalle peste Silvio Berlusconi. Che ci sono esponenti politici e uomini di spettacolo che sulla rendita di insinuazioni come queste ingrassano. Che la corruzione di comportamenti e lo scandalo di sentimenti di un ventennio sfinito hanno esacerbato l’opinione. Insomma: che si stava cacciando in un guaio grosso. E allora, perché l’ha fatto?
Azzardo una risposta. Se fossi Napolitano, sarei sconvolto, come me, dallo stato delle galere. Mi ricorderei di essere andato –lui, non io- il giorno di Natale del 2005, a una “marcia per l’amnistia” indetta dai radicali. Otto anni fa: Napolitano aveva appena ottant’anni, Berlusconi stava benone, era capo del governo. A quella Marcia di Natale, Napolitano disse al cronista di Radio radicale che per lui, col suo passato, non era così insolito partecipare a un corteo, sebbene fosse diventato più raro. Ma a questa, spiegò, bisognava esserci. E mi auguro che la politica affronti il problema, aggiunse, “senza lasciar prevalere pregiudiziali, o timori non ben chiari…”.
Continuo a immaginare che cosa dev’essersi detto licenziando il suo messaggio. Non se la prenderà, io sono interdetto in perpetuo. Si sarà ricordato che nel giugno 2011 partecipò a un convegno promosso da Pannella e ospitato dal Senato sulle carceri. Berlusconi stava benino, era capo del governo. Lui, il presidente, disse che era una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Disse che la questione della giustizia e specialmente delle carceri era giunta “a un punto critico insostenibile, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere”. Citò “i più clamorosi fenomeni degenerativi - in primo luogo delle condizioni delle carceri e dei detenuti - e anche le cause di un vero e proprio imbarbarimento”. Parlò di “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all'impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell'estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile - che solo recenti coraggiose iniziative stanno finalmente mettendo in mora”. /Macché: sono sempre lì, questo lo aggiungo io/. Continuò: “Evidente è l'abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale... E' una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo…”. E concluse: “Non dovremmo tutti essere capaci di uno scatto, di una svolta, non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale?Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte”.
Non ci si rifletteva, da nessuna parte, o quasi. Intanto lui, Giorgio, continuava a tormentarsene, penso. Visitava galere, ascoltava invocazioni, veniva alternamente lodato e insultato da Marco Pannella, che gli ingiungeva di rivolgere un messaggio alle Camere. Napolitano è forse altrettanto impaziente di lui, ma lo dissimula meglio, e temeva che un’iniziativa così straordinaria come il messaggio presidenziale sarebbe restata in quelle circostanze lettera morta, e avrebbe fatto retrocedere piuttosto che avanzare la giusta causa e urgente. Però non perdeva occasione per ribadirla. Qualche tempo fa, all’uscita da una visita a San Vittore, a Marco Cappato che lo interpellava sull’amnistia, rispose: “Se mi fosse toccato mettere una firma lo avrei fatto non una ma dieci volte”. Berlusconi stava ancora così e così.
Napolitano si sarà ricordato tutto questo. Intanto l’Europa ci condannava ripetutamente, e l’Italia, che lui supremamente rappresenta, veniva vieppiù umiliata. Avrà pensato ancora: “Mentre lasciavo il Quirinale, e avevo pronte le valigie, e mi figuravo un ozio di Capri appropriato alla mia età e ai desideri di famiglia, questo mi rimordeva sopra tutto. Quando ho disfatto le valigie, mi sono ripromesso di riprendere comunque il filo. L’ho fatto ora, prima che sia davvero troppo tardi. Tardi per le scadenze tassative cui ci obbliga l’Europa, e, più irreparabile ancora, per la nostra umanità. Il mio messaggio è là, cliccateci sopra, leggetelo, non vi accontentate di questa usurpazione giornalistica. Troverete tutto, niente di più e niente di meno di quello che penso e sento. Adesso ne ho 88, di anni. A differenza di voi giovani, posso permettermi di guardare lontano. Come volete che mi intimidisca delle speculazioni, delle insinuazioni, degli insulti? Mi dispiacciono certo le incomprensioni e le diffidenze sincere, mi auguro che vogliano misurarsi con la verità. E comunque, posso permettermi anche di dire le cose come stanno: per esempio, che chi mi accusa di voler salvare Berlusconi (che non potrebbe nemmeno San Gennaro, n.d.r.) e assicurare ‘l’impunità delle caste’, se ne frega del paese e della gente, e non sa quale tragedia sia quella delle carceri”.
Cinque anni fa, quando fu varato un indulto mutilato dell’amnistia, che avrebbe sgombrato tribunali ostruiti da un arretrato intrattabile, favorendo prescrizioni agli abbienti e sventura ai poveri cristi, restarono con pochi altri a difendere una decisione del parlamento, lui Napolitano e Romano Prodi. Allora, lo spauracchio agitato sul futuro della democrazia era Previti: Previti restò dov’era, in un comodo domicilio, e nessuno ne ha più sentito parlare. Gridavano che il processo all’Eternit sarebbe stato insabbiato: si è tenuto ed è finito come doveva. Ammonirono che i delinquenti usciti avrebbero messo a repentaglio la sicurezza degli italiani: non successe, e fra gli usciti e i beneficiari di pene alternative ci furono assai meno recidivi. Queste ultime osservazioni, e molte altre cui rinuncio, non sono del presidente, ma mie: un po’ per uno.
Considerando tutti questi precedenti, Napolitano ha confidato che non si potesse lealmente fraintenderlo. Che non si possa fraintendere il favore per la stessa amnistia, quando viene da giuristi come Carlo Federico Grosso, da ministri indipendenti come la signora Cancellieri, da direttori di carceri, da sindacati di agenti penitenziari, da magistrati e avvocati e operatori penitenziari. Ci sono 64.758 detenuti per una capienza di 47.615, ha scritto. Ci sono sgabuzzini provvisori di un metro per un metro adibiti a cella, senza finestre, senza una suppellettile, con un giornale sul quale fare i propri bisogni. E’ un po’ lungo il suo messaggio, lo sa, ma si abbia cura di leggerlo. Poi lui non c’entra più. E’ sovrano il parlamento. Può fare quello che crede, là sono indicate molte misure diverse, e soprattutto un criterio, e più ancora un sentimento. In parlamento ci sarà chi è favorevole all’amnistia perché spera che ne venga una via d’uscita per Berlusconi. Ci sarà chi è contrario all’amnistia perché teme che ne venga una via d’uscita per Berlusconi. Napolitano avrà fatto la tara, e si sarà augurato che ci sia chi rifletta perché è in pena per l’inferno in cui stanno i carcerati e le loro famiglie, e per il vicolo cieco in cui si trova la giustizia. (Gli altri, quelli che sono comunque contro ogni clemenza perché sono pieni di rancore e detestano il prossimo loro, non vanno considerati in una categoria a parte, perché stanno indifferentemente nella prima e nella seconda).
Ecco, penso che sia andata più o meno così. Tornato del tutto nei miei panni, ho una cosa da dichiarare, per conflitto d’interessi. Io devo gratitudine a Napolitano, perché non mi diede la grazia. Avrei vissuto il mio tempo supplementare da graziato, sarebbe stata dura
.

1 commento:

  1. molto daccordo sui motivi della tempistica del messaggio.
    scelta strategica che solo in questo momento puo' veder realizzarsi un maggioranza dei 2/3 per avere l'amnistia.
    premesso che giorgio napolitano personalmente si e' sempre dichiarato sensibile alla questione carceri ,
    se il messaggio l'avesse inviato mesi fa ,quando tutto il pdl era contrario a anche gran parte del pd, sarebbe stato:
    1- inutile
    2- dannoso perche' un' iniziativa del capo della stato non raccolta dalle camere sarebbe stato un precedente tombale per la questione amnistia
    3- molto inopportuno perche' avrebbe creato un dissidio tra due istituzioni ,presidente e parlamento , cosa che non e' molto auspicabile in questo momento

    gianni colacione

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