lunedì 21 ottobre 2013

CARO BRUNETTA, QUELLA STELLA POLARE NON BRILLA ! (IL BOTTA E RISPOSTA CON PANEBIANCO SU PDL E STATALISMO).


Interessante il botta e risposta tra Brunetta e Panebianco sul Corriere della Sera, a seguito di un editoriale del professore ( volendo, si può leggere qui : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/10/lo-statalismo-imperante-complice-il-pdl.html ) nel quale si mettevano in evidenza le contraddizioni del PDL in materia statale. Partito che dice di ispirarsi al pensiero liberale, che ha slogan propri di quella corrente di pensiero, come lo Stato da dimagrire, il mercato da liberare, la diminuzione delle tasse come stella polare, poi, nella pratica, non fa ( e non ha fatto, quando ha governato) politiche coerenti con questi must.
In realtà Panebianco è solo uno dei tanti (ancorché sicuramente lui tra quelli autorevoli) che da tempo denuncia questa contraddizione ( Giacalone, Galli della Loggia, Alesina e Giavazzi, Giannino, ora caduto in disgrazia...ma l'elenco è infinito).
La risposta di Brunetta fa richiamo alla complessità della situazione economica mondiale, non più traducibile con la semplice applicazione dei dettami astratti della scuola liberale (tra l'altro ce ne sono diverse) , e peraltro lo stesso vale per quella socialista.
In un'economia globalizzata, mi sembra spieghi l'economista capo dei deputati alla Camera del PDL, dove i colossi come la Cina, la Russia, certo non rispettano regole e vincoli europei, è ben difficile parlare semplicemente di libero mercato senza soccombere. E nella stessa Europa, Germania e Francia, i paesi considerati più ricchi ( il secondo con grandi problemi peraltro) , non di rado "barano", aiutando in vari modi le loro imprese.
Quindi, dice Brunetta, attenzione ad eccedere nel purismo che il rischio è di fare grossi regali a concorrenti che non prevalgono perché più bravi e/o efficienti . O almeno non solo.
Panebianco replica cercando di rimanere ancorato a qualche fatto poco controvertibile. Sarà anche vero quello che ricorda Brunetta, anzi, alcune cose lo sono certamente. Però resta che dopo il salvataggio del 2008 Alitalia è di nuovo sull'orlo del fallimento, e il primo salvataggio costò assai ai contribuenti italiani (ma Alitalia è SEMPRE costata un botto agli italiani...). Quanto alle tasse, nei 20 anni di seconda repubblica, non governati dal solo Berlusconi ma per metà sì, queste sono decisamente aumentate.
Quindi sarà magari nelle buone intenzioni quanto scrive Brunetta, la stella polare di meno Stato e meno Tasse , ma questa stella non brilla...
Buona Lettura


BRUNETTA - PANEBIANCO: Botta e risposta (Corsera) Renato Brunetta 

 
"Partito complesso ma la sintesi c’è: meno tasse, più mercato" 

L’accusa di Panebianco al Pdl, a proposito di un eccesso di statalismo, è ingenerosa dal punto di vista politologico, e datata dal punto di vista dei fondamentali di un’economia globalizzata. Siamo stati tra i pochi a sostenere Sergio Marchionne sulle vicende Fiat, quando Confindustria non esitò a prenderne le distanze. Ne condividevamo l’impostazione: in un mondo senza frontiere, sopravvivono solo coloro che sanno interpretare i nuovi paradigmi della competizione internazionale. Se questi principi valgono per l’auto, a maggior ragione valgono per quei settori che sono il cuore stesso della globalizzazione, come il trasporto aereo, o il settore della telefonia. Le vicende di Telecom e Alitalia devono essere esaminate alla luce di questi presupposti. Cogliendo le luci e le ombre di tale processo e i sottesi pericoli. Questi ultimi coincidono con una sorta di neoimperialismo di ritorno. Campioni nazionali che si impossessano dei propri concorrenti, spesso con l’aiuto dei singoli Stati, per poi piegare il tutto alle esigenze nazionali. Sarebbe l’errore maggiore. Ma come si combatte questa prospettiva? Con i proclami e la retorica o impedendo che quel destino si compia, riorganizzando le possibili prede, per dare loro la forza di resistere in una politica di alleanza tra eguali? Questo è il tentativo che si sta facendo per Alitalia e che dovremmo fare per Telecom. Nessuna chiusura nella fortezza nazionale, ma ricostruire il profilo produttivo delle aziende. Il tema politico principale è la caduta di quelle barriere che soprattutto in Francia e Germania limitano il libero mercato. Tornando all’editoriale di Panebianco, credevamo che il confronto ideologico tra statalismo e liberismo fosse ormai superato. Gli effetti che questi modelli hanno prodotto e stanno producendo dovrebbero insegnarci maggiore prudenza. Soprattutto dovrebbero insegnarci ad affrontare il dibattito sulla politica economica e industriale tenendo in conto il contesto europeo nel quale l’Italia è inserita. L’Europa infatti non è un esempio di regolazione simmetrica, efficiente, trasparente. Il panorama regolativo è ancora un vestito di Arlecchino. Ma non vi è di che stupirsi: la storia dei sistemi economici del nostro continente è diversa da Paese a Paese per tipologia strutturale del capitalismo, ruolo dello Stato e del mercato, banche centrali e banche, specializzazioni produttive, politiche energetiche. Del vestito di Arlecchino occorre prendere atto e agire di conseguenza. Va bene che ci sia competizione fra imprenditori di un Paese e quelli di un altro, va meno bene che gli imprenditori di un Paese abbiano come concorrente uno Stato, o un’impresa privata nella forma e statale nella sostanza. Gli esempi che qui proponiamo dimostrano che non siamo di fronte a un teorema, ma a un dato di realtà. 1. L’annuncio dell’ingresso di Poste Spa in Alitalia ha generato proteste da parte di concorrenti europei del nostro vettore. Ed è singolare che ciò avvenga in un’Unione in cui gli Stati sono già intervenuti per salvare, e talora nazionalizzare, banche inglesi, francesi, tedesche, belghe. 2. Alitalia è stata salvata nel 2008. Con l’ok dell’Ue. Il problema non fu il salvataggio e la cessione a una cordata di privati. Quanto la congiuntura negativa in cui l’operazione è avvenuta. 3. Siamo tra i primi Paesi europei per afflusso di turisti. C’è dunque un mercato ricchissimo da sfruttare. Allora, niente furbizie: se si prova a salvare Alitalia, lo si faccia nel pieno rispetto delle regole europee, in particolare quelle sugli aiuti di Stato, come già avvenne nel 2008. Queste storie non descrivono il mondo ideale di un astratto liberalismo. Mostrano il travaglio di una transizione in cui non tutti i giocatori rispettano le stesse regole. Siamo consapevoli di queste contraddizioni, ma non ce ne facciamo travolgere. Siamo un partito complesso, con culture diverse, ma quel che conta è la sintesi finale. Abbiamo una stella polare: meno Stato, più mercato; meno centralismo più sussidiarietà; soprattutto meno tasse, che sono il fondamento vero dello statalismo. 

La risposta di Angelo Panebianco 

A Renato Brunetta, ma anche al governo che ha messo in piedi l’operazione, mi viene da dire: “Dio salvi gli inglesi“ (e ce li conservi nell’Unione). Non so proprio come farà l’Italia a difendersi dall’accusa dei britannici di avere ristatalizzato Alitalia in violazione delle norme europee sulla concorrenza. So, naturalmente, che in epoca di globalizzazione non tutti sempre guadagnano, e so anche che esistono, come scrive Brunetta, nuove e sofisticate forme di imperialismo. Ma il punto è che le operazioni (Ansaldo, Telecom, Alitalia) giudicate negativamente dagli economisti firmatari dell’appello da me citato e con cui concordo, ricordano da vicino tante altre operazioni di salvataggio di imprese fallite praticate con i soldi dei contribuenti dai governi italiani. C’è poi una cosa che non capisco, Brunetta scrive che la stella polare del suo partito è meno Stato e più mercato, meno centralismo e, “soprattutto“ (così scrive), meno tasse le quali, a suo dire, sarebbero il vero fondamento dello statalismo. A me pare però che le tasse alte siano un effetto, prima che un fondamento, dello statalismo e che è inutile battersi contro le tasse alte se prima — o almeno contestualmente — non si riduce la presenza, il ruolo e il peso dello Stato. Operazione, naturalmente, difficilissima da farsi. Non sarà per questo, per la difficoltà dell'impresa, che tradizionalmente il Pdl ha sempre parlato tanto di tasse ma ha fatto ben poco per ridurre quella ingombrantissima presenza? O anche queste, a giudizio di Brunetta, possono essere liquidate come considerazioni astratte e retoriche?

2 commenti:

  1. Ho scritto ai vari leaders PDL quanto sotto e molto altro da mesi, Brunetta mi ha subito bannato da Fb, si è subito rintanato sotto il tavolo!

    Tutti i partiti si sono comprati il consenso con l’aumento progressivo della spesa pubblica, con soldi che non c’erano aumentando via, via il debito pubblico e la pressione fiscale. La colpa del PDL già FI è anche maggiore degli altri partiti perché si era anche spacciato un partito liberale della buona amministrazione, ed in realtà poi si è dimostrato un partito peronista di infima lega, il PD, già DS, già PCI almeno bontà loro si definiscono socialisti o ex comunisti che sia! Ora il pubblico assorbe cosi tanto che mancano i soldi ai cittadini e alle imprese.
    Spesa pubblica: 1990 2012
    373 miliardi di euro 810 miliardi di euro (su un PIL di 1600 per l’esattezza 51 % !!!!!)
    Pressione fiscale: 38 % 45 % (per chi paga totalmente le tasse senza evadere niente 56 %)
    Debito pubblico: 663 miliardi di euro 2000 miliardi di euro (oggi circa 2030!)
    Interessi sul debito 2012: 85 miliardi di euro
    Pressione fiscale aumentata del 50 % negli ultimi 25 anni, dal 30 % media 25 anni fa, al 45 % media oggi.

    Negli ultimi 15 anni si era anche creato un enorme tesoro 1400 miliardi di euro BUTTATO CON LA SPESA PUBBLICA: 500 mld di avanzi primari realizzati 700 mld di minori oneri su debito beneficio prodotto dall’euro 200 miliardi di privatizzazioni, nonostante questa grandissima opportunità, tutta la classe politica, ha fatto enormemente salire il debito invece di migliorare la situazione finanziaria italiana come hanno fatto nel frattempo vari stati europei più consapevoli di noi.

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