domenica 13 ottobre 2013

UN'IPOTESI DIVERSA PER AFFRONTARE IL PROBLEMA MIGRAZIONE : UNA ZONA DI ACCOGLIENZA EXTRATERRITORIALE . ECCO COME


Una delle qualità di Davide Giacalone, oltre ad una prosa lucida e accattivante, è il provare a indicare delle possibili soluzioni dei problemi, cercando di evitare estremismi e tifoserie.
Nel caso dell'immigrazione, prendendo le distanze sia dai buonisti che immaginano un mondo pronto ad accogliere chiunque lo chieda (che non c'è) che dai cinici, spesso vicini ai razzisti, immagina un' ipotesi interssante : la costituzione di centri di accoglienza in aree sovranazionali o in zone neutre (pagando il disturbo ai paesi ospitanti) per il censimento, lo smistamento o il reimpatrio dei migranti. Un progetto che ha bisogno dell'egida dell'Unione Europea e che se decollasse potrebbe tenere insieme le opposte esigenze che la questione migrazione pone.
Ma ecco l'idea spiegata dal suo autore

Migranti e Ue

L’Unione europea si gioca molto, nel Mediterraneo, sul fronte dell’immigrazione. Proprio perché la posta è alta, rimarchevole può essere il successo. Un dramma può divenire un’opportunità, capace anche di riconciliare opinioni pubbliche sempre più nervose, perché sempre più spaventate.
Guardiamo il problema con occhi non bendati da buonismi o cattivismi, che sono solo propagandismi e maschere d’insipienza. Partiamo dall’ovvio: 1. nessun Paese Ue può accogliere tutti quelli che lo chiedono, sicché la politica dell’immigrazione comporta una politica del respingimento; 2. nessuna legge nazionale può fronteggiare l’intero problema, perché nessuno ha le proprie frontiere che coincidono con le frontiere dell’intera Unione; 3. la mera scelta fra reato penale e infrazione amministrativa è sciocca, perché ciascuno adotta quella che nel proprio diritto interno favorisce la più veloce espulsione dei clandestini; 4. alla nostra civiltà ripugna anche la sola idea di lasciare qualcuno affogare, nel mentre tenta di arrivare sulle nostre coste. Quindi si deve tenere assieme: a. la sicurezza delle frontiere, che diventa sicurezza di tutta l’area interna comune; b. la regolazione dell’immigrazione secondo le scelte e le esigenze di ciascun Paese; c. il doveroso soccorso per chi rischia la vita. La soluzione c’è: creare una zona extraterritoriale, sottratta alle legislazioni nazionali e affidata all’amministrazione Ue. Si può usare terra e isole già dell’Unione, oppure spazi affittati fuori da questa (ce ne sono di geograficamente interessanti sia in Tunisia che in Turchia).
Con l’agenzia Frontex si organizza un programma unico di pattugliamento del Mediterraneo, cancellando frazionamenti e duplicazioni che, fin qui, ottengono il doppio risultato di far lievitare i costi ed escludere risultati positivi. Il pattugliamento non serve a prendere i barconi e respingerli, che sarebbe inumano, ma a intercettarli e portarli verso la zona extraterritoriale. Qui tutti saranno soccorsi. Poi si distingue fra rifugiati e immigrati. I primi avviati alla gestione Onu e alla collocazione presso l’accoglienza finale. I secondi saranno censiti e i loro dati, comprendenti le loro competenze e attitudini, saranno immediatamente distribuiti ai membri Ue, a loro volta tenuti, entro una settimana, a far presente la loro eventuale disponibilità all’accoglienza. In caso contrario (e saranno i casi maggiori), i migranti verranno riaccompagnati al punto di partenza. Con umanità e a spese dell’Ue.
L’amministrazione unitaria servirà a evitare drammi di giurisdizioni nazionali lente o inefficienti (nessuna fa più schifo di quella italiana). Il riaccompagnamento diventerà notizia immediatamente diffusa nel mondo d’origine, sicché, in breve, più nessuno sarebbe disposto a pagare soldi che non ha per ottenere il risultato di ritrovarsi al punto di partenza. Nel giro di un paio d’anni i barconi diventano un brutto ricordo.
Senza trascurare che, dopo l’azzardo dell’euro e la guerra interna che ha scatenato (niente affatto finita), sarebbe il primo caso di problema europeo risolto in Europa e grazie all’Unione. Forse la sola cosa utile che le famiglie popolari, socialiste e liberali, nate per animare la politica comune, possano fare per evitare di andare incontro al loro terribile destino: divenire minoranze, sia singolarmente che collettivamente, costrette ad alleanze eterne per non lasciare il governo alle forze estremiste e malpanciste. Quando fette consistenti della popolazione hanno paura il compito della politica non è quello di spiegare che sono dei bimbi scemi e viziati, parlando dal seggiolone dei pasciuti privilegiati, ma di provvedere a che i timori non si traducano in reazioni. Quella descritta è una possibile soluzione. Certo, me ne rendo conto, assai meno sollazzante del continuare a far la corrida fra i commossi dalla propria bontà e i fieri della proprio durezza. Posto che i primi sono dei falsi e i secondi degli illusi.

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