lunedì 4 novembre 2013

"E MAGNATE STA MOZZARELLA !" CHECCO ZALONE FOR THE NEW EUROPE



Due dei miei editorialisti preferiti, Angelo Panebianco e Davide Giacalone, hanno dedicato la loro attenzione al tema dell'europeismo, mettendo in guardia da coloro che, demagogicamente e propagandisticamente, bollano per populisti i movimenti anti europa. Che forse costoro dovrebbero prima chiedersi COSA alimenti i sentimenti crescenti  di critica, quando non scetticismo e ostilità nei confronti dell' Unione ?
Quanta saggezza c'è in Checco Zalone che, nel raccontare come l'eurocrazia pretenda, per vendere una mozzarella, l'investigazione della storia della mucca che l'ha prodotta, conclude strappando l'applauso entusiasta di tutti : " magnate sta mozzarella e falla finita".
Perché l'idea europea non si perda in un naufragio sarà il caso di apportare qualche correzione di rotta.
Da tempo, Panebianco avverte, con altri (Sartori, che è sparito dalle pagine del Corriere, forse per lesa Kienge...) , che parlare di Stati Uniti d'Europa, con una babele di paesi, lingue , storie, economie diverse è più che utopistico : pericoloso, perchè poi si pretende di superare le diversità imponendo norme e regolamenti impopolari e non accettati se non con la forza. 
Meglio volare un po' più basso e pensare ad una Confederazione, dove le cose messe in comune sono meno, e forse viene meglio. L'alternativa è aumentare la politicizzazione dell'Europa, e il suo tasso di democrazia popolare, con un parlamento che, eletto, poi a sua volta voti un esecutivo europeo (magari un presidente ? Come negli USA ? mah...) e legiferi. Oggi c'è un simulacro, laddove le decisioni vengono prese di concerto tra le cancellerie che contano, Germania in testa, e la commissione europea. 
Una monarchia allargata, strana ma certo nulla a che vedere con la democrazia. 
Personalmente, preferisco le prima strada, più realistica;  se si crede, si può tentare la seconda.
Ma con l'attuale non si può continuare. 
Di seguito l'articolo di Giacalone e subito dopo un ampio stralcio di quello di Panebianco


W gli antieuropeisti


Da europeista dico: il cielo benedica gli antieuropeisti. L’ultima moda consiste nel bollarli tutti di populismo, ma è abbondantemente populista agitare le suggestioni per cancellare la realtà. E la realtà è che l’Unione europea così realizzata non funziona. Se si è europeisti si lavora per cambiare quel che è andato storto, non per storcere il dibattito in modo che ne siano espulsi quelli che usano propagandisticamente l’insuccesso. Enrico Letta ha anche fissato la soglia: sopra il 25% dei consensi, alle prossime europee, sarebbe la tragedia. Si sbaglia: la tragedia consiste nell’incapacità e nell’inerzia delle famiglie politiche tradizionali, che ora sperano di sopravvivere non per meriti, ma solo perché gli altri si mettono le dita nel naso. Entriamo nel merito, che è quel che conta.
Gli attacchi all’Unione vengono condotti affermando che la Commissione e le varie presidenze hanno scarsa o nulla legittimazione democratica; il Parlamento si chiama così ma non ha i poteri di un vero Parlamento e, per giunta, lo si elegge su base dialettale; l’eurocrazia è più demenziale delle burocrazie nazionali, che già raggiungono vette spericolate; non ci sono politiche comuni sulle cose che contano, dall’economia all’immigrazione. Tutto vero. E c’è dell’altro.
Lo stato d’animo che viene vellicato è la paura. Gran parte degli europei ha paura di perdere il welfare state, ma, al tempo stesso, non ne può più di pagare tasse troppo alte per finanziarne gli sprechi. Chi prende voti in posizione “contro” ha la vita semplificata, perché basta dire che gli sprechi sono frutto di ruberie, mentre i privilegi del welfare un diritto dei cittadini. C’è del vero, ma nell’insieme è una superba cavolata. Il compito di chi facesse politiche serie, però, sarebbe quello di spiegare perché certe cose non sono più sostenibili e perché non si deve avere paura, ma si devono cogliere le opportunità che un mondo migliore, più aperto, meno in guerra offre. Gli “anti” usano la nostalgia del passato per accoppare la classe dirigente presente. I “per” dovrebbero sapere usare il futuro per superare le difficoltà del presente. Invece la classe dirigente spera di conservare se stessa biascicando la gnagnera tanto per benino: santi numi, aggrediscono il sogno europeo! Non s’avvedono che diventa un incubo.
Prendete il presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz: rilascia interviste dicendo che è ora di finirla con l’austerità e che l’Ue deve puntare allo sviluppo, smettendola di angariare quelli del sud. Bella cosa. Il fatto è che la decisione in tal senso non si prende in nessuna sede europea, ma in Germania, e siccome i socialdemocratici avevano nel loro programma gli eurobond (quindi una forma di federalizzazione dei debiti, senza cui non regge la federalizzazione della moneta), adesso non devono fare altro che imporla nella definizione del programma del governo di coalizione. Se non lo faranno (e non lo faranno) il populista è Schultz, che privilegia la propaganda sulla realtà.
Martedì prossimo i banchieri centrali si trovano a Francoforte, per il board della Banca centrale europea. All’ordine del giorno ci sono i tassi d’interesse, che dovrebbero seguire l’andamento indicato dalla statunitense Fed, quindi scendere. I tedeschi sono contrari e metterli in minoranza è pericoloso, perché ancora s’attende la sentenza della loro Corte costituzionale, che periodicamente mette in discussione la legittimità della moneta unica (con quel che comporta). Che facciamo: lasciamo che chi è in difficoltà subisca un danno nel mentre chi si è illecitamente arricchito (i tedeschi) continui a godere di un privilegio? Ricetta formidabile per far crescere gli antieuropeisti. Eccola, la fonte del populismo: parla tedesco. Si dirà: ma in Germania hanno avuto una sconfitta elettorale. Per forza, i concorrenti stavano al governo! (Leggete “La lezione della storia”, scritto da Gianni De Michelis con Francesco Kostner, e avrete cognizione di come presero forma accordi che dovevano essere rivisti e, invece, sono rimasti rigidi, quindi in pericolo di rottura).
L’Ue muore se questi problemi non si affrontano. L’euro salta se si fa finta di non vederne le terribili tare genetiche. I predicozzi europeisti hanno la stessa consistenza del populismo antieuropeo. Il guaio non è se un sentimento presente fra gli elettori trova proiezione nelle assemblee elettive, ma se lo si nasconde sotto al tappeto, lasciandoci sopra mobilio fatiscente, tarlato, polveroso. Una delle cose più rassicuranti, per me europeista, è vedere che la minaccia degli anti si fa forte e concreta. Buona premessa per sbarazzarsi degli inutili.

L’ ONDATA DI MALESSERE ANTI EUROPEO

Non basta dire no ai populisti


L’Unione Europea va ripensata. Bisogna prendere atto che le divisioni che l’attraversano sono ormai troppo profonde e che l’unico modo per non esasperarle ulteriormente è cambiare registro. È inutile, e controproducente, continuare a spendere vuota retorica a favore di una ipotesi di super Stato — gli Stati Uniti d’Europa — che probabilmente non nascerà mai e che, comunque, in questa fase storica, non interessa alla maggioranza degli europei. Tanto vale ridefinire la direzione di marcia e piegare le istituzioni verso una più realistica e fattibile soluzione «confederale» (le confederazioni, a differenza degli Stati federali, sono state assai frequenti nella storia umana). Ciò significa accettare che gli Stati europei mantengano il controllo su quasi tutto tranne che su poche cose essenziali, le quali devono ricadere sotto l’autorità degli organi confederali. Occorre stipulare un nuovo «patto europeo», di netta impronta confederale. È assurdo, ad esempio, che non esista una vera politica europea per l’immigrazione (una materia questa sì vitale) mentre, in compenso, da decenni, si rompono le scatole ai cittadini dell’Unione sfornando infiniti regolamenti su questioni inessenziali e sulle quali gli unici titolati a metter becco dovrebbero essere gli Stati nazionali e i governi locali. 
Forse, il vero salvataggio dell’Unione verrà alla fine dall’accordo per il libero scambio con gli Stati Uniti. Se oggi il più grave problema europeo, che alimenta tanta parte dell’antieuropeismo, è quello di una Germania troppo potente economicamente (e quindi politicamente) perché gli altri, a torto o a ragione, non se ne risentano, diluire quella potenza entro una più vasta area economica integrata potrebbe alleviare, col tempo, le difficoltà. Può essere che l’ondata antieuropeista colpisca a morte l’Unione. Ma può anche essere che si tratti di una sfida salutare. Le stanche élite europeiste potrebbero trovare la forza, il coraggio e l’immaginazione per fare i cambiamenti in grado di riconciliare gli europei con l’Europa.

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