domenica 1 dicembre 2013

L'ALLARME ACCORATO DI PANEBIANCO : SENZA PIù PROTEZIONI, L'ITALIA RISCHIA UNA DECADENZA SENZA RITORNO

 
Francamente non ricordo altre occasioni in cui la prosa del Professor Panebianco, una delle penne principe  e storiche del Corriere della Sera, mi fosse sembrata così sentita, quasi accorata.
A differenza di altri editorialisti (cito Galli della Loggia, Ostellino), non è il pathos il timbro di Panebianco e anche l'ironia, spinta fino ad un più o meno lieve sarcasmo, la ritrovo più in altri parimenti brillanti giornalisti (Giacalone, e poi Polito, Battista...). Non che il  Professore sia un freddo, ma il suo stile è sicuramente meno "latino" degli altri. Nell'editoriale di oggi invece personalmente ho percepito una preoccupazione (ricorrente) che stavolta sconfina nel quasi grido : attenzione che stavolta precipitiamo sul serio.
L'allarme scaturisce dalla perdita delle reti protettive che dal dopoguerra in poi ci hanno sempre in qualche misura accompagnati : prima furono gli americani, poi, in misura assai più modesta il sistema Europa.
Non ci sono più, che anche Panebianco è rimasto colpito dalla solo apparentemente piccola notizia delle strade tedesche che restano gratis per i cittadini germanici ma diventano a pagamento per gli "stranieri" e chissene frega se sono europei.
Anche la gestione della vicenda Berlusconi, con la clamorosa assenza della "buona politica" (termine che detesto, e che infatti tanto piaceva a Bersani e ai suoi ventriloqui, oggi un po' in disgrazia, come la Moretti), è stata condotta in un modo che lascerà pesanti strascichi anche nel futuro. Personalmente, rinfaccerò sempe a qualunque amico del PD (approfitto dell'occasione : meglio evitare il discorso, per un lungo po'... ) l'ipocrisia e l'incoerenza di Renzi, che per anni aveva predicato la necessità di battere Berlusconi alle urne e poi si è messo ventre a terra per cogliere l'occasione giudiziaria ( e voi, amici, appresso a lui ). 
Un concetto analogo lo aveva espresso Sergio Romano il giorno prima, rispondendo ad una lettrice che dall'Australia si congratulava per il pronunciamento senatoriale. 
La pacificazione auspicata dal Colle e dalle parti più ragionevoli del paese non è avvenuta, e i veleni di questa cosa sono in pieno circolo (basta leggere i moniti di cui sopra...) e chissà quanto tempo ci vorrà per disintossicarsi. Del resto c'è un precedente molto evidente e relativamente recente : io non ho mai visto tanto autentico odio (politico) come quello dei socialisti per i comunisti, ex o no che siano o si dicano. Che non vale viceversa, il che è ovvio perché sono i primi ad essre stati disintegrati giudizialmente e il loro leader costretto all'esilio.
Ma a parte questo, che agisce negativamente nel tessuto sociale, ci sono tutte le altre cose che NON vanno : un'economia soffocata da tasse, dirigismo, burocrazia, la debordazione giudiziaria (scrive proprio così Panebianco : diventato con l'età un pericoloso sovversivo ? ).
Da tutto questo, il timore, grande, concreto, "gridato" quasi, di una possibile disgregazione sociale, di una decadenza già in atto che potrebbe essere senza ritorno.

"Circoli viziosi e reti perdute" 
 
Dobbiamo decidere se diventare o no adulti responsabili. E dobbiamo deciderlo subito. Per un lunghissimo periodo abbiamo avuto tutori che si prendevano cura di noi, ci proteggevano dai pericoli della vita, e soprattutto da noi stessi. La democrazia italiana non è sopravvissuta così a lungo per merito nostro ma perché disponevamo di potenti protettori. Prima di tutto, gli americani. Ci hanno salvati, sconfiggendoli, da quei totalitarismi che hanno sempre esercitato su di noi una grande attrazione. E poi c’era l’Europa, ideale «caldo» solo per piccole élite visionarie e una comoda cuccia per tutti gli altri, generatrice di vantaggi economici (un bancomat sempre coperto) e, per noi italiani in particolare, utile vincolo esterno che doveva contrastare la debolezza della nostra volontà. Come Ulisse, senza vincoli, o così pensavamo, ci saremmo gettati in mare per seguire il canto delle sirene. I protettori si sono dileguati. Gli americani hanno altro a cui pensare e dell’Europa, ora che il bancomat risulta scoperto, in tanti pensano che non sia più una cuccia ma una prigione. Per giunta, l’Unione viene picconata ogni giorno, smantellata pezzo per pezzo. E, con essa, gli ideali che la sorreggevano. Come ha osservato ieri sul Corriere Gian Arturo Ferrari, la decisione tedesca di far pagare i pedaggi autostradali ai soli non tedeschi mostra la forza simbolica dirompente di certi piccoli gesti, ci dice sullo stato dell’Unione più di mille discorsi. Siamo soli insomma (l’interdipendenza con gli altri non esclude affatto la solitudine), e siamo di nuovo liberi di farci tutto il male che vogliamo. Prendiamo il caso Berlusconi. Solo una combinazione di mancanza di senso storico e di miopia politica, di incapacità di guardare al di là del proprio naso può fare pensare che non avrà effetti di lungo termine sulla democrazia italiana il fatto che un leader che ha rappresentato e rappresenta milioni di elettori sia stato messo fuori gioco per via giudiziaria anziché politica. Solo la suddetta combinazione può far pensare che non si tratti di un fatto che segnerà il nostro futuro, scaverà nelle coscienze, alimenterà rancori che si perpetueranno nel tempo. Berlusconi era stato condannato e la decadenza era inevitabile. Ma, come ha osservato Sergio Romano (sul Corriere di ieri), c’è modo e modo di affrontare un passaggio così delicato. La consapevolezza del fatto che la democrazia è un regime politico fragile, fragilissimo, che va maneggiato con delicatezza, avrebbe dovuto imporre un fair play politico che invece è mancato. Gli adulti lo comprendono, i bambini viziati no. Se poi guardiamo al quadro più generale dovremmo capire quanto sia urgente agire. L’interazione perversa fra una politica destrutturata, una amministrazione pubblica che imprigiona le energie sociali, una magistratura debordante, e una economia in via di deindustrializzazione, va affrontata con una forza e con capacità che fin qui nessuno ha mostrato di possedere. Il venir meno degli antichi protettori lo rende improcrastinabile. Si dice spesso che siano le situazioni di grande emergenza a creare le leadership in grado di venirne a capo. Ma si tratta di una visione provvidenzialistica che non trova sempre riscontro nei fatti. Qualcuno potrà dire che a salvarci sarà la struttura demografica della società. I vecchi non fanno le rivoluzioni. E i giovani sono troppo pochi per ribellarsi. Ma è un argomento a doppio taglio. Nella migliore delle ipotesi ci condanna a una irreversibile decadenza. E non è sufficiente comunque per escludere turbolenze e contraccolpi violenti. Non permette di dimenticare che gli ordini sociali, tutti, vivono sempre sotto la minaccia della disgregazione. Da come parlano, da come scrivono, e da come agiscono in tanti, sembra che questa minaccia non ci riguardi, che noi si disponga, chissà perché, di una qualche speciale esenzione. Nel Paese esistono ancora, per fortuna, grandi energie che aspettano di essere liberate e valorizzate. Ma tocca alla politica comprendere che non è più tempo di galleggiamenti. Gli schiaffi dati all’Italia dalle autorità di Bruxelles (come quello sulla legge di Stabilità) sono un segnale inequivocabile. Adesso c’è bisogno di una vera azione innovatrice e di leadership. La Germania fece (non con la Thatcher, con il socialdemocratico Gerhard Schröder) le riforme che andavano fatte. La Gran Bretagna di David Cameron fa ora, in chiave diversa, la stessa cosa. Solo noi ne siamo incapaci, solo noi crediamo che annunci, proclami e chiacchiere siano efficienti sostituti dell’azione? Solo noi siamo condannati a non potere sconfiggere i poteri di veto di cui dispongono gli interessi che pretendono che nulla mai cambi? Anche quando è ormai evidente che l’immobilismo non è più economicamente e socialmente sostenibile e che ci porta alla rovina? È arrivato il tempo di dimostrare che, anche senza catene, possiamo resistere alle sirene, ai nostri peggiori istinti.

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