SONO VERAMENTE NOBILI LE PAROLE QUANDO SONO VUOTE ? CONTRO LA RETORICA ANTIMAFIA
All'editoriale di domenica di Galli della Loggia, che invitava a uscire dalla retorica della legalità tipico dei cosiddetti professionisti civili dell'antimafia, hanno subito risposto con una lettera aperta gli interessati che non si sono smentiti : parole nobili e vuote (che poi, sono veramente nobili le parole quando sono vuote ? ).
Questo è un paese MALATO di retorica, basta vedere con quanta frequenza parole come "vergogna", "indignato", "morale" "etica" vengano scomodate da persone che , a guardarle da vicino ( e non serve nemmeno troppo ) si rivelano molto simili al resto dei loro concittadini di cui pure si sentono superiori. Io qualche persona veramente "diversa" l'ho conosciuta. Non arrivo alle dita di una mano, anzi forse mi fermo a 3, e in 50 anni dovrebbero essere pochini. Erano persone che veramente avevano un senso morale forte, strutturale . Ebbene, non credo di avergli MAI sentito pronunciare le parole sopra citate. Perché chi E' morale, lo è e basta, in genere non predica, e se proprio insegna, lo fa con l'ESEMPIO e non certo con le parole.
Non spreco spazio per la lettera firmata da gente che porta nomi importanti, senza, a mio avviso, essere all'altezza dei padri, come Dalla Chiesa (Nando) e Borsellino (Rita). Due frasi prese a caso sono esemplari del tutto "le realtà dell’associazionismo antimafia, che danno un contributo concreto a formare giovani generazioni più consapevoli" "noi arresteremo i loro padri, voi educherete i loro figli" (ok, la chiosa viene presa da una risposta di Borsellino, che però, oltre a fare della retorica, poi agiva concretamente, e va ricordato per questo, non certo per le frasi ad effetto).
Nessuno vuole sottacere l'importanza anche dell'educazione, e della memoria di persone che hanno dato la vita nella lotta contro le mafie, ma si contesta l'"industria" e il "carrierismo" che sono nate dietro questo nobile intento. La replica di Galli della Loggia è molto vivace e polemica, la condivido e la riporto.
Ma esorto ancor di più a leggere la bellissima lettera di saluto di Piero Sansonetti ai suoi lettori del quotidiano "L'Ora della Calabria", da lui diretto per tre anni.
Qui
non si tratta tanto di "ricordare", che non è come la Shoa (non
dimenticare affinché non si ripeta) : qui le Mafie non sono MAI
scomparse !! E il fatto che permangano nonostante i vari arresti
eccellenti di molti boss dimostra che la piovra non rigenera solo i
tentacoli ma anche le teste. Il problema non è solo di cultura ma SOPRATTUTTO economico. Che se un giovane lavorando nell'industria
criminale (nemmeno c'è bisogno di fare per forza chissà che crimini)
guadagna 1000 euro, e onestamente la metà, non so quanto "cultura e
onestà" possano fare argine.
La lettera di Sansonetti la trovate qui : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/12/il-saluto-di-sansonetti-ai-suoi-lettori.html
La replica di Galli della Loggia, di seguito
Buona Lettura
"Cultura antimafia, serve più concretezza"
Ammetto i miei limiti: non riesco proprio a capire quale «lavoro
didattico» che impegni «lunghi mesi di lavoro serio in classe», «anni»
addirittura, serva — come scrivono gli autori della lettera pubblicata
ieri sul Corriere in risposta al mio editoriale di domenica sulla
«cultura dell’antimafia» — per «formare giovani generazioni di adulti
più consapevoli e attrezzati a scegliere tra giustizia e illegalità»
(forse volevano dire tra legalità e illegalità: la giustizia è un’altra
cosa, anche se forse il lapsus non è casuale…). Essi sostengono che tale
lavoro di mesi e anni serve a «imparare a conoscere storie e persone
della battaglia contro le mafie e a comprendere i mille modi in cui sa
esprimersi e ferire una cultura criminale». Cioè? Che cosa significano
in concreto queste parole? Di che cosa parla, in concreto, chi è
chiamato a insegnare «cultura della legalità»? Spiega forse che cosa è
il «pizzo» o un appalto truccato? Che cosa è un «pusher»? Ma davvero è
immaginabile — mi chiedo— che un ragazzo palermitano o napoletano abbia
bisogno che gli si spieghino queste cose? Che cos’altro gli viene
insegnato allora? che queste cose sono proibite dalla legge, che
costituiscono un reato e che non bisogna commettere reati? Ma di nuovo:
c’è forse qualcuno che lo ignora?
Per carità, sono umanamente più
che comprensibili «le tante voci dei familiari delle vittime — come essi
stessi dicono — che chiedono di ricordare e di far ricordare», ma dopo
tanti anni d’insegnamento della cultura della legalità il vero,
decisivo, argomento che i rappresentanti dell’ «associazionismo
antimafioso» (vedo che esiste addirittura una tale categoria: un po’
come l’associazionismo sportivo o quello della «caccia e pesca»)
dovrebbero adoperare, se mai potessero, è quello dei fatti: cioè
dell’eventuale diminuzione non dico dei reati e del giro d’affari
riconducibili alla malavita organizzata (che invece, secondo i nostri
Servizi e la Commissione antimafia sono in aumento), ma almeno del
numero degli affiliati (ciò che appare altrettanto dubbio). A che
servono se no i loro sforzi? In mancanza di quanto ora detto, se ne
facciano una ragione, tutto diventa materia opinabile. Anche se
naturalmente non sono così sciocco da non capire che mentre dalla parte
della «cultura della legalità» stanno il politicamente corretto,
l’opportunità e la convenienza sociale, i buoni sentimenti e un facile
consenso, dalla parte di chi la critica, invece, c’è solo modo di
ricevere commenti indignati e rimbrotti. Ciò nonostante mi ostino a
credere che così come si insegna ad amare l’Italia leggendo Leopardi e
De Sanctis e non già impartendo lezioni sulla bontà del patriottismo;
che così come si insegna a essere dei buoni cittadini apprestando
istituzioni efficienti e avendo una classe politica onesta e non già
concionando sulla Costituzione «più bella del mondo»; allo stesso modo
si insegna davvero la legalità assicurando che chiunque la violi venga
processato e condannato sempre e nel più breve tempo possibile, non già
organizzando corsi, flotte e convegni vari. È forse un mio limite, ma io
la penso così .
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