martedì 24 dicembre 2013

SONO VERAMENTE NOBILI LE PAROLE QUANDO SONO VUOTE ? CONTRO LA RETORICA ANTIMAFIA


All'editoriale di domenica di Galli della Loggia, che invitava a uscire dalla retorica della legalità tipico dei cosiddetti professionisti civili dell'antimafia, hanno subito risposto con una lettera aperta gli interessati che non si sono smentiti : parole nobili e vuote (che poi, sono veramente nobili le parole quando sono vuote ? ). 
Questo è un paese MALATO di retorica, basta vedere con quanta frequenza parole come "vergogna", "indignato", "morale" "etica" vengano scomodate da persone che , a guardarle da vicino ( e non serve nemmeno troppo ) si rivelano molto simili al resto dei loro concittadini di cui pure si sentono superiori. Io qualche persona veramente "diversa" l'ho conosciuta. Non arrivo alle dita di una mano, anzi forse mi fermo a 3, e in 50 anni dovrebbero essere pochini. Erano persone che veramente avevano un senso morale forte, strutturale . Ebbene, non credo di avergli MAI sentito pronunciare le parole sopra citate. Perché chi E' morale, lo è e basta, in genere non predica, e se proprio insegna, lo fa con l'ESEMPIO e non certo con le parole.
Non spreco spazio per la lettera firmata da gente che porta nomi importanti, senza, a mio avviso, essere all'altezza dei padri, come Dalla Chiesa (Nando) e Borsellino (Rita). Due frasi prese a caso sono esemplari del tutto "le realtà dell’associazionismo antimafia, che danno un contributo concreto a formare giovani generazioni più consapevoli" "noi arresteremo i loro padri, voi educherete i loro figli" (ok, la chiosa viene presa da una risposta di  Borsellino, che però, oltre a fare della retorica, poi agiva concretamente, e va ricordato per questo, non certo per le frasi ad effetto). 
Nessuno vuole sottacere l'importanza anche dell'educazione, e della memoria di persone che hanno dato la vita nella lotta contro le mafie, ma si contesta l'"industria" e il "carrierismo" che sono nate dietro questo nobile intento. La replica di Galli della Loggia è molto vivace e polemica, la condivido e la riporto.
Ma esorto ancor di più a leggere la bellissima lettera di saluto di Piero Sansonetti ai suoi lettori del quotidiano "L'Ora della Calabria", da lui diretto per tre anni.
Qui non si tratta tanto di "ricordare", che  non è come la Shoa (non dimenticare affinché non si ripeta) : qui le Mafie non sono MAI scomparse !! E il fatto che permangano nonostante i vari arresti eccellenti di molti boss dimostra che la piovra non rigenera solo i tentacoli ma anche le teste. Il problema non è solo di cultura ma  SOPRATTUTTO economico. Che se un giovane lavorando nell'industria criminale (nemmeno c'è bisogno di fare per forza chissà che crimini) guadagna 1000 euro, e onestamente la metà, non so quanto "cultura e onestà" possano fare argine. 

La  lettera di Sansonetti la trovate qui :  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/12/il-saluto-di-sansonetti-ai-suoi-lettori.html

La replica di Galli della Loggia, di seguito
Buona Lettura  


"Cultura antimafia, serve più concretezza"
 
Ammetto i miei limiti: non riesco proprio a capire quale «lavoro didattico» che impegni «lunghi mesi di lavoro serio in classe», «anni» addirittura, serva — come scrivono gli autori della lettera pubblicata ieri sul Corriere in risposta al mio editoriale di domenica sulla «cultura dell’antimafia» — per «formare giovani generazioni di adulti più consapevoli e attrezzati a scegliere tra giustizia e illegalità» (forse volevano dire tra legalità e illegalità: la giustizia è un’altra cosa, anche se forse il lapsus non è casuale…). Essi sostengono che tale lavoro di mesi e anni serve a «imparare a conoscere storie e persone della battaglia contro le mafie e a comprendere i mille modi in cui sa esprimersi e ferire una cultura criminale». Cioè? Che cosa significano in concreto queste parole? Di che cosa parla, in concreto, chi è chiamato a insegnare «cultura della legalità»? Spiega forse che cosa è il «pizzo» o un appalto truccato? Che cosa è un «pusher»? Ma davvero è immaginabile — mi chiedo— che un ragazzo palermitano o napoletano abbia bisogno che gli si spieghino queste cose? Che cos’altro gli viene insegnato allora? che queste cose sono proibite dalla legge, che costituiscono un reato e che non bisogna commettere reati? Ma di nuovo: c’è forse qualcuno che lo ignora?
Per carità, sono umanamente più che comprensibili «le tante voci dei familiari delle vittime — come essi stessi dicono — che chiedono di ricordare e di far ricordare», ma dopo tanti anni d’insegnamento della cultura della legalità il vero, decisivo, argomento che i rappresentanti dell’ «associazionismo antimafioso» (vedo che esiste addirittura una tale categoria: un po’ come l’associazionismo sportivo o quello della «caccia e pesca») dovrebbero adoperare, se mai potessero, è quello dei fatti: cioè dell’eventuale diminuzione non dico dei reati e del giro d’affari riconducibili alla malavita organizzata (che invece, secondo i nostri Servizi e la Commissione antimafia sono in aumento), ma almeno del numero degli affiliati (ciò che appare altrettanto dubbio). A che servono se no i loro sforzi? In mancanza di quanto ora detto, se ne facciano una ragione, tutto diventa materia opinabile. Anche se naturalmente non sono così sciocco da non capire che mentre dalla parte della «cultura della legalità» stanno il politicamente corretto, l’opportunità e la convenienza sociale, i buoni sentimenti e un facile consenso, dalla parte di chi la critica, invece, c’è solo modo di ricevere commenti indignati e rimbrotti. Ciò nonostante mi ostino a credere che così come si insegna ad amare l’Italia leggendo Leopardi e De Sanctis e non già impartendo lezioni sulla bontà del patriottismo; che così come si insegna a essere dei buoni cittadini apprestando istituzioni efficienti e avendo una classe politica onesta e non già concionando sulla Costituzione «più bella del mondo»; allo stesso modo si insegna davvero la legalità assicurando che chiunque la violi venga processato e condannato sempre e nel più breve tempo possibile, non già organizzando corsi, flotte e convegni vari. È forse un mio limite, ma io la penso così .

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