E' uscito un po' dal radar il femminicidio. Non perché le donne non vengano più uccise, ma forse perché ci siamo allontanati dalla giornata della memoria di questi delitti oppure stiamo verificando che l'introduzione della nuova legge votata per contrastare il fenomeno, al momento non dà traccia di aver sortito alcun effetto di deterrente psicologico. Una donna ogni tre giorni veniva uccisa prima, altrettanto accade oggi.
Non è un fenomeno in aumento, non è in calo.
Viceversa, siccome le mafie si sono calmate, almeno sul piano delle guerre tra loro o contro lo Stato, in generale gli omicidi sono diminuiti in Italia, raggiungendo un livello minimo sconosciuto dall'Unità d'Italia. Anzi, siamo tra i paesi leader nel mondo da questo punto di vista, nel senso che da noi c'è il minone numero di delitti di sangue.
Bè, ogni tanto un primato positivo.
La diminuzione sensibili di omicidi rigiarda però gli uomini, che, come detto, quello delle donne rimane pressoché costante. Allo stesso tempo, è un numero di gran lunga inferiore, le uccisioni delle donne, rispetto a paesi come l'Austria e la Finlandia, notoriamente assai più avanti di noi in quanto a cultura dell'emancipazione femminile.
Ecco, Filippo Facci parte da questo dato sorprendente per porre una riflessione provocatoria : in quei paesi gli omicidi tra uomini e donne si equiparano di numero PROPRIO perché le donne sono considerate uguali.
Da noi il numero, tragicamente alto, è inferiore comparativamente per una minore considerazione del genere femminile.
Insomma, il rischio è che, con una maggiore emancipazione, avremo una crescita dei delitti contro le donne che a quelli attuali, dovuti più spesso ad una mentalità arcaica del possesso della donna, si aggiungeranno gli "altri".
Non è una prospettiva entusiasmante, ancorché non per questo si voglia sostenere che allora meglio non progredire.
Semplicemente, bisogna fare i conti con la realtà fattuale, per cercare di trovare risposte e soluzioni giuste.
Senza seguire istinto e/o gli input della piazza preoccupata (e fomentata).
Il Post che segue contiene una analisi del problema di Filippo Facci, scritto un paio di mesi fa, proprio in occasione del 25 novembre, giornata dedicata alle donne vittime di violenza, e che trovo utile per riflessioni non banali su un tema così delicato
Buona Lettura
Il matrimonio come aggravante
Quando le impegnate del «femminicidio» scopriranno la verità, un giorno, questa moda – perché è una moda – sarà passata da un pezzo e il risveglio sarà amarissimo. Perché scopriranno, paradossalmente, che più questo Paese diverrà «civile» e più aumenteranno gli omicidi di donne: non il contrario. Capiranno, quel giorno, perché certi paesi evoluti come l’Austria e la Finlandia – ne citiamo due in cui la parità uomo-donna è palesemente superiore – hanno tassi di «femminicidio» tre volte superiori ai nostri. Comprenderanno, cioè, la verità innominabile: che più un paese è evoluto – e più la parità è pienamente raggiunta – e più gli omicidi tra uomini e donne tenderanno a equivalersi: non il contrario. Anche perché c’è un dato che forse non è chiaro a tutti: in Italia si uccidono meno donne rispetto a tutto l’Occidente, per cui inventarsi improvvisamente che il femminicidio sia una «vera emergenza sociale» suona quantomeno come falso. I dati sono i dati, e sono debitore a Davide De Luca per avermeli fatti apprendere: Istat, Onu e ministero dell’Interno dicono che il femminicidio è in calo, dunque parlare di «escalation», come fa anche la presidente della Camera Laura Boldrini, è sbagliato. Quello che i dati non dicono, ma che sappiamo, è che l’Italia non brilla per emancipazione femminile: col risultato che le donne le ammazzano di meno anche per questo, perché contano meno, sicché, se le ammazzano, quando le ammazzano, spesso lo fanno specificamente perché sono donne, rapprese cioè in una visione femminile arcaica.
Possiamo farci qualcosa? Possiamo o dobbiamo fare delle campagne di sensibilizzazione eccetera? Ma certo che possiamo e dobbiamo, anzi, siano benemerite. Va bene la legge sullo stalking del 2009, vanno bene le giornate contro la violenza sulle donne (se proprio piacciono) e va bene tutto, anche abolire Miss Italia, anche tuonare contro certi spot molto «latini» in cui emancipazione significa che le casalinghe lavano i pavimenti coi tacchi a spillo. Vanno bene persino le sette-pagine-sette che Repubblica ha dedicato all’argomento, venerdì. Purché sia chiaro che, per una volta, il problema è davvero un altro, è davvero più complesso, e che la soluzione del problema femminicidio – termine che resta fuorviante – sarà sempre vagone e non locomotiva, sarà sempre a strascico di un’evoluzione complessiva della società, sarà sempre la declinazione di una disparità tra generi che in Italia persiste più che altrove: è impensabile, dunque, trasformarla in una battaglia separata, che viaggi per conto suo, soprattutto ridondante autentiche e pericolose sciocchezze. Ci vuole lavoro ma anche tempo. in un’intervista alla Stampa, Laura Boldrini ha detto che alcuni spot sono irreali: «In quali famiglie l’uomo torna a casa, si butta sul divano e aspetta di essere servito a tavola?». In moltissime, dottoressa Boldrini. «Perché usare il corpo di una donna», si è chiesta ancora, «per promuovere computer o mobili?». Perché funzionano, dottoressa Boldrini: il marketing pubblicitario soppesa le proprie campagne con attenzione maniacale, e si smetterà di farle quando non funzioneranno più, e non funzioneranno più quando il Paese sarà definitivamente cambiato: ci stiamo lavorando, ci sta lavorando anche lei, ma non accade dall’oggi al domani.
Quello che non deve accadere mai, piuttosto, è che il «femminicidio» possa diventare un’aggravante dell’omicidio: c’è chi lo chiede. Altri hanno invocato che divenisse addirittura un reato a parte, introducendo una discriminazione di genere che peraltro è contro la Costituzione. Sempre venerdì, Repubblica diceva che «i femminicidi costano 17 miliardi all’anno alla comunità»: ma che vuol dire? E gli altri omicidi? C’è questa giornata contro la violenza, sarà per questo ma i giornali di questi giorni sono scatenati. Un’associazione veronese si è costituita parte civile nel processo per l’omicidio di una donna, Lucia Bellucci: «Ogni femminicidio», hanno dichiarato, «non è fatto privato, ma fatto politico che offende non solo il diritto ad esistere della singola donna, ma di tutte le donne». Traduzione: ci sono delle donne che vogliono dei soldi perché hanno ucciso un’altra donna, anche se manco la conoscevano. L’omicidio di un uomo è meno grave, perché non è politico. Gli uomini ammazzati sono più del doppio delle donne (il rapporto è 7 a 3) ma almeno sono emancipati.
Battutine inutili? Mica tanto, perché la legge sul femminicidio non fa ridere per niente, e – approvata in fretta e furia, forse per ansia mediatica – contiene delle norme e delle aggravanti che paiono perlomeno discutibili. Discutibilissima, per esempio, è l’irrevocabilità delle denunce: una volta fatte non si può più tornare indietro, quindi addio mediazioni, ripensamenti e possibili ravvedimenti; e conoscendo i livelli di conflittualità a cui può arrivare una coppia – laddove ad accuse vere se ne mischiano spesso di false, tanto per fare mucchio – il rischio di ingiustizie oggettivamente c’è. Così come un altro rischio, da Stato di polizia, è quello per cui le forze dell’ordine possano disporre l’allontanamento dalla famiglia di un uomo (la legge parla solo di uomini) anche senza il vaglio di un giudice. Poi il decreto prevede due aggravanti in caso di violenza sessuale, una delle quali è «l’essere legato da relazione affettiva» con la donna aggredita: per esempio esserne il marito, anche separato o divorziato. In parole povere, la pur biasimevole violenza perpetrata da un marito, o ex marito, è doppiamente grave rispetto a uno stupro fatto per strada da uno sconosciuto: quest’ultimo rischia 6 anni, il marito 12. E nelle mani dei giudici abbiamo messo anche questo: stabilire le differenze tra affetto, desiderio, un misto tra i due, possessività, oppure follia, raptus, capacità d’intendere o di volere eccetera. Oltre ogni ragionevole dubbio.
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