Che Renzi sia un ottimo comunicatore lo dice lo stesso Berlusconi, che ha sempre pensato di essere l'unico ad avere simile dote nel panorama politico italiano. Oggi ammette che il toscano ha stoffa in materia, e molta. Ovviamente NON quanta il "maestro", che potrà sempre chiedergli "sì bravo, ma tu finora che hai fatto nella vita oltre la politica?", che è un refrain noto berlusconiano che magari conserva, nelle frange folte dell'antipolitica, un fascino imperituro.
Renzino ha un linguaggio "smart", giovanile, cerca di tradurre in ironia la vis polemica, con risultati alterni (con Fassina, gli è venuta male e lo ha dovuto ammettere).
Si presenta come l'uomo del Fare dopo 20 anni di immobilismo, suscitando molte speranze.
Ovviamente questo stile così diretto gli procura anche grandi inimicizie, che si aggiungono alla naturale e fisiologica battaglia politica, che resta vivace all'interno del suo stesso partito.
Di fondo, una parte dei suoi, allo stato minoritaria (hanno appena perso il Congresso), gli rimprovera proprio quello che dice di voler fare, mentre dall'altro lato la contestazione è che finora si assiste solo ad una tracimazione di parole, che tra l'altro, quando a parlare sono le sue donne, le nuove della segreteria, spesso non sono comprensibili o sono proprio sbagliate (Maroni docet).
Lui da questo punto di vista se la cava indubbiamente meglio, come dimostra in questa lunga intervista con Aldo Cazzullo del Corriere della Sera.
Alla fine della lettura resta una sensazione nota : condivisione di massima, ma crescente attesa dei fatti.
Renzi dice che sulla legge elettorale si è fatto più in tre mesi che in tre anni. Perché, la legge c'è ? No, e io continuo a leggere mille distinguo da parte di tutte le forze politiche, la sua compresa.
Dunque o lui sa qualcosa che noi non sappiamo (un'intesa di massima con Forza Italia per esempio, che poi, conoscendo il Cav. , fino all'ultimo istante non è mai detto ) oppure il "nostro" sottovaluta i suoi avversari che sono numerosi e sparsi ovunque.
Nel lasciarvi all'intervista, ricordo che i passaggi evidenziati, sono quelli condivisi. Non pochi, tutto sommato, ma si tratta per lo più di principi e/o considerazioni generali.
Buona Lettura
«Governo avanti ma non così Sono leale, quindici giorni decisivi»
Osteria d’Oltrarno, il sindaco arriva in bicicletta, è il suo compleanno, i passanti fiorentini gli fanno gli auguri.
Renzi, il quadro emerso dal suo incontro con Letta è univoco: accordo fatto, nel 2014 si lavora insieme, rimpasto e codice di comportamento. È davvero così? O si rischia ancora una rottura?
«Non si rischia nessuna rottura. Ma guardiamo la realtà: la popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, né l’emergenza finanziaria. Se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere: piazze, asili, pedonalizzazioni. Se mi chiedono cos’ha fatto il governo in questi undici mesi faccio più fatica a rispondere. Per questo motivo bisogna cambiare passo».
Lei stesso riconosce che l’emergenza finanziaria è passata.
«Ma la disoccupazione è aumentata. Su twitter ho visto un vecchio manifesto del Pd. Dicevamo allora: “La disoccupazione giovanile è al 29%; Berlusconi dimettiti!”. Oggi siamo al 42 e governiamo noi. Quindi bisogna avere il coraggio di dire che qualcosa non funziona. Il mondo sta correndo. Nell’ultimo trimestre del 2013 gli Stati Uniti sono cresciuti del 4%. L’Italia è ferma».
Letta rivendica di aver diviso la destra.
«Mi pare che abbiano fatto tutto da soli. E comunque lei è sicuro che Alfano abbia rotto con Berlusconi? In Piemonte, Basilicata, Sardegna si presentano alle elezioni insieme, come in quasi tutti i quasi quattromila Comuni in cui si voterà in primavera. Non basta dividere la destra, bisogna governare il Paese. E io voglio dare una mano a Enrico. Mi sento legato a un vincolo di lealtà: diamo l’ultima chance alla politica di fare le cose. Le mie ambizioni personali sono meno importanti delle ambizioni del Paese: io sono in squadra».
Come sono davvero i rapporti tra lei e Letta?
«Enrico non si fida di me, gliel’ho detto l’altro giorno. Ma sbaglia. Io le cose le dico in faccia. E sono le stesse che dico in pubblico: non uso due registri diversi. Impareremo a conoscerci. Ma ora è importante finalmente mantenere gli impegni e realizzare le promesse».
Allora il governo andrà avanti per tutto il 2014?
«Andare avanti significa non stare fermi. Quindi, sì, certo, il governo proseguirà per tutto il 2014. Ma non può andare avanti così. Più decisi, più concreti, più rapidi nelle scelte. Anche per questo il Pd proporrà che il contratto di coalizione, Impegno 2014, non sia un documento scritto in democristianese, con il preambolo e frasi arzigogolate. No, noi in direzione proporremo che il patto di coalizione sia un file Excel».
Spiega anche a noi over 39 cos’è un file Excel?
«Nella prima casella si indica la cosa da fare, nella seconda i tempi in cui la si fa, nella terza il responsabile che la fa. Un esempio? Tagliamo del 10% il costo dell’energia per le piccole e medie imprese: chi lo fa, entro quando; poi si comunica. Le rendite finanziarie sono tassate al 20%, il lavoro praticamente al 50: riequilibriamo? Bene: quando, come e chi. Cose concrete. Il primo che mi parla di “semplificare la pubblica amministrazione” lo rincorro; noi dobbiamo mettere on line in qualche settimana tutte le spese della pubblica amministrazione. Vivo l’urgenza come un dramma e mi stupisco che a Roma non si rendano conto della necessità di correre. Saranno quindici giorni decisivi. Dobbiamo votare la legge elettorale. Trasformare il Senato nella Camera delle autonomie, senza elezione e senza indennità. Abolire le province. Tagliare un miliardo di costi della politica: un tema su cui sto ancora aspettando la risposta di Grillo. Se avviamo queste riforme, la politica italiana darà il buon esempio. Allora si potrà anche pensare di andare oltre il vincolo del 3%, per far ripartire l’economia o modificare il lavoro. E si può allentare il patto di stabilità interno: perché i Comuni virtuosi non possono spendere per l’edilizia scolastica? Mi interessa di più la stabilità di una scuola che la stabilità burocratica».
Pensa anche lei, come il suo braccio destro Nardella, che il ministro dell’Economia debba essere un politico?
«Il problema non è Saccomanni. Il problema è la forma mentis burocratica. È la politica che non decide e non agisce. Chiarezza di obiettivi, rapidità di esecuzione. Sulla legge elettorale abbiamo fatto più in questo mese che negli ultimi tre anni. Venendo qui ho incontrato una signora che mi ha preso in giro per il Jobs act: “Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!”. Ha ragione: basta anglicismi. Però abbiamo sottratto la discussione sul lavoro agli “esperti” e l’abbiamo portata in pubblico. I dilettanti hanno fatto l’arca. Gli “esperti” hanno fatto il Titanic».
È segretario da un mese e già si celebra?
«Per carità, ancora non abbiamo fatto nulla. L’unico Matteo che emoziona gli italiani è il don Matteo di Terence Hill. Ma abbiamo dato una bella scossa, vedrà che i risultati arriveranno».
Il Jobs act o come si chiama adesso a Giovannini non è piaciuto.
«È sicuramente migliorabile. Compito dei ministri però non è dare giudizi o opinioni, come i professori o gli ospiti dei talk show. Compito dei ministri è fare le cose. Che abbiamo fatto in questi mesi? Perché la disoccupazione è cresciuta? Giovannini dovrebbe rispondere su questo».
Mattarellum, sindaco d’Italia, spagnolo: tra le sue proposte quale passerà?
«Quella che avrà il consenso più ampio. Che però dovrà comprendere le altre riforme, a cominciare da Senato, titolo V, taglio di un miliardo dei costi della politica. Facciamo un pacchetto unico...».
Incontrerà Berlusconi? Non teme che si tiri indietro a un passo dall’accordo, come in passato?
«Berlusconi è il leader del principale partito d’opposizione insieme a Grillo. Se serve, lo incontrerò. Per il momento non ne vedo la necessità, proprio perché ancora non ci siamo. Ma non accetto di escludere Forza Italia dalle riforme. Le regole si scrivono insieme anche alle opposizioni e non hanno senso i veti. Di solito mette i veti chi non ha i voti».
Alfano mette il veto sulle nozze gay.
«Ognuno di noi, quando a scuola il professore lo interrogava e non aveva studiato, aveva il suo argomento a piacere. Il mio era la seconda guerra mondiale. Quello di Alfano sono le nozze gay: se si trova in difficoltà su qualcosa lancia un’agenzia su questo tema e “mette in guardia” da questa sinistra pericolosa. Io non parlo di matrimonio gay. Parlo di unioni civili. Siamo l’unico Paese dell’Occidente a non avere una legge che le riconosca. La faremo».
Esiste l’ipotesi che lei vada a Palazzo Chigi prima delle elezioni?
«A Palazzo Chigi c’è Enrico Letta».
Il sindaco di Bologna Merola, di Bari Emiliano, di Brescia Del Bono, di Salerno De Luca si sono espressi per il voto anticipato a maggio. Cosa risponde?
«I sindaci sono arrabbiati e hanno ragione. Ci sono troppi burocrati che pensano di risolvere i problemi scaricandoli su di loro. Il balletto delle tasse sulla casa è indecente. Si finge di togliere l’Imu a Roma per far contenti Brunetta e Alfano e si costringono i sindaci a prendersi gli insulti dei cittadini. Ma le elezioni non sono la soluzione. Alcuni di loro mi hanno mandato sms: “Matteo, è il tuo turno”. No, non è così: io faccio un passo indietro sul piano delle ambizioni personali, purché sia una rincorsa per fare quel che serve al Paese».
Come sono davvero i suoi rapporti con Napolitano?
«Buoni. Per il presidente ho grande rispetto umano, personale, politico e istituzionale. In questi anni, nel rispetto delle sue prerogative, ha supplito alle mancanze della politica. Credo che il suo vero obiettivo sia lasciare il Quirinale una volta che le riforme siano fatte; e credo che ne abbia diritto. Il miglior modo per rispettarlo non è fare comunicati per elogiare il suo discorso di fine anno; è fare le riforme che ci chiede. A partire dalla legge elettorale».
Vorrebbe Vendola nel Pd?
«Perché no? Io sono per il bipartitismo. Pisapia a Milano, Zedda a Cagliari, lo stesso Vendola in Puglia governano con la stessa coalizione con cui governiamo Fassino, Emiliano e io».
Il caso Fassina le ha attirato molti rimproveri sul suo stile arrogante.
«Potevo risparmiarmi la battuta, certo. Ma un viceministro dell’economia si dimette per i dati della disoccupazione, o per il pasticcio dei 150 euro dati, tolti e ridati agli insegnanti; non per una Chi? Non siamo all’asilo. Io non rinuncio a essere me stesso, alla mia bicicletta, e anche alle battute. Ma chiedo di essere giudicato sui fatti. Se mi fossi dimesso tutte le volte che Fassina mi ha insultato...».
Guardi che c’è il codice di comportamento.
«Ho visto che Letta lo ha proposto in una intervista. Non so di preciso cosa intenda. Escludo che si parli di galateo. Suggerisco il primo articolo: è vietato combinare guai come quello dell’Imu o degli insegnanti o delle slot machine. Questo mi sembra il codice di comportamento migliore: smettere con i pasticci. Però il codice di comportamento a qualche ministro effettivamente servirebbe: occorre più stile».
Non teme una scissione a sinistra del Pd?
«E perché dovrebbero andarsene? Perché hanno perso? Non abbiamo cambiato i capigruppo, Cuperlo è presidente. Quando andai io in minoranza, diedi una mano; mi aspetto che l’attuale minoranza faccia altrettanto. Magari la prossima volta tornerò in minoranza e toccherà a un altro. Noi siamo una comunità, e l’abbiamo capito ritrovandoci impauriti e preoccupati davanti all’ospedale in cui è ricoverato Pier Luigi Bersani. Siamo una comunità di persone con idee e storie diverse, ma unite da valori comuni e dall’obiettivo di cambiare l’Italia».
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