lunedì 6 gennaio 2014

RENZI, VELOCE NELLE BATTUTE, MA NELLE DECISIONI ?


Lo ripetiamo sempre : il Renzi del 2013 non ci piace mentre c'era piaciuto e molto quello del 2011 e anche 2012.Lo abbiamo sostenuto alle primarie perse contro Bersani, e lo avremmo votato alle politiche del febbraio 2013. Non lo abbiamo fatto alle ultime primarie e non lo faremmo in elezioni per il governo che si tenessero domani.
Ma magari dopodomani Renzino avrà resettato la sbornia da trionfo elettorale (in casa, che come ripete simpaticamente il buono Diego Bianchi, in arte "Zoro" , le primarie per il segretario sono le uniche elezioni dove quelli del  PD vincono di sicuro...) , avrà fatto una migliore cernita delle cose da Fare e COME, ce lo dirà facendoci capire che stavolta è quella giusta e chissà...
Oggi, come scrive bene Polito nell'articolo che segue, si può pensare che Renzi debba fare il salto di qualità, e che bisogna attendere fiduciosi che lo faccia, così come potrebbe essere di no, che il sindaco di Firenze e segretario del PD non abbia nessuna montagna di ghiaccio sotto la punta che emerge dall'acqua, e che l'eccesso di tattica celi l'assenza di una vera strategia, o "visione", come più suggestivamente si dice oggi.
Quale accendiamo ? Al momento, si è capito, la mano tende verso la soluzione numero 2, ma saremmo ben contenti, lo dico con convinzione, di essere smentiti. 
Da applauso convinto la chiosa del bravo opinionista del Corsera.
Buona Lettura
 


"Vizi, battute e intrighi da Prima Repubblica"

Può darsi che il problema di Renzi, che comincia a creargli qualche grattacapo nel suo stesso partito, sia solo una sindrome da iperattivismo, magari acuita dalla assuefazione al tempo breve e alla battuta pronta dei social network. D’altra parte i titoli sono una droga per i politici, e se uno scopre il modo più semplice e meno faticoso per ottenerli, è fatale cadere in una forma di dipendenza. Può darsi dunque che anche nel caso Fassina si sia manifestata la sventatezza di un leader ancora giovane piuttosto che l’avventatezza di un politico che non si farà mai leader. Molti lo sostengono: Renzi è in fase di crescita. Aspettate che impari a calibrarsi su un tempo più lungo e a selezionare obiettivi più precisi, e la sua iperattività si trasformerà in vero cambiamento piuttosto che in semplice «ammuina». È l’ipotesi migliore, e quella che devono augurarsi tutti coloro che vogliono rimettere in sesto il nostro sgangherato sistema politico. Prevede che il 2014 sia un anno fattivo, che porti le riforme, che la maggioranza regga senza condannarsi all’immobilismo, sotto la spinta di un leader giovane ma dotato della gravitas necessaria per aspirare al governo di una delle più grandi potenze industriali del mondo. C’è poi l’ipotesi peggiore, ed è quella che francamente sembra scaturire dalla lettura dei giornali di questi giorni: e cioè che il ritorno della politica sulla plancia di comando, dopo tanti tecnici e governi di emergenza, non annunci il sol dell’avvenire della Terza Repubblica ma rischi piuttosto di riportarci agli intrighi, alle ipocrisie e alle furbizie della Prima. I più maligni degli analisti leggono infatti le vicende di queste ore come un gigantesco gioco degli specchi: Renzi finge di voler fare le riforme ma vuol solo votare subito; finge di sostenere il governo ma vuol farlo cadere anche a costo di riportare in gioco Berlusconi, regalandogli sul piatto della legge elettorale la testa di Alfano e distruggendo la speranza di un centrodestra moderno; fa dunque una provocazione al giorno per indebolire Letta. Dal canto suo Fassina finge di offendersi ma si dimette dal governo per tornare a fare la cosa che sa fare meglio, l’agitatore di sinistra, come ai tempi di Monti. Letta finge di non vedere e finge che tutto vada bene. Tutti insieme fingono di chiamare «contratto di governo» ciò che altro non è se non la cara, vecchia verifica, forse accompagnata dal caro, vecchio rimpasto, e che forse in ossequio ai tempi sarà ribattezzato «make up». L’unica novità sarebbe la coreografia, con le riunioni di partito che si fanno a casa del leader, il nome stampato a caratteri cubitali sulla parete al posto del simbolo, per una riedizione in chiave moderna del partito personale, già ribattezzato «Forza Eataly», in cui le correnti non ci sono più perché ne è permessa solo una. Se questa seconda ipotesi fosse quella giusta sarebbero guai seri per la nostra democrazia, che non è affatto ancora uscita da un rischio-Weimar, e che ha bisogno di un anno di grandi risultati per dare un senso a due anni di grandi sacrifici. Gli italiani sono infatti stufi di questi giochetti, vogliono il nuovo perché sperano che porti novità, non una nuova guerra civile permanente. Proprio chi più ha promesso novità, come Renzi, sarà giudicato da quante ne saprà produrre, non da quante ne annuncerà. C’è un livello di responsabilità oltre il quale non conta più la rapidità di battuta ma quella di decisione. Renzi l’ha abbondantemente superato. Speriamo che se ne sia accorto.

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