Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
domenica 9 febbraio 2014
CARO AINIS, FORSE SONO GLI ARBITRI CHE DEVONO SMETTERE DI FARE I GIOCATORI
Oggi mi è capitato, ed è una delle rarissime volte, di non essere d'accordo con il peraltro bravissimo e sempre acuto Michele Ainis, costituzionalista e ormai da tempo stimato editorialista sul Corsera.
E' senza dubbio vero che l'esistenza di variegati fronti di opposizione (che però in Italia non è una cosa del tutto desueta, la novità è la consistenza delle stesse) aumenta la possibilità che l' "arbitro" scontenti ora questo ora quello. Però qui il problema mi sembra ALTRO e più grave : gli "arbitri" hanno smesso di arbitrare e si sono messi a giocare !
Io mi ritengo uno che segue con buona assiduità le cose della politica e da tempo. Ebbene, i presidenti della Prima repubblica, più spesso sono stati "notai" e quasi mai interferivano con le cose dell'esecutivo e del parlamento. Cominciò a dare più vivacità al ruolo Pertini, poi continuò Cossiga con le sue "picconate", che però si limitavano a polemiche forti, inusitate data la provenienza (il Colle) ma nei fatti poca roba. Un cane che alla fine del suo mandato abbaiò molto, ma senza mordere. E' con la seconda Repubblica, il bipolarismo all'italiana, che i capi dello Stato hanno perso la dimensione neutrale, di organi super partes, e hanno iniziato a indirizzare la partita. Il peggiore senza dubbio alcuno è stato Scalfaro, e per il rispetto che si porta comunque alle persone scomparse non dico altro su di lui.
Meglio andò con Ciampi - che poi, da senatore a vita, a mio avviso è peggiorato, ma sono solo opinioni - che pure qualche intervento significativo lo fece. Per esempio, troppe volte ci si scorda che fu opera sua la diversificazione tra voto nazionale alla Camera e voto regionale al Senato nell'applicare la legge elettorale Calderoli (il mitico, e rimpiantissimo, dai partiti, Porcellum ). Le conseguenze, peraltro sospetto ben lontane da quelle volute, non sono state da poco (azzoppamento della sinistra sia nel 2006 che nel 2013). Ciampi, infine, fu quello che firmò la modifica infausta del titolo V della Costituzione.
Ora Napolitano, e per lui parla il governo Monti (anche un po' quello Letta, ma meno) ma anche l'intimidatorio discorso al Parlamento nell'accettare il secondo mandato presidenziale.
Lo stesso discorso ormai sta valendo per i presidenti delle due camere parlamentari. Anche qui, in passato figure di prestigio, per lo più, che si calavano molto nel ruolo dovuto di "arbitri" imparziali al di là delle provenienze di partito. Oggi come si fa a dire la stessa cosa ?
La Boldrini - più odiosa della Pivetti e non pensavo sarebbe stato possbile - che si prende una responsabilità affatto sua con la ghigliottina degli interventi degli iscritti a parlare ? Il decreto decadeva ? E pazienza. Stavamo in fila a pagare l'IMU ? Chissà, che magari ne varavano un altro in fretta e furia. Grasso che inverte le prassi senatoriali, anche in contrasto col parere del suo consiglio di presidenza ? No Caro Ainis, stavolta non sono d'accordo. Le contestazioni a questi uomini che indegnamente rappresentano le istituzioni (parlo dei presidenti di Camera e Senato, il discorso su Napolitano è più complesso, che se è indubbio che abbia molto tirato la corda delle sue competenze, è pur vero che l'ha fatto in tempi di crisi economica obiettivamente eccezionali) sono nel MERITO e non dipendono solo dal fatto che oggi scontentano FI e domani i 5 Stelle (al Pd non tocca mai...fortuna ? ).
Con stima assolutamente immutata
"Istituzioni di Garanzia mai così sotto tiro"
Chi la vuole cotta, chi la vuole cruda; e nel dopocena finisce arrosto il cuoco. È il destino (culinario) dei garanti nell’era tripolare. O meglio dei garanti politici delle nostre istituzioni, che a loro volta sono tre, come i partiti premiati alle ultime elezioni. È il caso di Laura Boldrini, presidente della Camera: aggredita dal Movimento 5 Stelle per aver usato la ghigliottina parlamentare durante la conversione del decreto Imu-Banca d’Italia. È il caso di Pietro Grasso, presidente del Senato: crocifisso da Forza Italia quando ha deciso la costituzione di parte civile nel processo contro Silvio Berlusconi. È il caso, infine, di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica: per lui addirittura l’impeachment, manco fosse Mata Hari, una spia al soldo del nemico. Perché tanto accanimento? Semplice: perché ci sono troppe squadre in campo. Se arbitri una gara fra maggioranza e opposizione, t’accadrà di fischiare una volta contro l’una, una volta contro l’altra. Tutti scontenti a turno, e perciò tutti contenti. Ma se le opposizioni sono due, se poi anche il partito di maggioranza è all’opposizione di se stesso, per l’arbitro non c’è via di scampo. Le sue decisioni potranno compiacere questo o quel giocatore, tuttavia gli scontenti prevarranno sempre sui contenti. È la logica dei numeri, ed è anche il frutto avvelenato dello spezzatino che ci somministra per la prima volta la politica.
Sì, la prima volta. C’erano due poli negli anni ruggenti della Seconda Repubblica, e a ogni elezione si scambiavano lo scettro del comando. Ma c’erano altresì due grandi partiti (la Dc e il Pci) durante il mezzo secolo in cui si è consumata la traiettoria della Prima Repubblica, benché soltanto il primo sedesse nella stanza dei bottoni. Non a caso si parlò a quel tempo di «bipartitismo imperfetto», per definire il sistema politico italiano. E d’altronde il principale outsider (il Psi di Craxi) non arrivò mai a pesare, nemmeno nelle sue stagioni migliori, la metà dei voti del Pci.
È un caso che per la prima volta finiscono al contempo sotto tiro tutte le istituzioni di garanzia politica? No, non può essere un caso. In passato capitò talvolta al Quirinale (per esempio a Cossiga), talvolta a un presidente d’assemblea parlamentare (per esempio a Fini). Ma tutti e tre contemporaneamente, questo mai. E con quale acrimonia, con quale veemenza nei gesti e nel linguaggio! Dev’essere saltata una molla, un ingranaggio del sistema. La macchina si è rotta, e si è rotta perché non regge la spinta di tre partiti con le mani sul volante.
«Il triangolo no», cantava Renato Zero nel 1978. Ma quella stessa musichetta la intonò, nel 1948, la Costituzione italiana. C’è infatti un non detto, una regola invisibile, nella meccanica delle nostre istituzioni. Possono girare su due ruote, non su tre. Non senza un’unica maggioranza, non senza un’unica opposizione. E c’è anche, al loro interno, una separazione dei garanti, oltre che una separazione dei poteri. Garanti politici, garanti giuridici. Se scomunichi i primi, s’udrà solo la voce dei secondi — quella dei giudici, quella della Consulta o del Consiglio di Stato. Sicché in conclusione la politica, divorando tutto, divorerà pure se stessa, come l’Uroboro. I politici che hanno il bipolarismo in gran dispetto dovrebbero rifletterci, prima d’addentare il loro pasto.
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