lunedì 24 febbraio 2014

LA RECENSIONE DI POLITO AL LIBRO DI FELICE "LA COLPA NON E' (SOLO) DEL SUD, MA E' NEL SUD"

 
Ho trovato, come più spesso mi accade, molto bello l'editoriale che Antonio Polito ha dedicato, sul Corriere del mezzogiorno, alla recensione del libro di Emanuele Felice, titolato "Perché il Sud è rimasto indietro". 
Argomento non nuono né certamente inesplorato. Da diverso tempo a questa parte si era riaffermata la corrente di pensiero colpevolizzante l' "occupazione" sabauda, attribuendo ad essa la colpa di una regressione economica e sociale mai più recuperata. Insomma, ai tempi dl Regno delle Due Sicilie si stava decisamente meglio. Dibattito che è tornato a scaldarsi nel 2011 in occasione del 150° anno della proclamazione dell'Unità d'Italia.  Io sono appassionato di Storia, e qualcosa ho letto anche in questa materia, ma non abbastanza.  L'idea che mi sono fatto - senza convinzioni assolute - è che il regno borbonico avesse molti problemi ai tempi, e che la maggior parte della popolazione vivesse in condizione di povertà maggiore che in altre parti di una Italia comunque non ricca (anzi). Allo stesso tempo, l'unificazione ebbe, in troppi casi e per troppo tempo, più i tratti dell'annessione. Insomma, i Savoia non trovarono un popolo  prospero, ma certo non fecero molto per migliorarne le condizioni. Passando però da allora ai tempi repubblicani, le cose sono un po' cambiate perché è indubitabile che al SUD siano state destinate risorse importanti. Spese male ? Molte rubate e finite ai politici e agli amici di questi ? Sicuramente è avvenuto anche questo, Ma non solo. 
E trovo giusto quello che scrive Polito, che nel sud è nato e che mostra un amore addolorato per la sua regione (la Campania), quando afferma che le ragioni dell'arretratezza di quella parte della nostra Nazione  non dipendono solo dal Sud ma  lì, nel Sud,  vanno principalmente cercate.
Da leggere, con spirito laico.


IL DIBATTITO SUL LIBRO DI EMANUELE FELICE «perchè il sud e' rimasto indietro»

Editoriale| Le colpe sono anche
nel nostro Meridione

Il libro di Emanuele Felice e il nuovo governo Renzi
senza un ministro per il Sud

 
di ANTONIO POLITO
Sarebbe prudente tenersi alla larga dalla infiammata disputa storiografica che ha acceso il libro di Emanuele Felice, «Perché il Sud è rimasto indietro». Dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno a quelle del Mattino, sostenitori e detrattori delle tesi del giovane storico di origini abruzzesi si stanno affrontando senza esclusione di colpi. Apparentemente il nocciolo della polemica è alquanto esoterico: si tratta di stabilire se al momento dell’Unità d’Italia, nel 1861, il reddito e il prodotto del Regno delle Due Sicilie fosse — e di quanto — inferiore a quello del Nord Italia. Non è possibile dirimere la questione con certezza perché si tratta di un’era pre-statistica.
E se Felice ritiene di poter ragionevolmente risalire al 1871, sostenendo che a quel punto il divario Nord-Sud non solo esisteva ma era consistente, per dare una risposta definitiva bisognerebbe stabilire che cosa è successo nei dieci anni precedenti, tra Teano e Porta Pia. Le conseguenze di un tale calcolo sul dibattito storiografico sono infatti rilevanti: chi sostiene che il divario esisteva fin dall’inizio, cerca la prova che non è stato determinato dall’unificazione, anzi; chi sostiene che il Sud stava meglio da solo, intende addossare la colpa dell’arretratezza successiva allo stato unitario. Mi guarderò bene dal cimentarmi con la materia, che non è la mia. Mi limito solo a constatare che se su reddito e prodotto non esistono statistiche risolutive, si possono invece conoscere altri dati che qualche indizio ce lo danno.
L’estensione della rete ferroviaria, per esempio, così cruciale per lo sviluppo economico. Prima dell’Unità — ha scritto Epicarmo Corbino — «cioè sul cominciare del 1859, la rete era di km 1707 così suddivisa tra i vari Stati: Regno di Sardegna 850; Toscana 255; Lombardo-Veneto 483; Stato Pontificio 20; Due Sicilie 99». Se si tiene presente che lo stato borbonico era territorialmente e demograficamente il più grande in Italia, si capisce quanto arretrato fosse sul piano delle comunicazioni (lo stesso vale per le strade: nel 1863 le tre attuali regioni del Nord Ovest assommavano a 37.400 km contro i 13.787 delle Due Sicilie). Se però dal punto di vista dell’indagine storica passiamo sul terreno dell’indicazione politica, ciò che tra l’altro fanno anche gli storici ed è per questo che finiscono con l’accapigliarsi e infervorarsi tanto, credo che una cosa sia chiara oltre ogni ragionevole dubbio, e il libro di Felice fa discutere proprio perché la dice con nettezza. E cioè che se vogliamo cercare le cause dell’arretratezza del Meridione per rimuoverle davvero, e non solo per lamentarcene, «occorre guardare all'interno del Sud». Le tesi consolatorie, secondo le quali è colpa del Nord, o dei Savoia, o del clima, o del carattere, o della tradizione, o della religione, non possono più avere corso di fronte a un'Europa in cui tutte le regioni periferiche hanno teso a convergere con quelle più avanzate tranne il nostro Mezzogiorno, che oggi diverge più di vent’anni fa.
Convince dunque del libro di Felice la tesi che diverse istituzioni politiche, «inclusive» al Nord, «estrattive» al Sud nel senso che erano finalizzate a favorire i ceti dominanti nel loro incessante sfruttamento delle risorse e nel loro continuo creare ineguaglianza civile o sociale, hanno avuto un ruolo decisivo nel fare del Mezzogiorno ciò che oggi. Tanto è vero che laddove le istituzioni politiche sono peggiori, in quanto a clientelismo, corruzione, malaffare, infiltrazione di malavita, la Campania e la Calabria per esempio, i risultati sono peggiori che in aree come quelle che esistono in Basilicata e anche in Puglia. Questo spiega anche perché l’introduzione delle Regioni a metà degli anni ’70 abbia prodotto al Sud più divario di quanto abbia fatto lo Stato centralizzato. I nemici del Mezzogiorno sono insomma innanzitutto nel Mezzogiorno. E’ una realtà che proprio loro ci vorrebbero far dimenticare, additando «cattivi» che sono sempre altrove, in un altro luogo fisico o temporale. Conquistare una democrazia funzionante e inclusiva è la prima grande riforma di cui ha bisogno il Sud, cacciando a calci dal tempio della cosa pubblica i mercanti di affari che lo infestano.
«Annientare la criminalità organizzata, eliminare il clientelismo, rompere il giogo dei privilegi e delle rendite» — scrive giustamente Felice — è l’unico modo di far crescere il Mezzogiorno, e vale più di tutti i miliardi di investimenti pubblici che si reclamano, soprattutto se questi poi finiscono a foraggiare e dunque a perpetuare criminalità clientelismo e rendite. Questi mali non ce li hanno portati i piemontesi; sono nostri, fatti in casa, e talvolta, ahinoi, li abbiamo anche esportati. Solo una rivoluzione civile può liberarcene, non certo una restaurazione borbonica. È ingiusto dunque dire che la colpa è del Sud, perché così si coinvolge in una responsabilità collettiva anche le vittime che colpa non hanno. Ma è giusto dire che la colpa è nel Sud. Prima ce lo diciamo, e meglio sarà.

Nessun commento:

Posta un commento