Stasi assolto anche dall'accusa di detenzione di materiale pedopornografico. Frega nulla a nessuno ? Certamente no. Anzi, si rimprovera il Corriere della Sera di aver dato modo in una intervista al ragazzo di ribadire la propria innocenza.
Ieri sono stato all'inaugurazione dell'anno giudiziario tenuto dall'Unione delle Camere Penali italiane a Firenze (ne parlerò più diffusamente in un altro post), e nelle parole più o meno vaghe del MInistro Cancellieri , e anche di vari magistrati intervenuti, viene ribadito un concetto noto : fare le riforme della giustizia in Italia è difficile perché la gente ha PAURA e chiede condanne e carcere. In questo modo c'è il rischio che degli innocenti siano puniti e dei colpevoli restino fuori ? Chissene frega. Che l'Europa ci condanni per le condizioni disumane dei nostri carceri ? Idem come sopra ( e che pagio io ? dice il manettaro idiota, alla stregua del Totò pestato che se la ride "e che mi chiamo Antonio ? " ). Cambiano le cose quando ad essere indagati siamo noi...Il che tra l'altro può diventare sempre più facile, con il panpenalismo imperante, e con il legislatore che si mette dietro alla corrente forcaiola (vedi "l'omicidio stradale" e anche il "feminicidio" ).
Quando leggo certi commenti, è l'augurio che faccio sempre : speriamo che ti capiti, a te o ad un familiare, ad una persona cui tieni...che chissà che poi cambi idea...
Stasi è antipatico, ci sta. Dopodiché è stato assolto da due corti giudiziarie. Nei paesi anglosassoni ne sarebbe bastata una per non processarlo più. Da noi la Cassazione ha deciso che si deve fare un altro processo ancora. Al di là del tifo (becero) , qualcuno può spiegarmi come si potrà mai considerare superato il ragionevole dubbio necessario (per la Costituzione...quella bella di Benigni..non vi piace più ? ) quando DUE giurie quell'imputato lo hanno assolto ? Adesso poi arriva anche l'assoluzione per l'accusa del reato di detenzione di materiale pedopornografico. Ma a nessuno, come detto, frega nulla. Ora, uno può farsi le convinzioni che crede, e anche di non averne. Come me, che essendo rimasto lontano (ma come la quasi TOTALITA' delle persone !) dal processo VERO (che non è quello sui giornali e in tv ! ) , certo non mi sento di dire Stasi Innocente o Colpevole. Quello che proprio non vuole entrare in testa è che in uno Stato di Diritto e di normale (manco esagerata) civiltà, tra il rischio di condannare un innocente e assolvere un colpevole, si preferisce correre il secondo
Ecco l'intervista incriminata
L’intervista
Alberto Stasi «Mio padre morto di dolore,
sulla tomba di Chiara una volta alla settimana»
«So di essere innocente, temo solo un errore giudiziario. Ho vissuto per anni l’infamia dell’accusa di pedofilia, ma il fatto non sussiste»
Alberto Stasi accompagnato dal padre dopo un lungo interrogatorio nel 2007 (Ansa)
L’appuntamento è nello studio dell’avvocato, il professor Angelo
Giarda. Alberto Stasi arriva con dei fogli arrotolati fra le mani,
appunti della sua storia, della sua vita, di questi sei anni e mezzo
passati sulla graticola. Li terrà sul tavolo senza aprirli mai. Anche
perché conosce ogni riga delle migliaia e migliaia di pagine scritte sul
caso Garlasco, il «suo» caso. La fidanzata, Chiara Poggi, fu uccisa la
mattina del 13 agosto 2007, lui fu indagato, arrestato e rilasciato dopo
quattro giorni, processato e assolto in primo e in secondo grado e
adesso è di nuovo sul banco degli imputati perché la Cassazione - caso
rarissimo dopo una doppia assoluzione - ha deciso di rimandare tutto in
Corte d’appello per un nuovo processo. Ancora sotto accusa, ma stavolta a
differenza di sempre, Alberto ha voglia di parlare. Il 9 aprile si ricomincia, quindi.
«Si riapre la ferita, sì».
Pronto ad affrontare di nuovo tutto daccapo?
«Beh, diciamo che sarò presente in aula come ho sempre fatto. Solo che stavolta non avrò mio padre accanto. Fisicamente, intendo. Perché per il resto lui è sempre con me, anche adesso».
Una malattia fulminante, la morte a 57 anni...
«Se n’è andato il giorno di Natale, ho passato la notte del 24 a guardare su uno schermo un numerino che segnava il suo battito cardiaco. Finché è arrivato a zero...Mio padre ha cominciato a morire il giorno in cui la Cassazione ha deciso di riaprire questo processo».
Sta dicendo che è morto di dispiacere?
«Io sono convinto che la malattia autoimmunitaria che l’ha portato via in pochi giorni sia legata a tutta la sofferenza e lo stress che ha vissuto in questi anni. Ci sono molti studi scientifici che collegano le malattie a situazioni che una persona ritiene ingiuste e lui era devastato psicologicamente dalle accuse contro di me. Sono assolutamente certo che tutto questo lo abbia fatto ammalare nel fisico oltre che nello spirito».
Quando la Cassazione rimandò in appello il processo per l’omicidio di Chiara suo padre disse «sarà un altro massacro mediatico e psicologico». Lei come ricorda quel giorno?
«Ho pianto. Ho pianto moltissimo. lo scriva pure, non mi vergogno di dirlo, sono convinto che l’uomo che non piange mai non sia un uomo ma una macchina. È stato un giorno nerissimo, un incubo che ha provato ad annientarmi, a soffocarmi. Se non c’è riuscito è soltanto perché mi sono stati accanto gli amici, quelli di sempre che non mi hanno mai abbandonato. E poi c’erano i miei genitori che hanno pianto con me e che mi hanno aiutato a ritrovare la forza e la determinazione. Non era una cosa facile, mi creda».
Quindi, per tornare alla domanda iniziale, adesso si sente pronto ad affrontare il nuovo processo d’appello?
«Direi di sì. Gli argomenti contro di me sono sempre gli stessi. Non li ho mai temuti e non c’è ragione di temerli adesso. Sono stato scarcerato da un giudice e sono stato assolto in primo e in secondo grado. Adesso, come le altre volte, torno davanti alla Corte con la coscienza pulita di chi non ha fatto niente. E in più ho in tasca anche l’assoluzione per l’altro processo».
Quello per detenzione di materiale pedopornografico. «Esatto. Anche lì: ho vissuto quell’infamia per anni e alla fine sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Si rende conto di cosa significa portare addosso l’etichetta del presunto pedofilo? Tante congetture, tante parole e alla fine niente: si sono finalmente accorti che sul mio computer quelle immagini non c’erano mai state. Se penso a mio padre che è morto senza vedermi scagionato per sempre da quell’infamia...».
Torniamo all’omicidio di Garlasco. Se i giudici decidessero di farla tornare a casa di Chiara per una nuova perizia avrebbe il coraggio di andarci?
«Vedremo. Decideremo ogni cosa con gli avvocati quando sarà il momento. L’aspetto emotivo di un eventuale ritorno in quella casa credo possa capirlo chiunque...».
Nel processo che partirà il 9 aprile c’è un capello mai analizzato, ci sono elementi da valutare daccapo, i giudici invocano una «corretta lettura dei dati probatori». E se quella lettura non fosse più a suo favore?
«Io sono innocente, quindi sono tranquillo. Possono valutare e rileggere tutto di nuovo anche mille volte. Servirà solo a confermare che non sono io l’assassino».
Mi parli di Chiara.
«Ci penso sempre e ogni volta cerco di ricordarla nei nostri momenti felici, non come l’ho vista quella mattina sulle scale. Quell’immagine resta un marchio perenne nella mia memoria, un trauma che mi segnerà per sempre. Vado ogni settimana a trovarla al cimitero. La cappella di famiglia è aperta, qualche volta entro, le parlo, vado a trovarla come si fa con una persona alla quale si vuole molto bene ma che non è più qui».
Se pensa a lei, adesso, cosa le viene in mente?
«Il suo sorriso e la sua allegria che erano contagiosi. Aveva il dono della gioia, era straordinaria. ».
I genitori di Chiara, dopo i primissimi tempi, hanno rotto i ponti con lei...
«Loro hanno la loro linea e io non voglio forzarli. Hanno detto più volte di non volere contatti con me e io rispetto la loro decisione. I nostri rapporti sono sospesi, per adesso. Non li ho mai incrociati nemmeno al cimitero. Quando il processo sarà finito magari torneremo a parlarci».
Ci torna spesso a Garlasco?
«Sì, certo. Garlasco rimane la comunità della mia infanzia, dei miei amici, della mia vita. E poi adesso devo stare vicino a mia madre più che mai e quindi ci torno spesso, sì. Lo so, è un luogo un po’ di provincia, ma io non aspiro a nient’altro che a un’esistenza normale, quindi anche la dimensione provinciale va bene. Basti pensare che sogno una vita con tanti bambini...li adoro. Ma sulla mia vita privata non voglio dire altro, girano fin troppi pettegolezzi».
Provi a immaginare il suo futuro. Ci pensa mai all’ipotesi di una condanna?
«Ci penso, certo. E vivo tutto questo con una paura enorme, non perché ho fatto qualcosa di male ma per i possibili errori giudiziari che un processo come questo può generare. Del resto non sarebbe la prima volta...per me sarebbe una vita annientata, azzerata».
Cosa ricorda dei suoi quattro giorni di carcere nel 2007?
«Non voglio nemmeno ripensarci. Lasciamo perdere. Io credo che non sia possibile capire fino in fondo come si sta nei panni di un accusato ingiustamente se non si è passati per la stessa esperienza. È come avere il cancro, solo chi lo prova può dire veramente come ci si sente».
Mai capitato che la fermassero per strada degli sconosciuti per dirle qualcosa sull’omicidio?
«Per fortuna mai per insultarmi. Al contrario mi hanno fermato più volte per dirmi di tenere duro. L’ultima volta che ricordo è stato con i miei, pochi mesi fa. Siamo andati a San Giovanni Rotondo, in pellegrinaggio da Padre Pio di cui mio padre era molto devoto. Mi ha avvicinato una signora che mi ha riconosciuto e mi ha detto: vedrai che andrà tutto per il meglio. Mi ha fatto piacere».
Alberto tira in continuazione le maniche del maglioncino verde con le righe bianche al livello dei polsini («lo so, fa molto british» dice lui). Racconta del mezzo esame appena superato per diventare commercialista («sto studiando molto per la seconda parte»). Prova a immaginare i tempi della prossima sentenza («entro l’estate forse ce la facciamo»). E pensa a una sola parola: «assoluzione. Ce la devo fare per un motivo molto semplice: non sono un assassino. E poi perché lo devo a mio padre che non c’è più, a mia madre che vive per me e a Chiara che non avrà giustizia finché ci sarò io sul banco degli imputati».
Arrotola i fogli che aveva in mano quando è entrato. Saluta e ricorda del tempo in cui non c’era giorno senza la sua fotografia in prima pagina o il suo nome nei titoli dei telegiornali.
«Quante volte ho sentito dire “occhi di ghiaccio”, serviva a creare l’immagine del cattivo... Che vuol dire? E poi ghiaccio fa venire in mente occhi azzurri, e invece guardi: i miei sono verdi...» .
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