L'argomento mi sembrava interessante, e ho pensato che a molti genitori, madri soprattutto, sarebbe potuto interessare : le domande giuste da fare ai figli e il dilemma sulla nocività dell'esposizione crescente degli adolescenti al mondo digitale.
Tablet e smartphone sono sicuramente comodi come baby sitter portatili quando si va al ristorante con gli amici, nelle gite, specie durante il tragitto, al mare mentre si prende il sole o si legge il giornale (libri più raro). E non vale solo per i più piccoli, sedati coi giochi, ma anche per i teen ager che possono rimanere in contatto pressoché costante con gli amici. Questi i vantaggi, certificati. I contro li sappiamo : la progressiva chiusura al mondo reale, il preferire restare chiusi ore in casa a chattare piuttosto che uscire, crearsi un'identità virtuale avendo paura di accettare quella reale. Sì perché poi i contatti sulla rete, gli amici di FB, sono pochi quelli veri, visti, frequentati, che sanno chi sei e come sei fatto. E con gli altri uno può dire e mostrare quello che vuole. Intanto, l'identità falsata, che gli under 14 mentono sistematicamente, e anche gli altri si aumentano l'età. Poi le foto, che quando non sono addirittura tarocche, sono frutto di un casting non da poco, con ore passate in "sala trucco", selezionate tra decine se non centinaia di scatti.
Fuga dai problemi, dalle nsoddisfazioni. Come in ogni cosa, è il modo che fa la differenza, per cui avere la possibilità di evadere per un'ora da una realtà che non ci piace - genitori impegnati nell'ennesima lite, magari con urla e strilli, il votaccio a scuola, il prof. che ci rompe - con un semplice clic, non è male. Ricorrere a quel clic ogni volta e per tutto il tempo che possiamo, approfittando del mancato controllo degli adulti, ovviamente lo è. Tornando all'articolo, ci sarebbe questa autrice, Danah Boyd, che ha scritto un libro rassicurante, spiegando come i social network sono in fondo come i bar e le piazze di una volta (mettiamoci anche i muretti va ), meri luoghi di ritrovo dove i ragazzi imparano a socializzare...Ammappa che scoperta !! E chi ci aveva mai pensato... Con qualche differenza, osservo : 1) come detto sopra, in piazza ci si vede, e il linguaggio non è solo verbale, con tutto quello che consegue 2) ci sono bar e bar, e se io genitore ritengo che alcuni sia meglio che mio figlio non li frequenti, un controllo lo posso fare, mentre in rete ? Per sapere quello che fanno e cosa pensano il sistema migliore resta il dialogo, ma anche qui c'è il problema del "modo". Ecco, il libro, che già dal titolo - It's Complicated - anticipa che non si tratta di cose semplici, suggerisce che un buon sistema è fare domande che non siano però generiche e banali ( "com'è andata a scuola" per esempio è da scartare, che fa venire l'orticaria tanto quanto "com'è andata al lavoro" fatta tra adulti) , ma stimolanti. Figo ! Quali ? E qui l'articolo praticamente finisce, che forse è un modo di dirti "comprati il libro".
Ma magari io sono troppo severo, per cui vi lascio giudicare da soli
Chiedimi. E sarò felice
Le domande da fare ai figli
E il metodo che Boyd ha seguito per scrivere il suo libro è quello di una vera e propria inchiesta, si è infilata nelle teste degli adolescenti da tablet facendoli parlare e monitorando le loro reazioni, e difatti il sottotitolo del libro è «Le vite sociali dei teenager che vivono in Rete: Networked». Per i ragazzi i social network sono solo come le piazze e i bar di una volta, i luoghi della loro socializzazione e della formazione della loro identità. In Rete si rilassano, si incontrano e imparano le regole del vivere sociale, visto che — pressati come sono dalle aspettative dei genitori, dagli impegni multitasking collaterali alla scuola e dalla difficoltà maggiore di movimento nelle grandi città — possono incontrarsi molto meno facilmente di un tempo al bar o in piazza. «Per questo, aggiunge Boyd — la preoccupazione dei genitori verso i social network non aiuta per nulla, anzi». E qui Boyd, sollecitata dal giornalista del sito Salon, Andrew Leonard, fa un’interessante riflessione. Leonard la interrogava sulla sua recente maternità e su come si sarebbe comportata con suo figlio, per esorcizzare gli indubitabili rischi della virtualità, e Boyd ha risposto che la cosa più importante che poteva fare era quella di tentare di rilassarsi e di essere presente. «Due cose entrambe molto fisiche», dice, una specie di antidoto dunque alla fuga nel mondo virtuale. Suggerimento molto vicino a quello che il neopremier Matteo Renzi ha dato ai ragazzi della scuola Salvatore Raiti di Siracusa: state pure su Facebook e WhatsApp, ci sto anch’io, ho quasi 8 milioni di amici su Twitter, ma ricordatevi che «qualsiasi messaggio sui social non vale la bellezza di un abbraccio fisico».
Ma Danah Boyd aggiunge un altro suggerimento semplice semplice e antico come la miglior filosofia. Boyd sa, anche per la sua esperienza da insegnante, che ai ragazzi è importante fare domande, in modo da farli raccontare senza metterli in fuga: un metodo per sollecitarli sul loro mondo e assisterli senza ansie su quello che stanno vivendo. Le domande sono neutrali e non assertive ed esprimono sollecitudine e vicinanza. Lo sapeva bene Socrate, filosofo greco vissuto nel quattrocento avanti Cristo che nella sua costruzione filosofica orale e peripatetica partiva sempre dalle domande per tirar fuori con arte maieutica il meglio da chi aveva di fronte, coinvolgendolo in senso totale, psicologico e intellettuale.
Nell’esperimento dell’Associazione Intervita che porta i camper nelle piazze per avvicinare i ragazzi e prevenire la violenza sulle donne (vicenda che si può seguire nei post pubblicati nel blog del di Corriere.it La 27esima ora) gli psicologi hanno lavorato molto sulla comunicazione spesso rompendo il ghiaccio proprio con delle domande: «Un abbigliamento provocante ti autorizza a pretendere che la ragazza ci stia se ci provi?»; «se ti fischiano per strada ti fa piacere o ti dà fastidio?»; «la gelosia è un segnale d’amore?». Domande anche provocatorie, ma sempre usate come spunto di riflessione. Come dire: chiedetemi (che vuol dire interessatevi a me), e io vivrò meglio.
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