domenica 9 marzo 2014

CONTE E GLI ANTIPATICI. SPIACERE E' IL LORO PIACERE



Divertente e e non solo l'articolo di Luca Mastrantonio, dedicato agli "antipatici". Tra questi c'è senza ombra di dubbio il mister della mia squadra, la Juventus.  Sicuramente Conte è bravo, che con una ottima squadra, dove però i campionissimi sono pochi (tre, di cui due abbastanza vicini alla pensione, forse quattro se vogliamo includerci Vidal ), si avvia a vincere il terzo campionato consecutivo e che a due terzi del traguardo viaggia con uno stratosferico + 17 in media inglese. Però è fumantino e permaloso come pochi. La carrellata prosegue con un autentico parterre de roi di soggetti che sembrano godere ad essere odiati dai più. 
C'è lo Special One, al secolo Mourinho (che però a me divertiva : un istrione), poi il giornalista aggiunge vari nomi, tutti noti, e quindi Nanni Moretti, Asor Rosa, Flavio Briatore, Giuseppe Cruciani.
Naturalmente, come tutte le persone che si distinguono per un carattere malmostoso, presuntuoso e tendente all'arroganza, tutta questa gente ha anche uno stuolo di fan, che i "cattivi" ne hanno sempre avuti. 
Il cattivo, specie se vincente, piace.
Noi, come Mastrantonio, preferiamo Carletto (Ancelotti)



Federico, Conte e Mou: la prevalenza degli antipatici
Narcisismo attivo e strategia mediatica
Un mix vincente, dallo sport alla politica
Il successo rende antipatici, è quasi fisiologico. Ma la passione contraria, ovvero l’antipatia, che molti personaggi pubblici oggi suscitano, è più di un effetto collaterale. Pare una strategia. E vincente, in termini di mercato: dai talent show alle competizioni sportive o politiche. Autocertifica il valore del concorrente-candidato, chiarisce le intenzioni, senza ipocrisia. Essere antipatici, ambiziosi, è una virtù per chi ha patito gli anni della melassa buonista, con annesso culto della falsa modestia, e la dittatura dell’empatia: passata, con i reality, e presente, con i social network.
Si prenda Masterchef o il campionato di calcio italiano: per i vincitori la scontrosità la prova della propria bravura: «Sono antipatico perché vinco? — è uno degli slogan di Antonio Conte —. Non è un problema mio!». Federico Ferrero, incoronato all’ultimo talent per cuochi, ha dedicato il premio a «tutte le persone convinte che abbiamo barattato troppo spesso la capacità con la simpatia, l’abilità con la piacioneria ». Sembra l’epitaffio del buonismo; o almeno la candidatura per curare il catering al funerale.
Il buonismo era — o fu? — quel sentimento politico-culturale incarnato da Walter Veltroni e da molti personaggi a lui vicini. Alcuni hanno cambiato mood : Alessandro Baricco, incattivito dopo l’ennesima stroncatura dei critici letterari (nel 2006); o Fabio Fazio, che nonostante la tante buone trasmissioni emotivo-canore, ha preso l’aggettivo «buonista» come un insulto più pesante del calo di ascolti dell’ultimo Festival di Sanremo.
Se Carlo Cracco, giudice di Masterchef, è il modello dell’antipatico in cucina, nel calcio il profeta è uno solo: José Mourinho. Provvisto assai di antipatia, la usa come make up (per donne che amano il genere bel tenebroso) e come tattica psicologica: dà sicurezza alla squadra, compatta e motiva il gruppo in un clima da «noi contro tutti» (come Marcello Lippi ai Mondiali 2006; ma Carlo Ancelotti insegna che si può vincere restando simpatici).
Politicamente, l’antipatia è stata rivendicata da alcuni intellettuali di sinistra, come Umberto Eco, in polemica nel 2006 con Luca Ricolfi che attaccava il senso di superiorità dei post comunisti; da altri, come Alberto Asor Rosa, è stata solo praticata. Ma , salvo inguaribili bastian contrari come Nanni Moretti, al buonismo degli anni passati si opponevano più schiettamente i destri; come Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco.
Allora, l’imperativo buonista era piacere alla gente che piace; oggi, è: dispiacere alla gente che non piace. Matteo Renzi è andato al potere «rottamando» la vecchia classe dirigente, Paolo Sorrentino ha riportato l’Oscar in Italia con un film che fa il contropelo al Paese (non tutti se ne sono accorti) e un atteggiamento diverso da Roberto Benigni che nel 1999 vinse con La vita è bella ). Ieri, salvo eccezioni, pagava l’empatia; oggi l’antipatia: in tv con Flavio Briatore, che fa fuori dal talent The Apprentice i concorrenti, in radio con Giuseppe Cruciani che a La Zanzara maltratta tutti.
Infine: c’è differenza tra essere antipatici e fare gli antipatici? Falso dilemma. Achille Campanile in Asparagi e immortalità dell’anima (1974, Rizzoli) spiegava che l’uomo «Maligno» gode a «essere antipatico pedante, seccatore» sapendo di esserlo; novantanove volte su cento l’antipatico vuole esser tale, potrebbe non esserlo e invece «si compiace d’esser dispettoso, gode a non far piacere». L’antipatico è Narciso, sincero, cattivo e vincente. E, nel 2014, prevalente.

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