domenica 30 marzo 2014

E ANCHE RENZI DIVENTO' UN ATTENTATORE DELLA CARTA PER I SACERDOTI DEL FATTO QUOTIDIANO


Devo dire che ero piuttosto meravigliato, e, lo ammetto , anche un po' contrariato dal silenzio dei pretoriani della Costituzione più bella del mondo (!?!?) verso le proposte di riforma costituzionale avanzate dal neo Premier : eliminazione del bicameralismo perfetto, in primis, ma anche affermazione netta del maggioritario, e quindi, un domani, la possibilità che UN SOLO partito raggiunga il fatidico quorum del 37% (meta non impossibile su ! la sfiorò addirittura il PC a Muro ancora in piedi ! ) e un esecutivo non più o comunque meno condizionato dai poteri di veto delle formazioni minori. Tutte cose finalizzate a correggere lo sfavore pregiudiziale dei costituenti per un governo forte, dovuto sia al recente passato fascista ma anche al terrore di perdere le elezioni e vedersi relegati in una posizione di irrilevanza. Fu costruito così un sistema dove i VETI contavano più delle proposte, con una crescente deriva verso compromessi al ribasso, consociativismo, una pax sociale dove un po' tutti potessero essere contenti, pagata con l'indebitamento e l'attuale depauperamento delle generazioni più giovani. 
Sono cose dette e scritte ormai da molti, solo che siccome le diceva ANCHE Berlusconi, erano parole "malate". Adesso le ripete Renzi e andavano bene ? Un po' la cosa mi seccava, e non per difesa del primo o sfavore per il secondo, ma in sé, che non può essere che una cosa sia giusta o sbagliata a seconda di chi la dice !! Semmai è esattamente il CONTRARIO : ciò che è giusto resta tale NONOSTANTE la qualità di chi lo predica.
Ma ecco che le vestali della CARTA si sono svegliati e, tramite la loro locandina pubblicitaria attuale, che prima era l'Unità, poi il Manifesto e Rinascita, oggi è il Fatto Quotidiano (non un salto di qualità...) i soliti Zagrebelski , Rodotà, Settis, immagino anche D'Arcais anche se non lo vedo citato, hanno denunciato l' ennesimo attentato ai valori fondanti della Repubblica.
Risponde loro Galli della Loggia sull'editoriale odierno del Corriere.
Nel rintuzzare gli estremisti della Costituzione, il nostro dice anche un'altra cosa importante, e per me preoccupante : nel dissesto della destra liberale (che tale è ) l'unica speranza italica è che il riformismo renziano, il suo  dare vento alle vele e staccarsi definitivamente dalla terra post comunista, si affermi con decisione e coraggio. Insomma, in mancanza di un leader liberale degno di questo nome, che almeno ci sia un autentico social democratico, un liberal simil Tony Blair. 
I laburisti inglesi questo coraggio lo ebbero, tanto è vero che oggi Ken Loach (bravo regista : perché non si acocntenta ? ) fonda in GB un nuovo partito "vera" sinistra, la Left Unity, che il Labour Party è ormai troppo "moderato" (un tempo si sarebbe detto borghese ). 
Anche Renzi mostra coraggio, ma capacità e successo finale (che finora ha vinto molte battaglie, ma la guerra ancora non si sa) sono tutte da vedere.
Buona Lettura


I sacerdoti del non si può

Ancora una volta il Partito democratico è chiamato a scegliere. D’altra parte, se ci si pensa, è proprio questo il significato più generale dell’arrivo sulla scena di una figura come quella di Matteo Renzi: mettere il Pd con le spalle al muro, obbligare la cultura postcomunista a fare apertamente e fino in fondo una scelta a favore di una politica realmente riformatrice. Politica riformatrice progressista, naturalmente, considerando la natura e la storia dei democratici. Ma che in Italia — a causa della latitanza storica di una vera destra liberale: vedasi il fallimento di Berlusconi e di tutti quelli per vent’anni intorno a lui — non può non avere, necessariamente, anche caratteri e contenuti diciamo così non specificamente progressisti, non specificamente di sinistra, bensì dettati dalla necessità di dare spazio a efficienza, merito, razionalità, economicità: dunque, in un senso molto lato, anche caratteri e contenuti liberali. Insomma, così come nella prima Repubblica la Democrazia cristiana svolse un ruolo di supplenza verso la destra, accogliendone molte istanze e punti di vista, e così costruì la propria egemonia, la stessa occasione e lo stesso compito sembrerebbero oggi toccare al Pd.
Ma per ragioni ben note la storia ha dato al Pd un interlocutore particolare che la Dc non aveva: il ceto degli intellettuali. I quali, inclini in genere a un certo radicalismo, non impazziscono certo per la categoria delle riforme in quanto tale, specie poi quando queste non sono in armonia con il loro punto di vista o ancor di più quando contrastano con i loro feticci ideologici. Ed ecco infatti un nutrito e autorevolissimo gruppo di essi (da Gustavo Zagrebelsky a Stefano Rodotà, da Roberta De Monticelli a Salvatore Settis) scendere in campo venerdì scorso con un vibrante appello pubblicato sul Fatto Quotidiano contro le riforme costituzionali proposte dal Pd di Renzi. Altro che riforme: si tratterebbe nei fatti, scrivono i nostri, di «un progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato (...) per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali». Con il monocameralismo, ma in realtà «grazie all’attuazione del piano che era di Berlusconi», nascerebbe «l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi», «una democrazia plebiscitaria (...) che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare». Questo il tono e questi gli argomenti.
Che per la loro qualità non meritano commenti ma solo un’osservazione: che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo? E dunque la necessità di modificarlo spesso proprio nel senso che oggi si discute? È ammissibile che tuttora si possa sostenere che avere anche in Italia un capo dell’esecutivo dotato dei poteri che hanno tanti suoi omologhi in Europa, o una sola Camera rappresenti l’anticamera del fascismo?

In verità la scelta a cui l’appello degli intellettuali radicali chiama il Partito democratico è una scelta cruciale per la sua identità di partito riformista, ma fin qui sempre rimandata: e cioè tracciare sulla propria sinistra una netta linea di confine e di deciso contrasto ideologico-culturale. Per decenni il Partito comunista unì a una pratica in larga misura socialdemocratica una benevola tolleranza nei confronti del più multiforme estremismo teorico, verso rivoluzionarismi di varia foggia e conio, verso le critiche radicaleggianti di ogni tipo all’ordine borghese. Si poteva essere iscritti al Pci e insieme essere luxemburghiani, filomaoisti, marcusiani, stalinisti. Fino a un certo punto si potè perfino guardare con qualche simpatia alla lotta armata: fino a quando cioè il Partito comunista stesso — resosi conto del pericolo mortale che ne veniva a lui e alla Repubblica — decise di reagire con brutale fermezza. Ma fu l’unica volta. Per il resto questa benevola tolleranza non solo appariva politicamente innocua (tanto a governare erano sempre gli altri) dando per giunta l’idea di un partito aperto che sapeva rendersi amici gli strati intellettuali ma, cosa più importante, consentiva pure di fare regolarmente il pieno dei voti a sinistra.
Il Partito democratico dovrebbe capire che per lui però le cose stanno in modo affatto diverso. Oggi specialmente, quando è al governo in una situazione di crisi grave del Paese e con una responsabilità mai così preponderante e diretta. È questa una responsabilità che dovrebbe implicare alcune ovvie incompatibilità. Tra le quali, per l’appunto, l’incompatibilità tra una linea riformatrice di governo e il sinistrismo radicaleggiante caro a non pochi intellettuali, sempre pronto, peraltro, all’agitazione piazzaiola o a divenire carburante per qualche formazione goscista. Un sinistrismo che dovrebbe obbligare il Pd, se non vuole alla fine restarne vittima, come altre volte gli è capitato, a fare muro esplicitamente, a uscire allo scoperto senza mezzi termini, e magari a contrattaccare; non già a tacere. Come invece tace singolarmente, ad esempio, l’Unità di ieri, la quale, invece che spendersi in qualche difesa delle riforme costituzionali del governo preferisce occuparsi di riservare una gelida accoglienza alle ragionevolissime critiche mosse dal governatore Visco ai vari corporativismi italiani (inclusi quelli dei sindacati), lasciandone il commento ai sarcasmi caricaturali di Staino.
Ma non è così, non è con questa mancanza di chiarezza, mi pare, che ci si può inoltrare in quel cammino sul quale tanta parte dell’opinione pubblica oggi aspetta di vedere avanzare il partito di maggioranza. 

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