martedì 18 marzo 2014

OH RENZINO, LA PIANURA L'E' FINITA, INIZIANO LE SALITE

 
Alesina e Giavazzi , pur nel rispetto dovuto a quello che oltretutto era Presidente onorario della prestigiosa università nella quale si erano laureati, la Bocconi di Milano, furono tra i primi a dire al mondo italico che il Re (Mario Monti ) era nudo, e che le tanto decantate riforme, dopo l'inizio scoppiettante con quella previdenziale, segnavano il passo, quando non erano del tutto sbagliate (Fornero sul lavoro).  Non parliamo della politica fiscale, con una tassazione selvaggia, volta a risistemare i conti, cosa nobile, con il mezzo sbagliato, senza mai prendere in considerazione riforme veramente rivoluzionarie, prima tra tutte il taglio della spesa pubblica (in TUTTI gli altri paesi PIIGS sono state usate le cesoie, da noi la pinzetta per le unghie è già troppo ). Monti se la prese molto, ma questo fu.
Non c'era dunque motivo che Renzi ricevesse degli sconti da gente che guarda ai fatti e ben poco si fa sedurre dalle parole. 
E così, nell'editoriale odierno, i "nostri" fanno riferimento alla metafora ciclistica. osservando che per ora Renzino se la pedala in pianura, e che le salite ancora non le ha attaccate.
Riforma del lavoro, con articolo 18 o quantomeno l'eliminazione dei due mondi separati : quelli dei garantiti, in mille modi, e quelli che di garanzia non ne hanno nessuna. Ma non è la sinistra la parte che difende i deboli ? E oggi i deboli sono i dipendenti pubblici o quelli delle piccole medie imprese, a rischio di licenziamento e senza, per la maggior parte, paracadute sociale ? I cassa integrati o quelli a casa senza alcuna retribuzione ? E gli artigiani ?  I professionisti si sa, sono "ricchi" per definizione. 
Non parliamo poi di debito e spesa pubblica, dove la domanda spinosa è : ma il Premier, tace perché vuole tenere le carte coperte, o perché di carte non ne ha ?
Da leggere
PS. Bellissima la vignetta di Staino...






SCORCIATOIE INGANNEVOLI
di ALBERTO ALESINA e FRANCESCO GIAVAZZI

Se Matteo Renzi fosse un ciclista giudicheremmo il suo inizio in questo modo. È partito, si impegna, pedala con entusiasmo, ma per ora è in pianura. Le salite devono ancora arrivare. Non è chiaro che cosa riuscirà a fare, perché con le montagne il ciclista Renzi non si è ancora cimentato. E in questa corsa ci saranno tante salite e avversari difficili.
La prima è la riforma del mercato del lavoro. Renzi ha proposto varie semplificazioni dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato: bene, ma era relativamente facile. La salita arriverà quando si dovrà decidere se abolire l’articolo 18 per i nuovi assunti. Ovvero, se si vorrà adottare il modello proposto da Pietro Ichino: un contratto uguale per tutti, senza differenziazione fra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, e che consenta alle aziende di licenziare con costi crescenti, ad esempio facendo pagare loro una quota del sussidio di disoccupazione tanto più elevata quanto maggiore era l’anzianità del lavoratore licenziato. Come osservava Maurizio Ferrera (Corriere , 14 marzo), il sussidio dovrà essere esteso a tutti, sostituire la cassa integrazione e prevedere regole chiare che costringano i disoccupati a cercare ed accettare nuovi lavori. Con più del 40 per cento di disoccupazione giovanile, e imprese che non assumono perché attanagliate dall’incertezza, questa maggior flessibilità non può che far bene all’occupazione. Limitarsi a spostare l’applicazione dell’articolo 18 al terzo anno successivo all’assunzione significa solo rinviare il problema, come notava Franco Debenedetti (Corriere , 15 marzo).
La Cgil si opporrà a una vera riforma del mercato del lavoro, che pure consentirebbe a tanti giovani di uscire dall’incubo dei contratti a tempo determinato. Evidentemente i giovani interessano poco alla Cgil, i cui iscritti sono per circa una metà pensionati. Ma riuscirà Renzi a superare in questa salita la Cgil, o rimarrà indietro?
Seconda salita: come finanziare la riduzione delle imposte sul lavoro e sui redditi più bassi e il sussidio di disoccupazione universale. Riuscirà Renzi a imporre tagli di spesa adeguati? Per ora non è chiaro. Il suo silenzio può voler dire due cose. Che ha ben chiaro che fare, ma non lo vuole rivelare troppo presto per non dare un vantaggio a chi si opporrebbe a qualunque taglio, in primis gli alti funzionari pubblici e i membri del suo stesso partito. Lo farà, ma senza dirlo prima, e quindi senza compromessi. L’altra ipotesi e che non sappia da che parte cominciare. Insomma, o il ciclista Renzi ha una strategia per la salita della montagna «spesa pubblica», ma strategicamente la tiene nascosta ai suoi avversari, oppure sta arrancando ed è già senza fiato.
Terza salita: la tassazione delle rendite finanziarie. Renzi ha preso una scorciatoia: l’aumento dell’imposta su alcuni titoli, continuando a privilegiare i debiti dello Stato rispetto a quelli di famiglie e imprese. Ma le scorciatoie sono spesso poco lungimiranti. Come suggerivamo in un editoriale del 21 febbraio, la delega fiscale che il Parlamento ha appena approvato offre un’occasione unica per rivedere in modo complessivo il nostro sistema impositivo. Prendendo spunto dai migliori esempi esteri come Gran Bretagna e Stati Uniti. Tassare il reddito da lavoro in modo progressivo e quello da capitale in modo proporzionale (indipendentemente dall’aliquota) è ingiusto. Le montagne si scalano con metodo e determinazione. Scorciatoie e accelerate improvvise mettono solo a rischio il risultato finale.

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