lunedì 17 marzo 2014

OLTRE L'ANTIEUROPEISMO, IL NULLA



Proprio ieri riportavamo i risultati dell'indagine dell'IPSOS di Pagnoncelli sugli umori degli europei in vista del voto di maggio, e non è da dire che tiri una bellissima aria. Al di là dei nemici dell'Europa, quelli ai quali Massimo Mauro, l'ex uomo di Monti, la cui carriera politica è ormai appesa ad un filo se non si sbriga a scegliere un nuovo cavallo su cui montare cercando di non sbagliare ronzino, ha riservato un istituzionale Vaffa..., che sono un buon 20% distribuiti un po' ovunque ma soprattutto in Francia ed Olanda, vi è poi un altro 43% che dell'Europa attula è molto deluso e comunque vorrebbe non la sua scomparsa ma un netto dimagrimento di funzioni ed ingerenze sì. Tra gli europeisti rimasti fedele all'idea integrativa, ce ne sono una metà che affermano con sempre maggiore convinzione che o si procede decisamente in questo senso, finendola con l'attuale sistema troppo burocratizzato e comunque non rispondente ad una unione politica e democratica, oppure meglio ridimensionare il tutto. Personalmente, sono oscillante tra questi ultimi e quel maggioritario 43% che immaginano un'Europa Federata di Nazioni, dove difesa, mercato comune, libertà di circolazione di persone e cose sia preservato, ma per il resto valgano le autonomie interne. 
Una cosa è sicura, che questa seconda posizione ha il pregio di essere chiara e proporre un'idea di Europa, mentre negli altri casi, ci si divide tra gli anti (però anche loro hanno il pregio della linearità) e i pro "a prescindere", che al di là dell'enunciazione di principio, con i soliti slogan tipo "più Europa" o "Europa più forte" non vanno.
E per questo giustamente Giacalone li critica così :
 

Europeismo antieuropeo

Alle prossime elezioni europee il solo tema europeo in discussione sarà l’antieuropeismo. Declinato secondo le varie lingue e circostanze nazionali. Il resto saranno temi dialettali, o assai confusi. Prendete l’Italia: i grandi partiti diranno tutti che ci vuole l’Europa, ma che sia un’Europa diversa. Il che non significa nulla. E lo sottolineo da europeista.
Su un punto, però, noi italiani abbiamo fatto scuola: nella finzione elettorale. Difatti si fingerà che gli elettori europei possano eleggere il presidente della Commissione, con ogni schieramento che candiderà il proprio campione. Ma non è vero. Un po’ come noi abbiamo finto, per anni, di eleggere il presidente del Consiglio, con il risultato che gli ultimi tre governi non solo non li ha votati nessuno, ma in due casi su tre sono presieduti da chi manco mai si candidò alle elezioni politiche.
Secondo il Trattato di Lisbona il presidente della Commissione, che sempre nell’immaginario onirico sarebbe una specie di governo europeo, è eletto sì dal Parlamento europeo, ma su proposta del Consiglio europeo, vale a dire dei governi nazionali. Nel trattato c’è scritto “tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo”, il che è assolutamente ovvio, dato che non avrebbe senso presentare un candidato che non possa disporre di una maggioranza, ma non significa affatto che sono gli elettori a decidere. Né il risultato porta automaticamente a una designazione. Venendo alla scelta che dovrà essere fatta: il candidato più seriamente europeista è Jean-Claude Juncker, ex premier lussemburghese, che si trova nello stesso schieramento politico con i cristiano democratici di Angela Merkel; mentre il candidato tedesco, oggi alleato della Merkel, ovvero Martin Schulz, già presidente del Parlamento europeo, è portato dal lato possoto, dai socialisti (che si chiamo così anche se neanche uno di loro si sogna di volere il socialismo). A questi due si aggiunge il candidato liberaldemocratico, il belga Guy Verhofstadt, a rappresentare una famiglia che fu nobile ed è divenuta alquanto disomogenea (pensate che, per l’Italia, fra quelli figuravano i dipietristi!). Ha poche possibilità di prevalere, ma punta alla consolazione di presiedere il Parlamento. Come può un elettore europeo provare a scegliere, in queste condizioni?
Né potrebbe, anche volendo. Non solo perché, appunto, quella candidatura è priva di riferimenti istituzionali, nei Trattati, ma anche perché ciascun Paese vota con leggi diverse, quindi con strumenti che sono concepiti per la realtà politica nazionale, non per quella europea. Alcuni hanno un barrage al 5, altri al 4 e altri ancora al 3, o non ne hanno. Alcuni hanno le liste bloccate e altri le preferenze. Nessuno può seriamente sostenere che il sistema elettorale sia ininfluente non solo circa il risultato, ma anche per l’orientamento dell’elettore, quindi saranno sommati, nell’Assemblea di Strasburgo, risultati disomogenei. Che è la certificazione dell’inesistenza di una realtà politica europea. Non bastasse questo la Corte costituzionale tedesca ha di recente considerato incostituzionale la soglia del 3%, altrimenti valida nelle elezioni nazionali. Con la seguente motivazione: serve a garantire la governabilità, mentre in sede europea mica si deve governare. Il Parlamento dei balocchi, insomma.
L’unico filo conduttore multilingua, e multipolitico, quindi, sarà l’antieuropeismo. Che forse non è il rifiuto di un simile Parlamento, ma è un rifiuto punto e basta. Di tutto ciò sono disperato, io europeista, perché è evidente che l’euro regge se alle sue spalle si costruirà maggiore consistenza politica e istituzionale (e se non regge salta anche il resto, certificatamente inutile), ma è non meno evidente che non la troverà con questa scombiccherata sarabanda elettorale.
Ultima osservazione: i parlamentari italiani sarebbero determinanti per l’elezione del presidente della Commissione, ma solo a condizione d’essere uniti. Cosa che si guarderanno bene dal fare, restando intruppati nelle rispettive famiglie politiche, dalle quali hanno ricevuto solo umiliazioni. Il nostro europeismo è tutto declamatorio e propagandistico. Come l’antieuropeismo, del resto.

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