Ed eccoci approdati, per un mese di prova, all'edizione digitale del Corriere della Sera. Ci pensavo da un po', poi eventi esterni, un po' sorprendenti, un pizzico amari ma alla fine positivi, mi hanno spinto a fare questo esperimento.
Il sistema mi sembra un po' lento, magari mi devo impratichire, comunque mi garantisce di poter postare ai lettori del blog il testo integrale di qualunque articolo io scelga del Corriere e non solo le notizie selezionate nella edizione on line.
E così ecco la giusta, amara riflessione di Michele AInis sul pasticcio brutto della legge elettorale, che già l'Italicum non era una cosa bellissima al parto, ma ora sta diventando veramente un'oscenità. Caldarola dirrà che era avvenuto anche con la sua legge, uscita completamente diversa dagli emendamenti parlamentari, fino alla "porcellum" finale di cui non si sentiva di portare la responsabilità (o almeno, non intera). E invece per anni ci siamo dovuti sorbire i mediocri retori che ricordavano come l'autore stesso della legge l'avesse definita una porcata. Era un po' diverso ma tant'è.
Un'ultima cosa prima di lasciarvi ad Ainis. Sono in tanti a dire che non temono le elezioni, specie quei pinocchi matricolati di Alfano e co. (che sognano Fini e FLI tutte le notti) e che tutte queste battaglie sulla legge elettorale non sono fatte per evitare le urne. Io penso che i 4/5 dei parlamentari, grillini compresi, se si guarda bene allo specchio, vedrà uno Scilipoti riflesso.
Buona Lettura
Il senno perduto sulla legge elettorale
di MICHELE AINIS
Nel 1978 la legge Basaglia ha chiuso i manicomi. Riapriteli di corsa: c’è un matto pericoloso da internare. È il legislatore schizofrenico, l’essere che comprende in sé il non essere, la volontà che vuole e disvuole. In passato ne avevamo avuto già il sospetto, dinanzi a certe leggi strampalate, a certe norme subnormali. Adesso c’è un certificato medico, la prova che il seme della follia ha ormai attecchito nelle meningi dei nostri parlamentari. Come? Con un doppio emendamento alla legge elettorale, da quest’oggi all’esame della Camera.
Proviamo allora a raccontarla, questa «Storia della follia» che meriterebbe la penna di Foucault. Tutto comincia con l’accordo Renzi-Berlusconi sul doppio turno eventuale: se superi un determinato tetto incassi il premio di maggioranza, altrimenti ballottaggio fra le due coalizioni più votate. È l’Italicum, ed è un sistema — almeno sulla carta — ragionevole. Perché taglia le unghie ai piccoli partiti, contemplando una soglia minima per guadagnare seggi. E perché lega la governabilità al consenso (implicito o esplicito) degli stessi governati.
Sennonché il diavolo s’annida nei dettagli. In questo caso i dettagli sono numeri, e numeri impazziti. Un premio troppo basso (52% con il 37% dei suffragi), che lascia l’esecutivo in balia di 6 deputati. Tre soglie diverse (12%, 8%, 4,5%) per le coalizioni, per le liste coalizzate, per i partiti che corrono da soli. Deroghe per le minoranze linguistiche, deroghe per la Lega Nord, però nessuna deroga se il voto si spalma sulle schede come una marmellata elettorale. Può ben succedere, in fondo è già successo: siamo l’Italia dei mille campanili. E dunque se il fronte di minoranza conterà un solo partito in grado di superare la boa dell’8%, quest’ultimo intascherà il 48% dei seggi: tombola! Se il fronte di maggioranza verrà presidiato da una coalizione di 11 partiti (quanti ne imbarcò l’Unione di Romano Prodi nel 2006), se nessuno degli 11 sforerà il 4,5%, mentre tutti insieme sommeranno il 37%, il risultato in seggi sarà zero tagliato. E, via via, potremmo esercitarci a lungo su questo manicomio elettorale.
T’aspetteresti che l’esercizio lo svolgano pure lorsignori, invece no: discettano, rimuginano, almanaccano su come scrivere la legge elettorale senza scriverla. Da qui l’emendamento Lauricella, che ne subordina l’entrata in vigore alla riforma (ipotetica e futura) del Senato. Più che una legge, una promessa di matrimonio; vatti a fidare. Da qui — ed è storia di ieri — l’emendamento D’Attorre, che circoscrive l’Italicum alla sola elezione della Camera. E il Senato? Lì rimarrebbero in vigore le regole di adesso: un proporzionale puro. Siccome su quest’emendamento la maggioranza è già andata in solluchero, siccome a quanto pare offrirà l’inchiostro della nuova legge elettorale, sarà il caso di ragionarci su. Anche se è complicato ragionare con i pazzi.
Domanda: ma sarebbe incostituzionale stabilire regole diverse fra Camera e Senato? Niente affatto. In primo luogo, la Costituzione stessa differenzia le due assemblee legislative, collegandole a elettorati differenti (18 e 25 anni). In secondo luogo, in origine ne aveva differenziato pure la durata (5 e 6 anni). In terzo luogo, già il Porcellum confezionava un premio nazionale per la Camera, e al Senato 20 premi regionali. Però, attenzione: proprio questa disarmonia ha alimentato una censura d’incostituzionalità. Scrive infatti la Consulta (sentenza n. 1 del 2014, punto 4 della motivazione): il Porcellum «favorisce la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea»; sicché viola, in conclusione, «i principi di proporzionalità e ragionevolezza».
Morale della favola: è ragionevole diversificare, è irragionevole contraddire. Si può adottare, per esempio, un maggioritario con sistemi differenti: alla Camera con il premio, al Senato con i collegi uninominali. Si può scegliere un proporzionale variando le soglie minime d’accesso nelle assemblee legislative. Ma non si può decidere per un «maggiorzionale», non si possono trattare le due Camere come se appartenessero a due Stati lontani. Per rispetto del buon senso, se non anche del buon senno.
Nessun commento:
Posta un commento