MI sono astenuto dal fare commenti slla sentenza della Corte Costituzionale sulla Legge 40 e questo perché è un tema troppo delicato di cui so troppo poco. L'unico aspetto che mi trova più sensibile è il destino del soggetto "terzo", estraneo alle scelte degli adulti, e che un domani potrebbe trovarsi in situazioni che la natura, non so perché, nemmeno troppo me lo chiedo, aveva stabilito impossibili : e quindi avere genitori dello stesso sesso o con una madre in età da nonna.
Ad orecchio, non sono nemmeno simpatizzante dell'eugenetica, che mi richiama pratiche tragiche delle prima metà del secolo trascorso. Credo che l'Occidente, grazie al suo progresso tecnologico, abbia sfidato molte leggi naturali, e qualcuna sta presentando il conto. Però si tratta di sensazioni, che al referendum tenutosi nel 2005 non andai a votare e NON per difesa della legge ma perché se non so esattamente come votare, perché non mi sono formato un convincimento, io NON lo faccio. Se poi il sistema referendario è fatto in modo discutibile, per cui si è trovato il modo di saldare le astensioni con i contrari al referendum, non è una mia responsabilità. Certo, mi dicevano, puoi andare e NON votare, e ci ho pensato. Ma anche così avrei favorito una parte.
Leggo oggi l'editoriale di Panebianco che riporto e di cuo condivido assolutamente i concetti conclusivi. Da una parte, il protrarsi di questa supremia dei giudici sui legislatori, cosa alla quale ci si sta rassegnando e che invece va combattuta con decisione. Certo, perché questa battaglia possa essere vinta è anche indispensabile che la qualità dei legislatori migliori e di tanto, su questo pochi dubbi. Però nemmeno è possibile che il Governo e il Parlamento diventino dei soggetti di fatto meramenti proponenti, che tanto poi l' ultima parola spetta ai giudici. Zagrebelsky propone anche di ampliare l'accesso alla Corte Costituzionale, in modo che siano i cittadini a sollevare le questioni di illegittimità ai giudici della Consulta. Non oso pensare a quanti ricorsi avremmo.....
Quanto al fatto che la legge 40 fosse palesemente incostituzionale, bé, se è vero che alla fine il responso della Corte è stato di 8 contro 7 non mi pare una cosa così evidente...
E questo dovrebbe anche ridimensionare la convinzione di chi, in questa materia, ritiene di rappresentare la Luce e il Progresso, contro il medioevo. Che la linea di confine non è così evidente, né facile.
Buona Lettura
(p.s. la foto in alto non credo sia aggiornata, però da un'idea della divisione anche in Europa sul tema)
dieci anni dopo come un secolo
di ANGELO PANEBIANCO
Ora che con la sua sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa seppellendo così, di fatto, la legge 40 varata dieci anni fa (nel 2004), si può fare un confronto fra il clima di allora e quello di oggi. Nel 2004, quando la legge venne approvata dal Parlamento, e ancora nel 2005, quando su quella legge si tenne un referendum, il Paese si spaccò in due, venne trascinato dentro una specie di «scontro di civiltà». Il fronte che vinse allora, per via politica, e che adesso esce sconfitto per via giurisdizionale, sembra quasi silente. Poche e isolate sono state, fino ad ora, le voci cattoliche che si sono levate a criticare la sentenza. Nel suo complesso, la Chiesa sembra orientata a scegliere una condotta prudente, di implicita, più o meno rassegnata, accettazione dell’esito che si è determinato.
Che cosa è cambiato? Diverse cose e in diversi luoghi: nella Chiesa, nella società, nella politica italiana.
Quanto alla Chiesa, il cambiamento si chiama Francesco. Nel 2004 era ancora alla testa della Chiesa (sarebbe morto l’anno successivo) Giovanni Paolo II, il Papa venuto dal freddo, il Papa che aveva fatto della lotta contro la secolarizzazione la vera cifra del suo Pontificato. Seguito da papa Ratzinger, un Pontefice che, del predecessore, con un diverso stile, avrebbe continuato l’opera. Quelli che giornalisticamente (ma non certo nella dottrina cristiana) vengono chiamati «temi etici» — in buona sostanza, la difesa, in tutti i suoi aspetti, della famiglia naturale — erano al centro delle preoccupazioni e delle azioni di quei Papi e, per conseguenza, della Chiesa nel suo insieme.
Papa Francesco ha fatto altre scelte. Non ha certo abbandonato la difesa di principio della famiglia naturale (solo gli sciocchi potrebbero pensarlo) ma ha chiarito, fin dai primi discorsi che inaugurarono il suo Pontificato, che non su quei temi avrebbe caratterizzato la sua azione. Alla inflessibilità e alla energia — c’è chi le dice genuinamente evangeliche e chi le dice, forse più grossolanamente, latinoamericane — sui temi della ingiustizia sociale, non corrisponde una uguale energia spesa nel confronto/scontro su altri argomenti: in particolare, contro chi sostiene e incoraggia i cambiamenti, dovuti a una combinazione di innovazioni tecnologiche e di mutamenti del costume, che investono la famiglia (e le concezioni della famiglia) nel mondo occidentale, Italia inclusa.
È probabile che molti prelati, che avrebbero forse levato le loro voci con durezza qualche anno fa, oggi tacciano perché non è ancora a tutti chiaro quali direzioni sceglierà e, soprattutto, in quale modo deciderà di confrontarsi con il mondo secolare, su diversi temi sensibili, la Chiesa di papa Francesco.
In questi dieci anni è anche cambiato molto nel costume italiano. Dicono i sondaggi (quale che ne sia l’affidabilità, soprattutto su temi come questi) che si è largamente diffusa una concezione pluralistica della famiglia, l’idea che di famiglie possano essercene legittimamente di tipi diversi, anche molto lontani da ciò che un tempo si intendeva per famiglia naturale. Come sempre, le motivazioni sono le più varie Alcuni applaudono al cambiamento considerandolo un segno di progresso, altri sono semplicemente rassegnati di fronte a quella che ritengono la sua inevitabilità. Soprattutto, là dove il cambiamento è favorito, come nel caso dell’impianto di ovuli fecondati, dalla tecnologia, è idea diffusa che resistere al cambiamento sia una fatica inutile. La tecnica, soprattutto quando si sposa con il mercato, ha una forza irresistibile. Prima o poi travolge qualunque argine legale le venga velleitariamente opposto.
E ci sono, infine, le vicissitudini della politica italiana e, soprattutto, i problemi della nostra malandata democrazia. Proprio il caso della legge 40 è un buon punto di osservazione. Documentava ieri il Corriere (Mario Pappagallo, pagina 3) che nel corso di questi dieci anni ben trentadue sentenze hanno smantellato la legge pezzo per pezzo. Attraverso un lungo lavorio compiuto dai tribunali ordinari e dalla Consulta. E ciò che è accaduto alla legge 40 è accaduto ad altre leggi, votate dal Parlamento, su altri temi controversi. È un bene? È un male? Quello che è certo è che gli spazi decisionali degli organi rappresentativi, dei luoghi deputati alla rappresentanza della volontà popolare così come si manifesta attraverso libere elezioni, sono ormai assai ristretti. Potremmo dire: la politica propone, l’organo giurisdizionale dispone.
Ma, si dice, c’è il vincolo di costituzionalità. Sarà, ma occorre per lo meno riconoscere che si tratta di un vincolo piuttosto elastico, variamente interpretabile (tanto è vero che sulla legge 40 la Corte si è spaccata in due: otto contro sette). E il vincolo risulta più o meno stringente a seconda di quanto debole oppure forte, screditata oppure rispettata, risulti, nel momento storico dato, la politica rappresentativa. Se, ad esempio, la politica fosse stata forte e rispettata, la Corte costituzionale non si sarebbe mai potuta permettere l’invasione di campo che ha fatto sentenziando sulla legge elettorale.
Una buona ragione per ridare credibilità alla politica rappresentativa è anche quella di allentare il vincolo, di non spostare definitivamente su tribunali, Corti, e relativi funzionari, il monopolio in ultima istanza dell’interpretazione della volontà popolare.
A proposito di costume, va segnalato infine quanto siano stati inappropriati certi commenti sulla sentenza della Corte in materia di fecondazione. È legittimo pensarla come si vuole. Non lo è invece immiserire questioni così essenziali per la vita sociale tutto appiattendo e tutto riducendo, semplicisticamente, a uno scontro fra cosiddetti amanti del progresso e cosiddetti oscurantisti.
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