lunedì 21 aprile 2014

L'EST EUROPA NON E' UNA PARTITA A RISIKO


Ultimamente non mi sono più occupato della questione Ucraina, sfiduciato nel vedere ripetersi il copione che ha portato all'annessione della Crimea : agitazione dei russofoni, disordini, intervento di truppe russe, magari all'inizio camuffate e alla fine premiate da Putin con medaglie e onorificenze.
Sulla Crimea si poteva dissertare sul fatto che in fondo era stata una forzatura il suo passaggio alla Repubblica Sovietica Ucraina voluto da Krusciov, e che la maggioranza dei cittadini della regione fossero di origine russe. Inoltre, realisticamente, era difficile pensare che la Russia di Zar Putin potesse accettare che il suo affaccio sul Mar Nero - a Sebastopoli c'è una base navale importante della flotta russa - fosse a rischio con l'Ucraina filo Europea e magari addirittura nella Nato !
Però a Donetsk e nell'est dell'Ucraina non c'è la stessa situazione, che quella russofana è folta minoranza, o almeno così finora ho letto (visto che vogliono un referendum simil Crimea, qualche dubbio mi inizia a venire ).  Se così è, l'aggressività dei filorussi, con l'occupazioniedi palazzi pubblici, fa temere il peggio, con due scenari possibili altrettanto negativi : 1) guerra civile 2) rassegnazione della maggioranza ucraina alla prepotenza e violenza russa.  Nel primo caso, tra l'altro, è facile prevedere l'intervento di Putin in soccorso ai "fratelli russi". A quel punto, se veramente l'esercito ucraino (c'è ? forse sì ) decidesse di difendere i confini, che farebbe l'Occidente (l'ONU meglio lasciarla stare, per umana pietà) ?
Credo nulla, da un punto di vista militare. Inasprirebbe le sanzioni, che io francamente non ho MAI visto funzionare.  
Da un po' leggo che l'economia Russa sta per entrare in recessione, che un continente che esporta solo energia e importa tutto il resto non può reggere alla lunga. Forse sono le dimensioni a fregarlo, perché i paesi arabi ricchi di petrolio vedo che se la cavano benissimo anche solo con l' estrazione dell'oro nero (che però non è eterno, e pare si stiano attrezzando per il futuro).
Nemmeno il gas e il petrolio russi sono inesauribili ma soprattutto non sono insostituibili. Questo però vale per il medio periodo. Il futuro prossimo ci vede in difficoltà, specie paesi come il nostro che l'unica forma di energia autonoma, di cui ci saremmo potuti dotare validamente, l'abbiamo scartata : il Nucleare.
Quindi l'inverno prossimo rischiamo di soffrire un po' il freddo, se ci azzardiamo a ostacolare il risiko di Putin.
Avvilito da queste considerazioni, mi limitavo a leggere i titoli delle notizie provenienti da quella parte del mondo finché mi sono imbattuto nell'analisi di Anna Zafesova,  giornalista russa, corrispondente da Mosca per La Stampa.
Della sua analisi mi sembra molto condivisibile la base, vale a dire la fotografia della situazione qual è. Le proiezioni future invece mi sembrano più azzardate, ancorché io sarei ben contento che le cose alla fine prendessero la piega che la giornalista prospetta : un Putin e la Russia presto in difficoltà, i russofoni ucraini che scoprono come Russia, alla fine, non è detto che sia meglio, una Ucraina che, grazie all'aiuto occidentale, riesce a superare la sua crisi anche economica attuale, un occidente ricompattato dal ritorno del "pericolo russo".  
Sì, mi piacerebbe che andasse così.



Il Risiko ucraino: chi vince e chi perde

Un’analisi della posizione dei protagonisti della partita che si gioca Kiev
AFP
Nel Risiko della nuova guerra fredda la tentazione è spesso quella di usare le categorie del gioco. Chi ha vinto, chi ha perso, come in una partita a scacchi, o a battaglia navale. Nello sconvolgimento totale rappresentato dalla rivoluzione del Maidan e dall’annessione della Crimea, spesso i politologi dichiarano, e i giornali titolano “Putin ha vinto il match”, “Mosca sta conducendo il gioco”, “Chi ha perso la Russia” e ragionamenti di questo tipo. Ma la politica internazionale è spesso più complicata di un “D4, affondato”, non solo perché la posta in gioco è la vita di milioni di persone, ma anche perché si tratta di una maratona, non di un cento metri, e capita spesso che leader osannati dalla cronaca come condottieri e strateghi siano poi stati bocciati dai libri di storia. Proviamo a fare un’analisi della posizione dei principali giocatori della partita.

La Russia
Appare come il vincitore sul campo. La Crimea è stata annessa in pochi giorni, con un’operazione che per spavalderia e brutalità non conosce eguali da decenni nel continente europeo. Mosca da due mesi detta l’agenda al resto del mondo che per ora non fa che inseguirla. Quando la Nato e il Dipartimento di Stato si riducono a pubblicare decaloghi di smentite dei miti della propaganda russa si capisce che, per quanto possa essere fasulla, l’Occidente continua a reagire, e Mosca ad agire. Vladimir Putin gode all’interno del suo Paese di un sostegno mai visto che sfiora l’idolatria, e ha approfittato della Crimea per trasformare il suo governo autoritario in dittatura che rende la sua permanenza al potere a oltranza praticamente garantita.
Ma, come ha scritto il professore Andrey Zubov nell’articolo che gli è costato il licenziamento dall’Università delle relazioni internazionali di Mosca, anche Hitler veniva osannato come genio della politica per la rapida e quasi indolore conquista di mezza Europa in nome della “tutela dei tedeschi”. I primi prezzi Mosca li sta già pagando. Non si tratta solo delle sanzioni, più umilianti che dolorose per ora, ma della perdita della faccia. Agli occhi di decine di interlocutori e partner politici ed economici la Russia è apparsa come una controparte inaffidabile e pericolosa, e la valanga di capitali in fuga – 70 miliardi di dollari in tre mesi di cui 30 solo a marzo – lo dimostra. L’economia russa, già sull’orlo della recessione, rischia parecchio, e dei piani di trasformare Mosca in un nuovo centro finanziario sono rimasti solo i grattacieli, mentre le multinazionali delle automobili, degli elettrodomestici e degli alimentari tremano all’idea di dover lasciare la Russia abbandonando le loro fabbriche. Per ricostruire la fiducia degli investitori ci vorranno decenni, e probabilmente un cambio di leader, mentre l’economia russa si avvia a un periodo di autarchia che, vista la sua dipendenza dalle esportazioni di energia e importazioni di tutto il resto, cancellerà il ricordo delle vacche grasse degli ultimi anni.
Anche sul piano dell’immagine, per i russi forse prioritario, non è stato proprio un successo di pubblico e di critica. Per la prima volta la Russia si è trovata isolata all’Onu, e perfino alleati come la Bielorussia si rifiutano di applaudire l’operazione crimeana, temendo giustamente un bis sul loro territorio. Ad appoggiare senza riserve Putin sono rimasti la Siria, la Corea del Nord, il Sudan, il Nicaragua e il Venezuela: un po’ poco per una nazione con ambizioni di contrastare l’Occidente. L’unico politico occidentale ad aver visitato Mosca nell’ultimo mese è stata Marine Le Pen, mentre i G8, i vertici Ue e tutti gli altri appuntamenti internazionali dove Putin aveva l’occasione di presentarsi come leader globale sono stati cancellati. Ma soprattutto, mentre i vicini dell’Est accelerano la corsa verso l’Ue e la Nato, la Russia è tornata a fare paura. Per quanto il vecchio adagio dei russi recita “all’epoca dell’Urss ci temevano, ma almeno ci rispettavano”, sperimentarlo di nuovo potrebbe rivelarsi deludente. Per la borghesia ormai abituata allo shopping europeo così come per l’intellighenzia che andava a studiare e fare ricerche all’estero, e che ora rischia di trovarsi di nuovo dietro una cortina di ferro che aggraverà il gap tecnologico che separa Mosca dall’Occidente. E alla prossima perestroika i russi non godranno più degli sconti riservati ai figliol prodighi che ritornano dall’esilio del comunismo, ma saranno costretti a un purgatorio umiliante.

L’Ucraina
Apparentemente è sconfitta su tutti i fronti: in preda a una crisi politica ed economica (quest’ultima non prodotta certo dal Maidan, ma aggravata dall’instabilità della situazione), ha perso senza poter replicare un pezzo di territorio e ora vive sull’orlo di una guerra civile con il rischio di un’invasione russa che le staccherà un altro pezzo. Dipende totalmente in questo momento dall’assistenza economica, politica e istituzionale dell’Occidente, mentre la Russia la ricatta con il prezzo del gas. L’avvio di una nuova fase di stabilizzazione che doveva venire lanciata con le presidenziali del 25 maggio ora è a rischio, con i carri armati nelle strade e i comuni di mezzo Paese occupati da separatisti filo-russi infiltrati da agenti di Mosca, il voto appare poco fattibile. Mosca fa di tutto per presentare l’Ucraina come un “failed state”, un pasticcio che solo i russi possono e vogliono risolvere. Una situazione disastrosa nella quale però ci sono anche insperati vantaggi. Il prezzo di 105 vite pagate dal Maidan nella sua protesta a favore dell’Europa e contro la corruzione e l’autoritarismo di Yanukovich, ha compattato una nazione divisa. Oggi la stragrande maggioranza degli ucraini – circa il 75% - vuole entrare nell’Ue, e anche nella Nato, e scopre un’identità che faticava a essere linguistica e storica ma invece viene rafforzata dalla politica: essere ucraini è diventata una scelta, e molti russofoni si dichiarano ucraini per distanziarsi da Putin. E mentre il mondo ha imparato, dopo 23 anni di indipendenza, che l’Ucraina non è una regione della Russia, Kiev si vede aprire porte alle quali altrimenti avrebbe dovuto bussare ancora per anni: ha già firmato la parte politica dell’associazione con l’Ue rifiutata da Yanukovich, riceve aiuti dal Fmi, da Bruxelles e dagli Usa, e gode di simpatie universali. La crisi ha anche costretto a lanciare le riforme economiche rinviate per anni, e a cominciare una desovietizzazione delle strutture statali, sociali ed economiche, in un 1989 a scoppio ritardato che si manifesta non tanto nell’abbattimento delle statue di Lenin quanto nell’avvio di una revisione di leggi e prassi che, se portata avanti, avvicinerà il livello della democrazia a quello europeo e combatterà fenomeni come la corruzione dilagante. E nei tormenti post-Maidan una classe politica finora considerata anche in patria pasticciona, corrotta e trasformista sta dando nel complesso una prova di maturità inaspettata. Il futuro europeo dell’Ucraina a questo punto appare certo, anche per i sensi di colpa dell’Europa, e per quanto costerà una transizione faticosa Kiev ora ha davanti una prospettiva, mentre Mosca si sta chiudendo a chiave da sola.

Gli Stati Uniti
Per Obama, la cui politica estera era considerata il suo maggiore punto debole, trovarsi a difendere il mondo libero nella nuova guerra fredda è stata una fortuna insperata. Gli Usa sono stati i più rapidi e decisi nel condannare la Russia tornata imperialista, e per i repubblicani più falchi criticare il presidente diventa ogni giorno meno facile. Che questa sia una vittoria postuma più dei teorici dell’Asse del Male bushiani che della diplomazia buonista di Obama è a questo punto secondario. Il ritorno di un nemico vero, forte e ideologico, dopo la fine dello “scontro di civiltà” con Al Qaeda, restituisce identità anche al nemico storico della Russia. La vera sconfitta mortale inflitta da Putin è stata quella all’idea della “fine della storia” dove non ci sarebbero stati più conflitti maggiori, ma solo frizioni contingenti in un mondo globalizzato e interdipendente.
Il mondo non sarà più “monopolare” come insiste Putin, ma il voto sulla Crimea all’Onu ha dimostrato che se i centri di interessi economici possono essere tanti, le regole occidentali continuano a valere più o meno per tutti e un fronte alternativo non si creerà certo intorno a una Russia nazionalista. E tutto l’armamentario globale americano, dai satelliti della Nsa alle flotte sparse in tutto il mondo, riacquista un senso, mentre gli attriti con gli alleati europei passano in secondo piano di fronte al risorgere della vecchia minaccia russa che per decenni ha compattato il patto transatlantico. Ma c’è anche una partita economica: gli Usa si propongono di diventare il nuovo fornitore strategico di energia all’Europa. E per quanto il gas americano realisticamente impiegherà dei mesi se non anni per arrivare nei magazzini europei, è un’occasione per gli Usa per tornare a essere decisivi anche in un settore chiave dove per anni, dalla crisi petrolifera degli anni ’70, non hanno giocato fuori dai loro confini. Se il luogo comune vuole che la distruzione dell’impero del male comunista fu merito delle “guerre stellari” di Reagan e dello sforzo economico che imposero all’Urss già decrepita, oggi qualcuno è tentato di ascrivere la prossima – ancora da conquistare – vittoria nella nuova guerra fredda allo shale gas americano.

L’Europa
Apparentemente non guadagna nulla dalla crisi dalla quale viene investita in prima persona: oltre a trovarsi una minaccia immediata ai propri confini, rischia danni economici dalle sanzioni contro Mosca, dalle quali Washington invece esce quasi completamente indenne. E mentre diversi Paesi europei annunciano un’impennata delle spese militari che aggraverà i bilanci già stretti, nei conti ora dovrà entrare anche l’Ucraina con tutti i suoi guai. Un altro dei rischi abbastanza immediati è la realizzazione della minaccia russa di uscire dal Trattato sul bando dei missili a corto e medio raggio, e sostanzialmente riesumare gli “euromissili” da puntare sull’Europa, mentre appare imminente un’espansione delle strutture della Nato: nuove basi, nuovi caccia, nuove stazioni radar, in una riedizione della guerra fredda che dopo il crollo del muro di Berlino sembrava impossibile. Ma il Vecchio Continente nella prova dell’Ucraina sta anche ritrovando un perduto vigore. La risposta di Barroso a Putin che proponeva di discutere il futuro di Kiev tra Mosca e Bruxelles, “l’epoca in cui erano altri a decidere il destino dei Paesi è finita per sempre”, è stata forse la prima frase memorabile uscita dalle mura della Commissione. In una sfida che ha visto l’Ue coinvolta in prima persona – nella crisi ucraina gli attacchi putiniani a Bruxelles forse sono stati perfino più violenti che quelli tradizionali agli Usa – l’Europa, anche suo malgrado, riscopre una ragione d’essere che va al di là della gestione burocratica di un benessere statico. Alla vigilia di elezioni europee che, come mai prima, rischiano di diventare un referendum dominato dagli euroscettici, l’Ue viene chiamata a essere qualcosa di più che una commissione che decide le rotonde, il diametro dei cetrioli e i criteri di bilancio (sui quali non riesce comunque a mettersi d’accordo). Aver visto gli ucraini morire in piazza per quell’Europa che molti europei considerano inutile ha ricordato che, per il mondo là fuori, l’Ue non è solo un’entità astratta e spesso invadente, ma un ideale altrove irraggiungibile di libertà e diritti, oltre che di benessere. E nel conflitto con la Russia, destinato probabilmente a durare a lungo, il Vecchio Continente può ritrovare quella coesione e quel ruolo politico autonomo di attore globale – politico, economico ma anche strategico - che finora non è riuscito a raggiungere.

La Crimea
Per ora si considera vincitrice alla lotteria, in attesa di vedere le pensioni e i salari aumentare al livello russo, e i miliardi di petrolrubli piovere sulla penisola. Putin ha già chiesto a ministeri e grandi aziende di spedire i loro dipendenti in vacanze più o meno coercitive nella nuova regione russa sul Mar Nero, e Simferopoli sogna la gloria di Sochi, senza preoccuparsi troppo del fatto che per il resto del mondo la Crimea resta territorio ucraino. Nei reparti di maternità le telecamere delle tv russe inquadrano madri orgogliose dei loro pargoli “nati già russi” e i ragazzi strappano i passaporti ucraini in pubblico. Ma quando, tra qualche anno, scopriranno che i loro coetanei ucraini possono accedere all’Erasmus e viaggiare liberamente mentre loro saranno chiusi a chiave in una Russia sempre più isolata a studiare sul manuale unico della storia di Putin, forse l’entusiasmo per l’adozione da parte di Mosca comincerà a scemare. E un giorno, per ora lontano, i crimeani si troveranno di nuovo a dover cambiare destino: per il diritto internazionale restano un territorio occupato da restituire al proprietario alla prima occasione.

La Cina
E’ l’ospite silenzioso che gode tra i litiganti. Con la sua astensione all’Onu sulla Crimea si è guadagnata sia i favori della Russia che la interpreta come un “no” che degli Usa che la ritengono piuttosto un “sì”. Ma soprattutto, con ogni passo di Mosca che la allontana dall’Occidente, Pechino vede avvicinarsi un premio che ha sempre sognato. I russi non nascondono di contare sulla Cina tuttofare per colmare le lacune delle importazioni occidentali. Ma per tutto c’è un prezzo, e Nikolay Zlobin, direttore del Centro di interessi globali di Washington, vede uno scenario nel quale tra una decina d’anni Pechino “comprerà a quattro soldi il petrolio russo schiacciando l’economia e poi la politica dello spazio post-sovietico”. Finora Mosca non è riuscita a coinvolgere i cinesi nella sua sfida valoriale all’Occidente, alla quale la prudente Pechino preferisce una cooperazione economica che l’ha resa indispensabile, a differenza del gas russo che si è rivelato alla fine, seppure faticosamente, sostituibile. Ma anche nel caso la Cina decidesse un giorno di diventare il secondo polo del “mondo bipolare”, alla Russia economicamente, tecnologicamente e demograficamente ridimensionata toccherà al massimo un ruolo di appoggio degli ex “fratelli minori” del Pcc. E per evitare questo scenario gli Usa e l’Europa saranno costretti a corteggiare Pechino, o almeno a non farla arrabbiare.

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