domenica 4 maggio 2014

IL CALCIO C'ENTRA ECCOME. GLI ULTRAS SONO LA METASTASI DI UN CORPO MALATO

 Tifoso ferito, arrestato per tentato omicidio ultrà della Roma: "Ha provocato e poi sparato"

Gente che non c'entra niente col calcio. Dicono sempre così, quelli che di calcio ci campano, o prefessionalmente o emotivamente (che è l'unica cosa che li emoziona).  Sono solo poche mele marce....
Peccato che però poi spesso comandino loro. Un po' troppo, per delle semplici mele, tanto più poche e oltretutto marce.
E invece non è così. E' il Calcio ad essere infetto, e i tifosi non sono la parte sana rimasta meravigliosamente immune. E' una bugia. E le misure di controllo funzionano evidentemente poco, se poi così spesso le partite sono occasioni di scontri, di vandalismi e di feriti. Quando poi l'ordinaria follia fa il salto di qualità, come ieri, allora inizia la retorica sdegnata e moralistica, che tale è. Qualcuno suggerisce pure di chiudere la baracca per un po', ma lo fa solo per avere visibilità, per distinguersi nel coro. Non è detto che non sarebbe una soluzione, circoscritta nel tempo. Sicuramente non è impossibile, che in Uruguay il Presidente Mujica stabilì che per una certa partita del Nacional di Montevideo  non ci sarebbe stata la polizia ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/04/via-la-polizia-dagli-stadi-arrangiatevi.html). Non l'avrebbe mandata, stanco dei feriti tra le forze dell'ordine. Si arrangiassero tifosi e società. Ve lo immaginate renzino prendere una iniziativa così impopolare ?
No il giocattolo non si tocca, che troppe creature mai cresciute del tutto vi si abbeverano settimanalmente, e boccheggiano in astinenza durante l'estate. 
Quando viene fischiato l'inno nazionale, non sono solo gli ultras a farlo, e questo vizio negli stadi è bieca abitudine ancor più se l'inno è straniero. In quel caso però lo si stigmatizza di meno, e non si capisce il perché. 
Quest'anno poi è andato di moda, specie a Milano, Roma e anche a Torino, prendere di mira Napoli e i napoletani. Era un po' che non accadeva, e l'evocazione razzista nei confronti della città del sud fatta anche quando non ci sono gli azzurri in campo non l'avevo mai vista. 
Più frequenti sono diventate le scene delle trattative  coi capi ultrà - ieri era di scena jenny 'a carogna (che sicuramente andrà fiero del suo nome di battaglia) , tempo fa l'inchino suppplice dei giocatori del genoa, indegni di portare la maglia - e tutto questo accade senza una vera condanna da parte degli altri tifosi, che , per lo più, considerano gli ultras dei "compagni che sbagliano", come ai brutti tempi la sinistra diceva dei terroristi rossi. 
Certo, poi quelli normali, che vanno allo stadio per tifare la propria squadra e basta,  rischiano di restarci in mezzo, che basta avere la sciarpa e fare l'incontro sbagliato andando verso lo stadio che ti ritrovi in ospedale.
In questi casi si chiede più efficienza alle forze di polizia, le stesse che se non si limitano a farsi insultare, provocare e anche malmenare dai teppisti della piazza sono chiamate fasciste.
Non se ne esce.
Ma per i tifosi, quelli "veri", non sono questi i problemi. Sono l'arbitro che non fischia il rigore, che non espelle l'avversario, ti assegna contro il fuorigioco.
Quelli sì, sono i problemi gravi.

Tra le cose lette, riporto l'intervento su IL POST di Stefano Nazzi

IlPost

Ultras, questi sconosciuti



Il titolo peggiore era su Gazzetta.it: “A Roma ha perso il calcio”. E che vuol dire? “Fatti che con il calcio non c’entrano niente”, dicono telecronisti e commentatori. Lo ripetono da 40 anni. Come se i vari Genny a’ carogna spuntassero dal nulla, all’improvviso, usciti da sotto un cavolo, comparsi in una curva. Come se improvvisamente sgranassero gli occhi: “Oh, e chi sono quei brutti e cattivi?”. Come se le curve, intese come aggregazioni di tifosi organizzati, diretti da una precisa struttura gerarchica, non fossero parte integrante e organica del calcio.
A marzo, dopo una sconfitta del Milan, Balotelli fu portato a colloquio con un capo ultras. Che evidentemente lo assolse. Quello stesso capo ultras venne poi intervistato da Sport Mediaset. Disse: “un colloquio era necessario”. Ma questo “non c’entra nulla con il calcio”, direbbero i commentatori. Episodi così ce ne sono dappertutto. Da San Siro allo Juventus stadium (dove da anni c’è una guerra feroce per il controllo della curva), da Roma a Napoli a Palermo. Le curve sono saldamente nelle mani della criminalità organizzata, capi ultras e boss criminali sono spesso la stessa cosa.
Un articolo del 2012 della Gazzetta dello sport raccontava come a Bergamo giocatori, allenatori e dirigenti abbiano sempre fatto la fila per inchinarsi di fronte a uno dei capi ultras più celebri d’Italia, il Bocia. Le intercettazioni che rese note allora la squadra mobile raccontano tutto un mondo: ci sono allenatori che chiedono sostegno contro la società, altri che chiamano il capo ultras per sputtanare un dirigente, giocatori che invocano aiuto per poter tornare a giocare nell’Atalanta. Come se fossero i capi ultras a decidere chi la società deve comprare, quale allenatore può allenare.
I giocatori i capi delle curve li conoscono bene, vanno alle feste organizzate da loro, a volte, se squalificati o infortunati, vanno in curva, in mezzo a loro, a posare per le foto. Ci vanno di loro spontanea volontà? No, certo. A spedirli sono le stesse società che quegli ultras li tengono buoni perché forse faranno comodo domani quando ci sarà da far pressione sulla federazione o ci sarà da contestare quel dirigente o da mandare via quel calciatore. Teneteli buoni, serviranno. E comunque è sempre meglio non farli arrabbiare. O credete che i biglietti che vengono poi rivenduti in curva piovano dal cielo? Poi, se succede qualcosa come ciò che è accaduto a Roma per la finale di coppa Italia, ci si gira tutti dall’altra parte.
Certo, è vero: a volte i giocatori sono ostaggi, costretti, come accadde a Genova due anni fa, a sfilare davanti agli ultras togliendosi la maglia. Ma ci sono anche giocatori che con i capi ultras si sono messi in affari per produrre e vendere magliette o per aprire locali. E capi ultras che campeggiano da enormi manifesti elettorali. Perché lì, in curva, si vanno a prendere i voti e si reclutano militanti. Poi qualcuno diventa anche assessore, o magari europarlamentare.
Sulla Gazzetta dello sport in edicola c’è un commento dal titolo “Renzi, niente da rottamare?”. È sempre così, la palla viene spedita fuori dallo stadio, lontana: come a dire “Occupatevene voi, il calcio, il bel giocattolone, non c’entra niente”. Sui giornali si parla molto ovviamente anche dell’inno di Mameli fischiato dalle due curve, quella napoletana e quella fiorentina. Ma in Italia funziona così, per qualsiasi inno. O gli inni nazionali degli altri valgono meno? Se ne sono mai accorti i solerti commentatori Rai? Quando gioca la Nazionale, negli stadi italiani, si fischia regolarmente l’inno degli avversari. Non succede in nessun altro stadio d’Europa, o almeno è molto raro. Ricordo Italia Francia a San Siro qualche anno fa: tutto lo stadio fischiò la Marsigliese. Ma proprio tutto, mica solo le curve: un solo fischio da 80.000 persone. Tutti, con le famiglie in coro, grandi e piccini, che urlavano a squarciagola “buu”.
Qualcuno invoca leggi speciali. Come se le leggi non ci fossero già. Come se ci fosse una legge che permette di portare nello stadio petardi potentissimi. Entrano sempre e comunque quei petardi. La tessera del tifoso? Non sembra sia servita a molto. E il Daspo? Certo, impedisce ai più violenti di entrare allo stadio. Ma appena oltre il cancello, sono sempre loro a comandare, a decidere. E le cose, come a Roma ieri sera, accadono fuori dallo stadio, non dentro.
È una questione di ordine pubblico, certo. Ma non solo solo, non può esserlo. I capi delle curve vivono in simbiosi con le società, passano le vacanze dove le squadre vanno in ritiro, sono, in un certo senso, anche loro dirigenti. Organizzano, decidono, coordinano. Società e ultras si servono e si usano, da sempre. Poi, quando succede qualcosa di grave, fanno finta di non conoscersi.

Nessun commento:

Posta un commento