In tanti hanno detto e diranno sul nuovo scandalo tangentizio, che stavolta investe Venezia e la giunta politica di quella città, improvvisamente rinnegata dai suoi sostenitori e padrini politici. Francamente tanta spudoratezza - non sono "nostri", non sono iscritti - l'annovero tra le top ten di tutti i tempi.
Sul tema oggi si pronuncia Davide Giacalone, con l'articolo che segue. Nella premessa allo stesso, l'opinionista nota come il PD renziano non faccia grandi progressi in campo garantista, adottando la politica del gambero, che per un passo avanti che a volte si registra ( tipo la candidatura del Prof. Fiandaca alle europee) ce ne sono almeno due indietro. Era solo marzo quando la ministra Boschi, rispondendo ai grillini che accusavano il governo di nominare ministri e sottosegretari indagati, rispondeva , giustamente, che l'avviso di garanzia è cosa diversa da una condanna e che dalle loro parti vige (davvero ??) il principio costituzionale della presunzione d'innocenza.
Brava, Bene, Bis !! Poi però passano solo tre mesi e il Premier invoca il Daspo, parla di traditori...Immagino che dia per sottinteso che il suo pensiero è rivolto al caso che gli indagati di oggi si rivelassero i colpevoli di domani. Però non lo precisa, e allora la sensazione è che il garantismo, da quelle bande, continui ad essere merce non poi troppo apprezzata.
L'articolo ricorda altre cose un po' imbarazzanti, come la lunghezza infinita delle indagini. Avevo letto tre anni, che non sono pochi, Giacalone oggi scrive che iniziarono nel 2008... Ti credo che vogliono eliminare la prescrizione !!!
Buona Lettura
Regole corrotte
Marzo 2014. Il tempo vola, ma è appena ieri. Il ministro Maria Elena Boschi prende la parola in Parlamento e dice: “Non è intenzione di questo governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari solo sulla base di un avviso di garanzia”. Aggiunge: “l’avviso di garanzia è a tutela degli indagati (…) non è un’anticipazione di condanna”. Resta “il principio fondamentare della presunzione di innocenza”. Brava, ben detto. Giugno 2014, oggi: il sindaco di Venezia (destinatario di una misura cautelare che intacca l’innocenza tanto quanto un avviso di garanzia, cioè per niente) viene sospeso dalla carica e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, afferma: “il problema non sono le regole, ma i ladri”. Capisco il panico, reso evidente anche dal maldestro tentativo di cancellare il colore politico di quella giunta, ma la contraddizione la vedo solo io? La presunzione d’innocenza vale per chi è stato appena nominato membro del governo e non vale per gli altri? Alla faccia del “principio fondamentale”!Ci sono due modi per usare il doppiopesismo. Il primo consiste nell’essere colpevolisti con gli avversari e innocentisti con gli amici e compagni. Il secondo nel distinguere le inchieste fra quelle per cui il clamore mediatico è bassino, nel qual caso si possono anche fare valere i principi, e quelle che deflagrano in boati ineludibili, nel qual caso i principi si mollano come zavorre. Entrambe i modi non hanno nulla a che vedere con la civiltà. Né del diritto, né della politica. Occorre ragionare con calma, senza esagerare e senza minimizzare.
1. Il problema delle regole esiste eccome, tanto che lo stesso governo si propone di modificarle. Le regole degli appalti sono barocche, prolisse e aggirabili. Detto e scritto un milione di volte. Ma c’è una regola che le sovrasta e che non funziona: la giustizia. Se la pena consiste nella giornata, settimana o mesata (a seconda dei casi) di clamore mediatico, salvo poi inabissarsi tutto in processi che durano lustri, a esito dei quali degli innocenti ci si dimentica e i colpevoli non scontano la pena, il risultato che si ottiene è doppiamente corruttivo della vita pubblica: gli onesti ne escono massacrati e i disonesti vittoriosi, perché ebbero ragione a intascare i soldi e sopportare i passeggeri insulti.
2. Gli inquirenti ci hanno detto che le indagini durano dal 2008. Vi pare normale? Non solo questa regola non funziona, ma, per la verità, nel codice di procedura penale è scritto che le indagini hanno limiti temporali, che non coprono manco lontanamente i sei anni.
3. Per Expo e Mose, come in troppi altri casi, le indagini servono in campo penale, ma sono inutili al dibattito civile. Perché sappiamo già per certo che i tempi dei lavori sono incompatibili con i progetti iniziali e i costi lievitati enormemente. C’è bisogno delle manette, per accorgersene e prendere provvedimenti? Questo è il guasto della politica, non solo il balbettio post retate.
4. Esaurite le parole contro il malcostume politico, lanciate maledizioni all’indirizzo di quanti pensano sia sensato opporre la “trasversalità” del crimine, vale la pena aggiungere due cose: a. gli anticorpi del diritto societario, della revisione dei bilanci e dell’etica imprenditoriale sono scomparsi, tali fenomeni non sarebbero possibili se non fosse considerato accessibile il falso in bilancio e non si considerasse accettabile rubare alle aziende, proprie o che si dirigono; b. gli ultimi due scandali sono collocati al nord, hanno durata pluriennale e diffusione capillare, il che dovrebbe suggerire prudenza nel farne questioni di costume o latitudine, constatando il marcire del tessuto sociale.
5. In ultimo: come si fa a conciliare l’opportunità di non fermare le inchieste con la necessità di non fermare i lavori? Si può. Non con supercomissari, premessa di superdelusioni. Non con provvedimenti su misura. Ma con una regola generale: così come quando si scopre un traffico di droga non si è costretti a intervenire subito, attendendo che i trafficanti svelino altre parti della loro rete criminale, così si dovrebbe potere sospendere l’azione penale ed evitare che si traduca in un danno per lavori pubblici la cui scadenza deve essere certa (si legga “Corruzione”, del colonnello Maurizio Bortoletti, edito da Rubbettino).
Nulla funzionerà mai, però, se non funziona la giustizia e se non si attiva la responsabilità politica in capo ai lavori che vengono affidati, considerando tempi e costi come punti certi, non variabili meramente indicative.
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