Stimo molto Giovanni Orsina, conosciuto con la lettura del suo libro "il berlusconismo nella storia d'Italia", tentativo efficace, a mio avviso, di storicizzare, ancorché un po' precocemente, il fenomeno del Cavaliere, le ragioni del suo successo e poi del declino nella nostra Nazione. Il libro mi fu segnalato dal mio amico di litigi, Cataldo, che sicuramente lo aveva letto prima di me, magari con poca attenzione, a vedere l'assenza di risultati, che l'uomo è rimasto un vetero e pregiudiziale anti Cav.
Ho poi continuato a seguire Orsina su La Stampa della quale è opinionista ( uno dei non molti che apprezzo di questo giornale, che però ha ai miei occhi il merito di dare spazio semi settimanale al grandissimo Luca Ricolfi ).
Fatta questa premessa, devo dire che dell'editoriale odierno, pur apprezzando l'analisi di fondo e la chiosa conclusiva, non condivido affatto l'affermazione che oggi intellettuali, commentatori ed osservatori siano più liberi rispetto a ieri. Quella contiguità tra politica e informazione, da lui giustamente rilevata come leit motiv della storia repubblicana, sempre e di più negli ultimi 20 anni, avrebbe l'opportunità di rompersi nell'attuale situazione dove gli schieramenti non sono più due e quelli esistenti non hanno tratti così granitici come nel passato, specie il più recente dove siamo stati afflitti dal duello mortale tra berlusconiani e anti (due autentiche chiese , con fedeli assolutamente pervasi dal più pervicace e demente fanatismo).
Come detto, condivido la considerazione di partenza ma non l'ottimismo di approdo. E del resto qualche dubbio ce l'ha anche Orsina che vede nell'eccessivo favore di cui oggi gode il nuovo fenomeno italiano, Matteo Renzi, il rischio dell'affermazione di un nuovo "pensiero unico", che non sarebbe un grande viatico verso quella maggiore libertà intellettuale pure auspicata e addirittura intravista dall'autore dell'articolo.
Intellettuali ora più liberi dalla politica
Il discorso pubblico italiano è malato da sempre di partigianeria. Le ragioni sono numerose, e tutte ben conosciute: i centri del potere mediatico sono tradizionalmente troppo vicini alla politica.
Anche le forme di questa partigianeria sono note. Capita nei casi più gravi che la realtà sia distorta o stravolta.
In altri casi può essere taciuta, occultata, minimizzata. Un avversario che faccia la cosa giusta può esser criticato perché non ha fatto a sufficienza (il cosiddetto «benaltrismo»). I misfatti di un amico possono essere nascosti sotto quelli di un nemico o sotto quelli di tutti (se ci fosse da scherzare potremmo parlare di «travipagliuzzismo» e «cosifantuttismo»). Ha più di mezzo secolo, del resto, la celebre denuncia di Enzo Forcella sul circuito perverso fra giornalismo e politica, «Millecinquecento lettori». Poco più di dieci anni dopo, Ennio Flaiano ebbe a constatare, sconsolato, che in Italia semplicemente non esiste la verità.
Poiché molti di questi difetti potevano esser ricondotti al clima di Guerra Fredda, era lecito sperare che col 1989 il discorso pubblico italiano sarebbe finalmente entrato in un’età più libera. Ahinoi, è accaduto l’esatto contrario. La stagione di Tangentopoli ha generato un garbuglio tale di asimmetrie, commistioni fra piani diversi, capri espiatori, speranze palingenetiche, appartenenze fideistiche e ostilità viscerali, che la «laicizzazione» della sfera pubblica italiana non ne è stata certo agevolata. Un garbuglio che, sia detto per inciso, a vent’anni di distanza aspetta ancora di essere dipanato e storicizzato. Poi è sceso in campo Berlusconi. E fra il berlusconismo trascendentale di un parte e l’antiberlusconismo trascendentale dell’altra siamo caduti dalla padella nella brace.
La mutazione politica avviatasi fra il 2011 e il 2013 ci offre oggi – offre a noi «intellettuali» – una nuova, straordinaria opportunità per costruire in Italia un discorso pubblico finalmente laico. L’agonia del berlusconismo e l’ascesa di Renzi hanno ormai consegnato alla storia la dicotomia fra berlusconiani e antiberlusconiani. Chi culturalmente si colloca a destra non può restare nel solco delle antiche fedeltà: al contrario, ha bisogno della massima libertà intellettuale per valutare fino in fondo non solo in che razza di vicolo cieco l’abbia cacciato il berlusconismo, ma anche quanto la mutazione del Pd e l’avvento di Grillo (insieme ad altri fenomeni di portata ben maggiore) stiano trasformando le categorie stesse di destra e sinistra. Con queste trasformazioni deve fare i conti anche chi culturalmente si schiera a sinistra. Renzi ha rinunciato alla pretesa arrogante e autolesionistica della cultura progressista di rappresentare l’Italia «giusta». E soprattutto ha recuperato dal berlusconismo modi e contenuti che per vent’anni quella cultura non solo non ha mai smesso di condannare, ma aveva addirittura identificato, apocalitticamente, con la fine della democrazia se non della civiltà.
Oggi siamo tutti più liberi, dunque. Ma dobbiamo decidere che cosa fare della nostra libertà. Perché la mutazione politica in corso può condurci in due direzioni molto differenti. O verso un dialogo pubblico pluralistico, dissonante e anche aspro, ma finalmente aperto e progressivo perché meno asservito a urgenze immediatamente partigiane. Oppure – data la crisi della destra e il contenuto intellettuale scarsissimo o nullo del grillismo – verso il monologo di uno schieramento politicamente e culturalmente egemone. Il rischio, insomma, è che la ritrovata libertà sia usata per correre al soccorso e mettersi al riparo di un nuovo padrino politico – l’unico ormai a disposizione, vincente, progressista e moderato –; che il discorso pubblico si isterilisca nella ripetizione unanime e pappagallesca dei mantra del politicamente corretto; e che le voci dissonanti siano silenziate di fatto se non di diritto. Sarebbe davvero un peccato mortale.
Interpretazione autentica: "Cari intellettuali progressisti, per vent'anni avete forzato la verità quanto e più dei berlusconiani, sostenendo che bisognava sconfiggere Berlusconi con ogni mezzo. Ora che Berlusconi non c'è (quasi) più, si parrà la vostra virtute: vediamo se siete in grado di cominciare a dire le cose come stanno; oppure se, Berlusconi o non Berlusconi, quel che vi interessa davvero non è né la verità né la libertà, ma soltanto marciare con la truppa e godervi il rancio. Se sceglierete la seconda via, questa volta non avrete più scuse". È ovvio che la maggioranza sceglierà la seconda via. Ma dixi, et salvavi animam meam.
RispondiEliminaVa meglio, così?