In Italia c'è un 10% di concittadini, questa è la percentuale rilevata da Pagnoncelli in una sua ricerca demoscopica di qualche mese fa, che pensa che i due Marò ristretti in India siano colpevoli di aver ucciso due innocenti pescatori indiani. Pochi, fortunatamente. Tra questi, c'è un mio ex amico di FB che non gradì le mie osservazioni in merito a questa vicenda.
Ecco, io a quel 10% mi rivolgo riportando il commento prettamente legale di un maestro del processo così come dovrebbe svolgersi in paesi informati al Diritto,l'avv. penalista Domenico Battista :
"I nostri Marò sono trattenuti ancora in India in un paese dove la civiltà giuridica è a tal punto in basso da prevedere che , ad oltre due anni di distanza , pur essendo gli indagati privati della libertà personale, possa non essere stato ancora elevato un capo di imputazione ed individuato il giudice competente. Lo stesso paese dove la "civiltà" giuridica prevede la pena di morte, un differente trattamento per le donne ; uno Stato che mantiene finanche la divisione in "caste" (con gli "intoccabili" , tra i quali le due povere ragazze violentate, uccise e lasciate impiccate, privi di qualsiasi diritto civile e fondamentale). La situazione è intollerabile ! "
Qui il problema non è se i due Marò siano innocenti o meno - io penso di sì, ma non posso esserne certo, al pari di voialtri, che credete la cosa opposta - quanto il fatto che sono oltre due anni (esattamente 28 mesi) che due esseri umani sono privati della libertà, ancorché non detenuti in prigione, senza il rispetto delle più elementari garanzie di uno Stato di Diritto.
Certo, ingiustizie avvengono anche da noi, purtroppo, e il nostro sistema, tra quelli occidentali, mostra crescenti carenze. Però questo non sminuisce di una virgola la colpa indiana e comunque chiedo ai miei connazionali se , costretti a scegliere ttra i due mali, si sentirebbero meno a rischio nel nostro ordinamento o in quello indiano, per quello che ci mostra.
28 mesi lontani dalla propria casa, famiglia, affetti. Certo, per quelli convinti che sono degli assassini tutto questo è giusto. Però va PROVATO, e da una corte IMPARZIALE. E questo non sta avvenendo (nemmeno iniziando).
Adesso c'è su La Stampa ( causa Ricolfi sono abbonato a questo strano foglio...però la mia pazienza è messa a dura prova, soprattutto dal lato degli opinionisti, mentre va meglio il settore Cronaca, l'esatto contrario di quanto avviene con il Corriere...) c'è il commento di tale Francesca Sforza , cognome importante ancorché non sappia chi sia, la quale spiega al marinaio Girone che il suo è un "urlo giunto al momento sbagliato".
#Marò in videoconferenza, Girone in urla: ''Abbiamo obbedito a ordini'' [VIDEO] http://larep.it/1tB50qS
Le ha sentite le parole di Girone la giornalista ? Io sì (lopotete fare anche voi, cliccando sul link riportato) e non ho sentito un urlo, sicuramente un tono di voce perentorio, di chi è stanco dopo oltre due anni di essere privato della libertà , convinto di avere eseguito degli ordini. Che non erano, e non sono, la scusa nazista di portare al macello persone innocenti, condannate ai gas per la loro razza, ma osservare determinate regole d'ingaggio in azioni anti pirateria. Poi può essere accaduto un incidente e i due, intendendo intimidire quelli dell'imbarcazione che si avvicinava troppo, hanno sbagliato mira e hanno colpito chi era a bordo (da dimostrare); oppure , come sostengono i due Marò, non hanno colpito nessuno e quei morti appartengono ad altro incidente accaduto in quelle acque (da dimostrare); francamente non credo a due che impazziscono e proditoriamente si mettono a sparare su un innocuo peschereccio (da dimostrare).
Le parole di Girone, per quanto rivelino tensione ed esasperazione, restano contenute nella sostanza. e il militare parla di dignità, di dovere, di volontà di continuare su questa linea, finendo con parole di ringraziamento per i parlamentari che avevano organizzato questo saluto simbolico in occasione del 2 giugno (assenti i ministri degli esteri e della difesa, invitati...), e augurando buona festa della Repubblica.
Vorrei vedere la signora Sforza, dopo 28 mesi in un paese straniero ed ostile, avere la stessa dignità.
Venendo al merito, la giornalista fa presente che l'internazionalizzione della questione, con la richiesta di un arbitrato, è cosa lunga...
Se telefonava alla collega Maria Giovanna Maglie, che da sempre segue questa amara vicenda non mollando mai i due marinai, avrebbe appreso che il piano, con i passi da effettuare, per l'arbitrato in questione, fu redatto dall'allora Ministro Giulio Terzi e "giace da un anno e più nei cassetti di Farnesina e Palazzo Chigi..." chiosando sarcasticamente "si vede che i ragazzi di Renzi sono allergici alla polvere, o che il segretario alla Presidenza Snadro Gonzi, a lungo presidente dell'associazione amicizia Italia-India se l'è mangiato".
Sono in diversi, non solo Maglie, a scrivere che questa storia è stata gestita talmente male fin dall'inizio che non si potrà lasciare che i responsabili istituzionali non rendano conto di quanto avvenuto.
C'è chi dice che è meglio però aspettare che i due Marò siano prima fuori dal territorio indiano, altri forse immaginano che incalzando i felloni di ieri forse si mette un po' di sana fretta ai loro sostituti di oggi.
Due anni e mezzo sono un tempo sufficiente per chiunque.
Quell’urlo giunto al momento sbagliato
La vicenda dei marò è stata funestata sin dall’inizio da
una serie di errori. Il più grave, e primo in ordine di tempo, è stato
aver consentito che il piano politico prendesse il sopravvento su quello
giuridico, rendendo di fatto impossibile garantire che le prove, gli
indizi e i risultati delle indagini portassero a trarre conclusioni
coerenti sul piano dei fatti accaduti. L’ultimo è di ieri, nei toni e
nei modi usati da Salvatore Girone nel videomessaggio lanciato da Nuova
Delhi alle Commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato italiani.
Perché se è comprensibile che i due fucilieri si sentano frustrati dalla
lentezza che ha subìto l’intero processo, tutto si può sostenere tranne
che non ci si stia occupando di loro.
La strada politica di internazionalizzazione della vicenda, intrapresa con il governo Letta e portata avanti dal governo Renzi , è quella giusta, ma certo non è rapida. E i due marò, che hanno seguito da vicino le ultime presidenziali indiane, lo sanno bene: il loro caso è stato usato da Narendra Modi – uscito vincitore dalle urne – come esempio della voglia di riscatto di un Paese che non intende sentirsi subalterno a potenze straniere.
La loro italianità è diventata l’icona dell’irresolutezza del Partito del Congresso targato Sonia Gandhi, e malgrado l’indignazione della stampa occidentale per il risultato del voto indiano, bisogna essere onesti: nessun governo sarebbe stato in grado di frenare la tempesta perfetta che si era scatenata sulla testa dei nostri fucilieri (ne sanno qualcosa gli americani, che per aver arrestato una viceconsole indiana che non aveva pagato i contributi alla colf si sono visti piovere addosso una serie di rappresaglie all’insegna del «Se ci rinfacciano le loro regole, noi sfoderiamo le nostre»).
L’India è una potenza ombrosa, ma adesso è alla ricerca di credibilità all’estero e una serie di segnali che arrivano proprio in questi giorni dalle procure indiane lasciano ben sperare. L’Italia del resto ha delle fragilità strutturali, ma non abbandona i propri connazionali in difficoltà. Sbagliare i toni adesso, al netto di una pur comprensibile rabbia, può rivelarsi rischioso.
La strada politica di internazionalizzazione della vicenda, intrapresa con il governo Letta e portata avanti dal governo Renzi , è quella giusta, ma certo non è rapida. E i due marò, che hanno seguito da vicino le ultime presidenziali indiane, lo sanno bene: il loro caso è stato usato da Narendra Modi – uscito vincitore dalle urne – come esempio della voglia di riscatto di un Paese che non intende sentirsi subalterno a potenze straniere.
La loro italianità è diventata l’icona dell’irresolutezza del Partito del Congresso targato Sonia Gandhi, e malgrado l’indignazione della stampa occidentale per il risultato del voto indiano, bisogna essere onesti: nessun governo sarebbe stato in grado di frenare la tempesta perfetta che si era scatenata sulla testa dei nostri fucilieri (ne sanno qualcosa gli americani, che per aver arrestato una viceconsole indiana che non aveva pagato i contributi alla colf si sono visti piovere addosso una serie di rappresaglie all’insegna del «Se ci rinfacciano le loro regole, noi sfoderiamo le nostre»).
L’India è una potenza ombrosa, ma adesso è alla ricerca di credibilità all’estero e una serie di segnali che arrivano proprio in questi giorni dalle procure indiane lasciano ben sperare. L’Italia del resto ha delle fragilità strutturali, ma non abbandona i propri connazionali in difficoltà. Sbagliare i toni adesso, al netto di una pur comprensibile rabbia, può rivelarsi rischioso.
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