Amarissima, per non dire distruttiva, l'analisi di Piero Ostellino che prende spunto dall'assoluzione di Silvio Berlusconi nel secondo processo "Ruby".
La riporto, ma stavolta le evidenzazioni sono più per segnalare i passi più desolanti di un quadro fosco.
Per Ostellino la Giustizia semplicemente non esiste più, e l'assoluzione di Berlusconi è solo un gesto di realpolitik da parte della magistratura che, nel gestire e conservare il potere raggiunto, non vuole tirare troppo la corda.
Da brividi...
Io voglio credere che il bravo giornalista stavolta si sia fatto sopraffare dal pessimismo che da tempo lo pervade, e che se sicuramente vi sono non poche verità - ahinoi - in quello che scrive, le conclusioni generali sono veramente eccessive, almeno stavolta.
Un nuovo attore del sistema politico
L’assoluzione in Appello di Silvio Berlusconi per il caso Ruby non è stata una sorpresa, come i media l’hanno presentata, né un atto di giustizia, come si illude la destra. È stata un atto di Realpolitik da parte di una magistratura che pare sapere sempre quanto le convenga fare, e dire, per mantenere e consolidare il proprio potere. Non è stata un successo della Giustizia, ma un compromesso parapolitico maturato nelle particolari circostanze di una lotta di potere non regolata.
Se Berlusconi fosse stato condannato anche in Appello, probabilmente ci sarebbe stata una reazione da parte dell’area cosiddetta moderata; reazione che, delegittimandola, avrebbe ridotto non solo l’autorità istituzionale, ma anche il potere politico di cui la magistratura dispone; avrebbe provocato un rivolgimento parlamentare, del quale anche il presidente della Repubblica avrebbe dovuto prendere atto, sciogliendo le Camere, indicendo nuove elezioni. Che nessuno vuole perché potrebbero vincerle «gli altri», più propensi a fare le riforme, compresa quella della Giustizia. Berlusconi potrebbe essere stato assolto non solo perché le ragioni della condanna precedente non stavano in piedi in punta di diritto, ma anche perché la sua assoluzione era «conveniente» al mantenimento delle cose come stavano.
Sarebbe, però, fuorviante dedurne che l’accaduto sarebbe il frutto di un tacito accordo fra il Cavaliere e Renzi. Per cercare di ipotizzare come sono andate effettivamente le cose occorre provare a chiedersi come funziona il nostro sistema politico dopo che potere legislativo e potere esecutivo hanno di fatto delegato il potere giudiziario a esercitare un ruolo che costituzionalmente spetta loro; occorre partire dalla constatazione che la magistratura o, almeno, la parte più dinamica di essa, non è più — come era stata con la fine della Prima Repubblica, dopo la scomparsa dei partiti ad eccezione del Pci, e la discesa in campo di Berlusconi — un organismo al servizio, più o meno diretto, di una sinistra che non ce l’aveva fatta e non ce l’avrebbe mai fatta, da sola, a vincere le elezioni e a governare il Paese.
Con il governo Renzi — nato a sinistra, ma sostenuto in Parlamento da una destra sempre più restia a farlo — la magistratura è in una botte di ferro. Si è liberata dell’ipoteca di essere il braccio giudiziario della sinistra, può influenzare il sistema politico in modo del tutto autonomo attraverso le sole sentenze anche se non è dato sapere se calcolate, come si insinua da destra, o casuali, come si sostiene a sinistra; non subirà la riforma di un sistema giudiziario che le riconosce una spropositata e invasiva discrezionalità.
La magistratura è in gran parte, soprattutto se di sinistra, una corporazione come tante che — con buona pace della distinzione e separazione dei poteri — fa i propri interessi operando nel e sul sistema politico senza mandato popolare e non pagandone i costi. La sinistra — una forza conservatrice, erede del corporativismo organicista fascista — non ha più bisogno dell’aiuto della magistratura per vincere elezioni; è in grado di vincerle, anche a prescindere dalla carenze della destra, con i soli propri mezzi e di governare con l’appoggio di qualche opportunista. Le elezioni la sinistra le ha vinte con Renzi — che si è alleato con Berlusconi e che, da Berlusconi, si è persino truccato.
Il governo Berlusconi, di destra, quanto a non attuare le riforme pur fingendo di volerle, non era stato da meno del governo Renzi, di sinistra. Renzi è funzionale al corporativismo come lo erano stati i governi del Cavaliere. Le maggiori corporazioni garantiscono lunga vita al furbo ragazzotto fiorentino a condizione che non tocchi nulla; perciò Renzi ne parla molto, fa poco e conta su quegli italiani che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, coltivano la speranza in un «avvenire luminoso». Che la sinistra promette, a parole, quando è all’opposizione; non realizza quando va al potere.
Le vicende giudiziarie di Berlusconi di questi giorni sono emblematiche del conservatorismo che grava sul funzionamento del sistema politico-istituzionale. Prima, c’è stata la condanna «esemplare» ad uso dei giustizialisti di destra e di sinistra; poi, l’assoluzione parimenti «esemplare» ad uso di pochi garantisti di ogni partito. In modo da accontentare tutti e fare in modo che tutto restasse come prima.
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