domenica 24 agosto 2014

"CARO OCCIDENTE AVETE VISTO ? IO SONO IL MALE MINORE !" PAROLA DI ASSAD



A quanto leggo , la cannibalizzazione fondamendalista della rivolta siriana, non è stato un colpo di fortuna ma una precisa strategia di Assad. Consapevole che l'insurrezione laica e antidittatura poteva trovare prima o poi un decisivo aiuto occidentale, il dittatore di Damasco ha favorito in vario modo che s'ingrossasse, nel fronte dei suoi avversari, la parte dei terroristi islamici, scommettendo, con successo, che a quel punto sarebbe stato assai difficile per Obama e alleati eventuali, armare gli insorti col rischio concreto di ripetere quanto accaduto in Afghanistan ( dove furono armati i mujhaddin contro i russi, ma con essi anche i talebani delo sceriffo Omar che poi s'impadronirono del paese ). Così è stato, col risultato che anzi, oggi, Assad appare agli occidentali decisamente il male minore. e così magari adesso in Siria Obama ci andrà, ma per combattere il nemico di Basharm divenuto l'avversario comune.


e Assad (che Favorì l’Isis) 
Gioca a Fare l’Alleato 
 
L e milizie nere cominciano a spadroneggiare per le strade della provincia di Raqqa nella primavera del 2013. Quel pezzo di deserto a nord-est della Siria rappresenta il primo cantone del Califfato che i fondamentalisti pianificano di assemblare. È una regione ricca di petrolio, in qualche modo vitale per il regime che da Damasco e attorno a Damasco già da due anni combatte la rivolta. Eppure il clan di Bashar Assad aspetta fino alla metà dello scorso giugno, fino a un paio di mesi fa, prima di ordinare l’offensiva contro l’esercito irregolare, prima di bombardarne le basi (oltre trenta raid), prima di attaccare quello che resta il quartier generale dello Stato Islamico.
La strategia è chiara agli oppositori e a quei diplomatici siriani che sono stati parte degli ingranaggi. Bassam Barandi ha lavorato al ministero degli Esteri e all’ambasciata di Washington, prima di scegliere la defezione. Per il centro studi Atlantic Council scrive: «In un raccolto perverso dei semi che lui stesso ha piantato per schiacciare il movimento riformista, Assad adesso si presenta come un utile alleato degli Stati Uniti, colpirà qui e là, fornirà informazioni di intelligence». Una strategia che sembra chiara anche agli americani: «Il governo siriano ha giocato un ruolo fondamentale, ha creato la situazione che ha permesso allo Stato Islamico di rafforzarsi, ha coltivato la nascita di reti terroristiche, ha facilitato il passaggio di combattenti di Al Qaida verso l’Iraq», ha commentato solo pochi mesi fa Marie Harf, portavoce del dipartimento di Stato.
L’accademia militare di West Point ha reso pubblici i documenti trovati nel 2007 in un campo d’addestramento a Sinjar, nel nord dell’Iraq: mappano il percorso di chi voleva unirsi — libici, tunisini, ceceni — alla guerriglia contro gli americani, l’arrivo all’aeroporto di Damasco, l’arresto da parte dei servizi segreti siriani, il rilascio una volta appurato che non rappresentassero una minaccia per il Paese, l’aiuto nell’attraversare il confine e andare dall’altra parte a combattere. All’inizio della rivolta in Siria, il regime avrebbe facilitato il viaggio di ritorno. «Assad ha permesso ai gruppi fanatici di cannibalizzare la ribellione — spiega Izzat Shahbandar, ex deputato iracheno e contatto tra Bagdad e Damasco, al quotidiano Wall Street Journal —, l’obiettivo è stato forzare l’Occidente a scegliere tra gli estremisti e il regime».
Quando un parlamentare tra i più devoti, lo interrompe e gli urla «per te il Medio Oriente è troppo piccolo, sei il leader di tutto il mondo», diventa chiaro che il presidente non sta per annunciare quello che i siriani aspettano. E’ il 30 marzo del 2011, Assad parla alla nazione, non promette cambiamenti, diritti civili, nuove elezioni. Disegna quella che resta la linea strategica fino a oggi: accusa gli stranieri (i Paesi arabi del Golfo) di aver ordito un complotto per farlo cadere. L’unica concessione di quel periodo è un’amnistia, un gesto di benevolenza verso chi è sceso in strada a protestare. Solo che dalle carceri — dalla prigione di Sednaya, contornata dalle montagne a nord di Damasco e dai racconti delle brutalità — vengono lasciati uscire soprattutto leader fondamentalisti, quelli che andranno a costituire le brigate islamiche.
L’opposizione al dilemma del presidente americano Barack Obama (il nemico del mio nemico è un mio alleato) è espressa sul piano tattico dall’analista arabo Hassan Hassan sul New York Times : «È improbabile che il regime sia a questo punto in grado di sconfiggere lo Stato Islamico, anche perché è necessario l’appoggio della popolazione locale». E sul piano etico da Amal Hanano, intellettuale siriana che vive negli Stati Uniti: «Tener conto della situazione presente per cercare una soluzione, non è solo ingenuo, è immorale». La posizione dominante nell’amministrazione sembra quella di Ryan Crocker, ambasciatore a Damasco tra il 1998 e il 2001: «Non sono un sostenitore di Assad, ma lo Stato Islamico rappresenta una mi naccia più grande alla nostra sicurezza».
Per Hanano significa dimenticare che le prime manifestazioni a Deraa erano pacifiche, che insegnanti, impiegati, lavoratori chiedevano la liberazione di tredici ragazzini incarcerati e torturati per aver scritto slogan contro il presidente sul muro di una scuola. Da allora i morti sono diventati 191.369 fino ad aprile del 2014: un calcolo per difetto, ammettono le Nazioni Unite.

Davide Frattini

Nessun commento:

Posta un commento