Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
giovedì 21 agosto 2014
OBAMA, L'EUROPA E L'OMISSIONE DI SOCCORSO. UN GRANDE ADRIANO SOFRI
Bellissimo l'articolo di Adriano Sofri su Repubblica, incentrato su quanto sta accadendo in Iraq, con quelli dell'IS , lo stato islamico, gli uomini neri che sfidano gli americani a scendere a terra, di essere "uomini". Già, loro sì, i fanatici islamisti sono veri uomini, che violentano madri e figlie, rese schiave sessuali, che massacrano quelli di religione diversa dalla loro, o anche della stessa ma di ceppo diverso. Veramente un grande coraggio.
L'articolo è lungo per cui non vado oltre.
Però leggetelo.
Il coltello, gli aerei, i piedi per terra
(Erbil). Dopo l’8 agosto, quando gli aerei americani avevano cominciato a bombardare le postazioni dello “Stato Islamico”, i suoi portavoce li hanno derisi e sfidati: Siete una banda di vigliacchi, scendete sulla terra e vediamocela da veri uomini. Più o meno così, le parole sono quelle di sempre fra “veri uomini”: “Scendi, se ci hai il coraggio!” I veri uomini dell’IS stavano appunto valorosamente sgozzando gente inerme, violentando madri e sorelle davanti a figli e fratellini, sghignazzando delle implorazioni dei vecchi, e insomma tutta la vecchia eterna vigliaccheria dei veri uomini. James “Jim” Foley era stato rapito una prima volta in Libia, con un fotografo sudafricano, Anton Hammerl, rimasto ucciso subito, e una free-lance, Clare Morgana Gillis, che poi l’aveva descritto così: “A chiunque e dovunque Jim piace subito, appena incontrato”. A quasi chiunque, quasi dovunque. Rapito per la seconda volta in Siria, non dev’essere piaciuto a nessuno dei suoi successivi padroni, che se lo sono rivenduto lungo quasi due anni, finché è finito nelle mani dell’IS. La ferocia non è coraggiosa. L’IS ha vigliaccamente ucciso il proprio ostaggio.
Niente barbarie primitiva, niente medioevo: siamo contemporanei. Il boia jihadista lavora di macelleria antica (coltello che sega, non colpo di scure o lama compassionevole di ghigliottina) e corre a completare la propria voluttà mettendo il film in rete. In rete, i genitori dell’uomo che hanno visto con la testa in grembo, come i martiri sulla facciata di una cattedrale, dicono: “Non siamo mai stati così orgogliosi di nostro figlio. Ha dato la vita nell’impegno di rivelare al mondo la sofferenza del popolo siriano /…/ Ringraziamo Jim per tutta la gioia che ci ha dato. È stato uno straordinario figlio, fratello, giornalista e persona”. Il boia aveva fatto le cose a puntino, rivestito la sua vittima della casacca arancione d’ordinanza, ostentato il suo accento britannico, e infine intitolato l’impresa: “Messaggio all’America”. Il messaggio non era solo per l’America, e l’America non è una sola. Una, la prima, che ha dato la risposta più grave di futuro, è l’America della madre di James Foley, che chiede riguardo per il proprio dolore, ma ha la forza di “supplicare” i rapitori di “risparmiare la vita degli altri ostaggi. Sono innocenti, come era Jim”. Occorre infatti una forza grandissima, meravigliosa. La seconda risposta l’ha data Barack Obama. L’America cui si rivolgevano i boia è infatti lui: che il loro condannato avesse dei genitori, una famiglia, non li toccava. Obama è la loro America, e aveva sperato probabilmente di finire il doppio mandato senza impegnare la sua potenza in un nuovo conflitto armato, e anzi ritraendola dai luoghi roventi in cui l’arroganza dei suoi predecessori o le circostanze l’avevano cacciata. Col passare e l’infuriare del tempo, la smobilitazione di Obama aveva sempre più indebolito l’aspirazione pacifica a vantaggio di un’inerzia disorientata e una sconfessione della propria parola. Il punto più grave era stato la rinuncia a un intervento internazionale quando la ribellione siriana era ancora una promessa. Il punto più mortificante era stato il ripudio della “linea rossa” fissata al ricorso di Assad alle armi chimiche. Ne venne un sarcastico domino di pezzi caduti: Putin, che in Siria difendeva il sacro accesso al Mediterraneo della propria flotta dal porto di Tartus, difese impunemente il sacro accesso al Mar Nero della propria flotta in Crimea. Una “guerra” tira l’altra. Fino all’8 agosto, quando Obama ha rotto l’incantesimo, e ordinato i bombardamenti sulla resistibile avanzata del Califfato. Il ritorno sul luogo di un doppio delitto, la “guerra” irachena di Bush e Blair, e il ritiro da quell’Iraq, nella finzione che la democrazia vi potesse vivere di vita propria, col paese abbandonato alla morsa fra la rivalsa sciita e la brutalità del jihadismo sunnita. Gli aerei americani si sono alzati quando l’avanzata dell’IS aveva travolto addirittura la città di Mosul e consegnato il controllo della diga che la sovrasta, con l’intera piana fino a Bagdad. I lugubri uomini mascherati che sembravano venire da un altro mondo di ferocia inaudita erano in realtà la mutazione di un esercito internazionale che da mesi, da anni faceva le sue prove sotto gli occhi chiusi del mondo, piantando la propria bandiera nera sopra la ribellione siriana e il cuore dell’Iraq. A Falluja quella bandiera è issata fin dal 5 gennaio. A Obama dunque, che aveva preferito non vedere –mentre i sunniti già alleati degli americani restavano senza armi né risorse alla mercé dei confratelli decapitatori- è rivolto il messaggio del boia di Jim Foley. Gli dice che bombardare, anche solo dall’alto, anche senza rompere il tabù del “non mettere i piedi sul terreno”, ha comunque un costo di sangue, e Foley ne è l’agnello sacrificale. “Ogni tuo tentativo, Obama, di negare ai musulmani il loro diritto di vivere sicuri sotto il Califfato, avrà come conseguenza lo spargimento del sangue della tua gente”. Il prossimo, consorte di prigionia e torture, esibito nel video, è Steven Joel Sotloff, 31 anni, collaboratore di Time, scomparso a sua volta in Siria un anno fa. Se i raid non cesseranno, proclama il messaggio, toccherà a lui, e poi avanti. Che Obama ceda a un ricatto simile è impensabile perfino per l’IS. Obama ha risposto com’era inevitabile e giusto. Può darsi che i capibanda dell’IS si propongano di forzare l’America di Obama a tornare sul campo fino a restarne intrappolati e offrire loro la gloria di cui si beano. Questo pensiero si porta dietro due domande: se sia immaginabile arginare oggi, sconfiggere domani l’IS e le sue versioni concorrenti senza mettere nel conto i piedi per terra e il prezzo di proprie vite, e se questo riguardi davvero solo o soprattutto l’America.
Ieri il parlamento italiano ha votato per il sostegno in armi –e voglia l’intelligenza di coloro cui compete che non siano ferri vecchi - e ieri per la prima volta un capo di governo (o di Stato) europeo è venuto a Bagdad e in Kurdistan. Renzi e Obama hanno messo in rilievo la determinazione specificamente genocida di questo islamismo. Il genocidio non è tanto questione di numeri. I cristiani di Siria, o i cristiani e ancora più ferocemente gli yazidi d’Iraq, o i 12 mila turcomanni sciiti assediati da due mesi e minacciati di sterminio a Amerli, est di Tikrit, non sono “nemici”: sono creature inferiori, impure, da liquidare, e poi farsi il selfie. Ieri a Khanke, nel più commovente accampamento di scampati yazidi, un padre raccontava piangendo che lo chiamano col telefono delle sue figlie e gli dicono sghignazzando quante volte ne hanno abusato.
Se Obama avesse continuato nella scelta di non intervenire, che cosa avremmo fatto noi, l’Italia, l’Europa? La domanda non è resa inutile dal fatto che Obama ha finalmente rinunciato all’omissione di soccorso. Forse è inutile perché la risposta è scontata: non avremmo mosso un dito, l’Italia, l’Europa.
Esiste o no un’obbligazione alla legalità internazionale, o almeno al pronto soccorso? Gli Stati Uniti hanno mostrato di non voler più fare da poliziotto del mondo, e oltretutto di non farcela più. Tuttavia, come in uno di quei malinconici film in cui il veterano che non vuole più saperne viene richiamato ad affrontare una minaccia diventata micidiale, sono ancora loro a fermare (nell’unico modo possibile, papa Francesco) un’avanzata che semina morte e terrore e minaccia l’isola di relativa tolleranza e normalità che è il Kurdistan. L’Europa, coi suoi 28 eserciti, non è esistita, né a Gaza, né in Siria, né sui monti Sinjar. E qual è, oltre alla viltà, o al malinteso interesse nazionale (gli affari, o la tassa per tener lontani da sé gli attentati islamisti) la spiegazione di questa colossale omissione di soccorso? E’ l’infinita discussione sulla guerra, sulla guerra ingiusta o giusta, di difesa o di aggressione, sulla guerra ripudiata dalla Costituzione o autorizzata da qualche codice canonico. Ci si gingilla sulla guerra. Si accantona sprezzantemente la distinzione, l’opposizione anzi, fra la guerra e l’azione di polizia internazionale. Si ride della seconda, come di un’utopia, o di un eufemismo. Ma perché non si ride della polizia nazionale? Dunque la differenza decisiva starebbe nel fatto che l’uso della forza sul piano internazionale è comunque guerra? Ma è una pretesa senza senso. C’è un altro uomo minacciato di decapitazione: il dubbio riguarda l’accento col quale il boia registrerà il suo video. Ieri era un accento britannico per un messaggio all’America. Il messaggio suonava chiaro anche per noi.
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