sabato 27 settembre 2014

COINVOLGERE GLI ISLAMICI MODERATI PER COMBATTERE IN OCCIDENTE I TERRORISTI DELLA JIHAD

Jihad Casualties

Sergio Romano, nell'editoriale odierno del Corsera, affronta il problema del conflitto contro i terroristi dell'Isis, evidenziando i due fronti : quello della battaglia tesa ad abbattere lo stato islamico creato da Al Baghdadi in medioriente, prendendosi pezzi di Siria (praticamente i jihadisti controllano il 40% del territorio, quanto Assad, mentre il restante 20% sarebbe sotto l'egida dei ribelli "laici", definiamoli così) e Iraq (qui si tratta di almeno un terzo); quello interno, contro la minaccia di migliaia di fondamentalisti infiltrati nei paesi occidentali con la missione di far saltare in aria un po' di cristiani. 
Relativamente al primo, Romano spiega come gli occidentali, che sempre di più si stanno impegnando per via aerea, dovranno decidersi a poggiare gli stivali sul terreno, non reputando evidentemente sufficiente armare e addestrare i soldati iracheni (qualcuno mi deve spiegare il perché quelli fedeli all'attuale governo siano degli inetti, mentre quelli passati all'IS, già militari nell'esercito di Saddam, siano feroci e capaci guerrieri...) e i peshmerga curdi. 
La coalizione di 40 paesi, tra cui diversi arabi, dovrebbe far passare il messaggio obamiano che NON si tratta di una crociata, ma di un'allenza plurale per eliminare un regime odioso e pericoloso per il mondo ma soprattutto per i paesi di quell'area.
Sull'altro fronte, quello di casa nostra, l'ex ambasciatore suggerisce il coinvolgimento dei musulmani moderati ed illuminati, che secondo la vulgata politically correct sarebbero la grande maggioranza, per individuare, isolare e neutralizzare i terroristi. Se questo avvenisse, spiega, sarebbe non solo utile per vincere la battaglia interna ma anche per avvicinare e pacificare il mondo cristiano e quello islamico. 
Il progetto è suggestivo, chissà se realistico. I moderati saranno anche di più, lo auspico, però quelli che si sentono e si vedono sono per lo più gli altri...



I terroristi che sono tra noi
di Sergio Romano

The Counter Jihad Report

Nella guerra contro lo Stato islamico vi sono almeno due battaglie da combattere con metodi diversi. La prima è militare. Sarà necessario liberare i territori iracheni occupati dalle milizie islamiste e riconquistare Raqqa (la loro capitale siriana) senza troppo disquisire sulla possibilità che l’operazione possa giovare al regime di Bashar al Assad.
    Questa guerra verrà fatta prevalentemente dall’aria per consentire ai peshmerga curdi di cacciare l’Isis dalle loro terre e all’esercito iracheno di riconquistare le regioni perdute. Ma non è escluso che qualche contingente occidentale debba partecipare alle operazioni. La posta è troppo alta perché l’Europa e gli Stati Uniti possano limitarsi a combattere per procura. Questa non è una vicenda in cui basti raccogliere qualche successo militare. Occorre dimostrare che il progetto del Califfato non è soltanto una intollerabile manifestazione di barbarie; è anche un disegno assurdo, irrealizzabile, dannoso per tutti i Paesi della regione. La guerra a oltranza, in questo caso, serve anche a convincere i giovani combattenti dell’Isis che il fanatismo non rende invulnerabili, che la vita non merita di essere bruciata in questo modo.
    La seconda battaglia deve essere combattuta in Occidente contro cellule composte da fanatici alla ricerca di una nuova fede e da veterani di altre battaglie islamiste (più di 3 mila secondo il coordinatore europeo della lotta contro il terrorismo). Conosciamo i loro obiettivi: creare quinte colonne che ci minaccino nelle nostre case, coinvolgere nella lotta le comunità musulmane, costringerci ad adottare misure che rendano lo scontro sempre più aspro, promuovere se stessi al rango di nemici ufficiali dei nostri Paesi. Sono gli obiettivi di tutti i terrorismi, dalle Brigate Rosse agli irlandesi dell’Ira e ai baschi dell’Eta. Vincono quando il loro nemico comincia a subire ricatti e a trattarli come combattenti. Spetta a noi evitare reazioni che possano favorire la loro strategia.
    Per vincere abbiamo un’arma che potrebbe rivelarsi efficace: i musulmani europei. Se sapremo coinvolgerli, saranno i nostri migliori alleati. Ne esistono le condizioni. Come quella creata durante la prima guerra del Golfo, la coalizione contro l’Isis non potrà mai essere definita una «crociata» composta da Paesi cristiani. È una ragionevole alleanza fra Paesi di tradizione cristiana e Paesi di tradizione musulmana. Mi piacerebbe che gli storici, un giorno, parlassero della guerra contro l’Isis come dell’evento che maggiormente avvicinò il mondo della cristianità e quello dell’Islam.

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