giovedì 11 settembre 2014

GLI INDAGATI EMILIANI DEL PD E IL DILEMMA TRA GARANTISMO E MORALISMO "MIGLIORISTA"


" Premesso che io resto garantista al 100% e i sigg. Richetti e Bonaccini sono innocenti fino a sentenza definitiva" avrebbe iniziato così qualche mio amico le sue riflessioni , compiaciute, sulla tegola giudiziaria che colpisce il campo "nemico", per poi dare giù ai sospetti malandrini (ancorché solo indagati). 
Io non solo sono garantista, ma sono pure amorale (che è diverso da immorale), specie in campo politico, e non mi straccio le vesti se chi fa politica, cercando di fare qualcosa di buono per la collettività (questo dovrebbe essere), finisce per farlo ANCHE per se stesso e i suoi. Il problema semmai è che la prima cosa troppo spesso non avviene, mentre la seconda resta regola umana universale. 
Ad ogni modo il malcostume dei rimborsi spese gonfiati non mi emoziona né mi scandalizza. Poi certo, est modus in rebus, e l'appettito di gente come Fiorito un pochino disturba anche uno indulgente come me sulle debolezze umane. Non sembrerebbe essere questo il caso dei due impallinati renziani, che le cifre che ballano non sono poi clamorose. Premesso questo, che uno come Richetti, un ventriloquo del Premier, spessissimo in tv, col ditino spesso alzato, ora quel dito se lo ritrova in un altro posto, bè, perdonatemi, non mi rattrista. E so' umano anch'io, ho le mie antipatie, mea culpa !!
Antonio Polito prende spunto dalla cronaca per riproporre il dilemma interno del PD : come conciliare garantismo e la pretesa "migliorista" (cioè che loro sono meglio della moglie di Cesare) ? La cosa qualche imbarazzo la crea perché, come ricorda il giornalista, sono ormai numerose le situazioni dove esponenti importanti del partito (governatori in carica, ricandidati, segretari e sotto al governo) risultano indagati quando non proprio rinviati a giudizio.  Un mio caro amico, ai tempi, discusse con la Serracchiani, candidata al governatorato del Friuli Venezia Giulia (poi conquistato per un pugno di voti, grazie al centrodestra diviso), contrario all'eliminazione di alcuni candidati dalle liste dei democratici appunto perché indagati.  "Le nostre liste non le fanno quelli della Procura! ", tuonò giustamente il nostro, ma la Debora ineffabile rispose che quegli avvisi portavano via voti, la battaglia era sul filo e non era certo il caso di rischiare per fare i garantisti. Ebbe ragione lei, evidentemente ( il che è triste, ma chi rinuncia al potere per un principio ??). 
Adesso il dilemma si ripropone, anche perché a Venezia e sull'Expo' il PD non è stato proprio un modello di garantismo, anche coi suoi, e il passo indietro richiesto fu la regola. 
Insomma, un po' di comprensibile confusione, che però sarebbe il caso di eliminare con una scelta di campo, e non una decisione "volta per volta", che crea il sospetto che il garantismo valga per i "simpatici", e il moralismo per gli altri. 
 

 
 

Tra Indagini e Garantismo
Pd Prigioniero di Se stesso
di ANTONIO POLITO 
 
 
Forse, col senno di poi, sarebbe stato meglio per Renzi se i magistrati di Bologna avessero fatto qualche giorno di ferie in più. Invece «la Procura ha lavorato anche in agosto», ha spiegato implacabile il vicecapo dell’ufficio. Risultato: primarie emiliane nel caos, direzione del partito rinviata, festa dell’Unità rovinata. Per quanto di modesta entità giudiziaria, l’inchiesta di Bologna è una bella tegola per il Pd renziano. Innanzitutto perché ricorda che il nuovo gruppo dirigente non è così vergine da non avere un passato, in cui viaggiò in auto blu e fu esposto agli incerti del mestiere (soprattutto nei consigli regionali con «nota spese selvaggia»); né è così fraternamente unito da non conoscere le notti dei lunghi coltelli, come quella che si sta consumando nella roccaforte emiliana e che solo i nuovi cremlinologi del renzismo sanno spiegare.
Una macchia fastidiosa, insomma, per la generazione Dash, con la camicia bianca che più bianco non si può.
Ma la cosa peggiore è che ripiomba il partito nuovo in una questione antica, tipica dell’era che sperava di essersi ormai gettata alle spalle: come dotarsi di una moderna cultura garantista dopo una così lunga pedagogia moralista e, dunque, che fare quando uno dei tuoi è sotto inchiesta.
Al momento, la situazione è kafkiana. Richetti si è ritirato dalle primarie perché è indagato, ma senza averlo detto. Bonaccini l’ha detto ma non si è ritirato, confida come al solito di dimostrare ecc. ecc. (ma già deve sfuggire ai militanti inferociti sul suo blog: quanto potrà resistere?). Il terzo candidato, che non è indagato, rischia invece di essere eliminato se saltano le primarie. Il problema è che il governatore che sono chiamati a sostituire, Errani, si era dimesso dopo una sentenza di primo grado nonostante Renzi gliel’avesse sconsigliato, poiché viene dal Pci e sta ancora elaborando il lutto della diversità come perfezione morale; mentre Enrico Rossi, anche lui ex Pci, si ricandida a governatore della Toscana nonostante sia indagato. Nel frattempo nessuno obietta che in Campania Vincenzo De Luca, due volte rinviato a giudizio, si prepari a correre per le primarie regionali. Né che al governo ci siano quattro sottosegretari a loro volta indagati, ma confermati.
Così il nuovo Pd si trova tra due fuochi. Se dice, come in molti sussurrano, che l’indagine è una vendetta della magistratura per le ferie tagliate, dà ragione in un solo colpo a vent’anni di agitazione berlusconiana contro le toghe rosse e la giustizia a orologeria. Se dice, come molti vorrebbero, che lascerà decidere ai suoi elettori e non alle Procure chi deve essere candidato e chi no, dà torto in un colpo solo a vent’anni di antiberlusconismo, che ha fatto strame di molti principi di garanzia e che è stato a lungo usato come un surrogato della politica per cibare il popolo di sinistra.
Bisognerebbe che il nuovo partito-guida avviasse dunque una riflessione: su come essere più severi, prima che arrivino le Procure, con chi sale sul taxi solo per arricchirsi, e meno bigotti con chi viene fatto scendere ogni volta che fischia un pm. Bisognerebbe che Renzi ci pensasse e ne parlasse, visto che è anche il segretario del partito e non ha mai pensato neanche per un nanosecondo di lasciare la carica. Ma Renzi, per altro loquace, per ora ne tace. 

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