Come ampiamente sottolineato ( molto letta è stata l'indignata reazione di Davide Giacalone contro la deriva pornografica dell'inchiesta, riportata nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/08/la-deriva-pornografica-del-processo.html ), le indagini svolte dagli inquirenti di Bergamo riguardanti la vita privata della signora Bossetti, Marita Comi, non hanno alcun rilievo, e resta pertanto la brutta sensazione che siano state condotte come mero elemento di pressione psicologica verso l'indagato , sperando che i nervi gli cedano e con essi il muro eretto e fatto delle continue proteste della propria innocenza.
Questo dopo tre mesi di prigione, nei confronti, lo ricordiamo sempre, di uno che per la legge è "non colpevole". So che alcuni miei lettori, straconvinti della colpevolezza di Bossetti stante la prova del DNA, si irritano a questo mio costante richiamo, ma, a mio avviso, sono loro a sbagliare : la custodia cautelare NON è un anticipo di pena, obbedisce ad altre esigenze. Mentre quella che vogliono loro è proprio la carcerazione preventiva, sull'assunto che sono certi che quello sia il colpevole.
Lo dovrà dire il processo, non io, non loro.
Da quello che si deduce dal minuzioso articolo di Giuliana Ubbiali, del Corriere, dopo mesi passati a cercare elementi che inchiodassero Bossetti, l'unica cosa vera che resta è quella traccia di DNA sugli indumenti di Yara. Peraltro, si tratta di una prova non da poco, però evidentemente anche i PM non si fidano di basare l'accusa solo su di esso e continuano a cercare altri riscontri, e sperano in qualche confessione.
C'è poi un problema tecnico molto rilevante. I difensori hanno chiesto di ripetere la verifica del DNA, per accertare che le risultanze della procura siano corrette, e che effettivamente ci sia la corrispondenza affermata dagli inquirenti. Bene, si direbbe, così se i nuovi esami confermano quelli vecchi, per l'imputato non ci saranno più appigli. In fondo non si esegue un nuovo esame del DNA su Stasi nel processo di Garlasco (e dopo 7 anni e tre giudizi conclusi !) ? Qui però le cose sono più complicate perché trapela il timore (in realtà adombrato fin dall'inizio, e di qui la ricerca affannosa di altri riscontri) che non vi siano più tracce sufficienti per ripetere la prova. Quelle che c'erano, sarebbero state tutte definitivamente utilizzate per gli esami disposti dall'accusa. Bè, se così fosse sarebbe veramente una situazione grave.
Non faccio penale, non sono quindi in grado di confutare quanto asserito dalla giornalista, sicuramente imbeccata da qualche esperto, la quale sostiene che siccome le prime, e a quel punto uniche verifiche, sarebbero state eseguite correttamente, il fatto che non sia posisbile riverificarle da parte della difesa non sarebbe inficiante.
E chi lo dice che le procedure sono state corrette ? La descrizione delle stesse fatte da coloro che le hanno eseguite ??? Assomiglia molto alla medievale "parola di Re".
Speriamo dunque che non sia così, che se veramente, alla fine, come sembra, l'unica prova contro Bossetti resti quella del DNA, quest'ultima possa essere ripetuta in contraddittorio, per sgombrare ogni ragionevole dubbio. E a quel punto, allora sì, condannare il colpevole.
La difesa di Bossetti e la battaglia del Dna
Chiesti nuovi test a tre mesi dall’arresto
Istanza di scarcerazione per l’uomo
accusato dell’omicidio di Yara
Ottantasette giorni di carcere, in isolamento. Massimo Giuseppe Bossetti prega, conta le ore che lo separano dalle visite dei parenti e continua a dire che non c’entra nulla con l’omicidio di Yara. Eppure, è l’esito delle analisi disposte dal pm, c’è il suo Dna sugli slip e sui leggings della tredicenne, proprio dove sono stati tagliati di netto con una lama. I difensori sanno bene che è l’elemento più forte della battaglia giudiziaria: è il pilastro dell’inchiesta, ma se riusciranno a minarlo faranno traballare, se non crollare, il castello accusatorio.
Allora nella giornata in cui hanno presentato l’istanza di scarcerazione al gip Ezia Maccora, che a giugno ha tenuto in cella Bossetti, l’annuncio che chiederanno di estrapolare di nuovo il Dna dagli indumenti di Yara prevale su quella che hanno definito «rilettura critica degli indizi»: la calce nei bronchi, sulle ferite e sugli indumenti della bambina compatibile con il lavoro del carpentiere, la stessa cella telefonica agganciata dal cellulare della vittima e dell’indagato, la testimonianza del fratellino di lei su «quel signore che la guardava male quando tornava dalla palestra». Per la difesa è una carta rischiosa da giocare, ma forse pure l’unica: se il test si potrà ripetere e confermerà che il profilo genetico è di Bossetti, l’accusa ne uscirà rafforzata. A questo punto le domande sono due: c’è materiale per un nuovo esame? E se non c’è, che cosa accadrà a processo?
Il nuovo test
Gli avvocati chiedono che la prova del Dna sia acquisita in contraddittorio, cioè con la loro partecipazione. Così non era stato fatto all’epoca dell’esame sugli indumenti della vittima (aprile 2011), ma la procedura non fa una piega perché allora non c’era nessun indagato. Il profilo estratto da macchioline di sangue (si presume, visto l’esito negativo dei test per sperma e saliva) misto a quello di Yara è stato isolato in un punto di contatto tra leggings e slip. Quell’area di tessuto non esiste più, perché deteriorata dalle analisi effettuate nei laboratori del Ris. Nelle provette è rimasto materiale a sufficienza per ripetere il test? È ragionevole rispondere no, visto che non è bastato al Centro di genomica traslazionale e bioinformatica dell’ospedale San Raffaele di Milano per ripetere la sequenza del Dna e scovare nuove informazioni su quello che allora si chiamava ancora Ignoto 1.
In altri punti sui leggings, però, ci sono tracce più piccole ma identiche a quelle già analizzate che sono rimaste intatte e custodite. Bisognerà ora verificare quantità e qualità. Nell’ipotesi che non ci sia materiale adatto a una nuova analisi, il primo risultato non sarà acquisibile a processo? Difficile, proprio perché la procedura è stata rispettata, ma solo i giudici potranno deciderlo alla luce di una valutazione complessiva degli elementi di accusa e difesa.
L’importanza del Dna
Quanto sia centrale emerge dalle 10 pagine scritte a giugno dal g--ip che nei prossimi cinque giorni deciderà se il quadro dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari è cambiato: «Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, gli esiti dell’indagine genetica, atteso l’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative tale da rendere infinitesimale la possibilità d’errore, presentano natura di prova e non di mero indizio. A tale elemento probatorio si aggiungono ulteriori indizi che rafforzano, se valutati globalmente, il quadro indiziario». Che il profilo genetico sia del carpentiere viene indicato al termine di un excursus sulla pista genetica che ha portato a Giuseppe Guerinoni, il padre naturale dell’indagato, e alla mamma Ester Arzuffi: «Ne discende che sussistono gravi indizi per ritenere che Bossetti è il soggetto che ha lasciato la traccia di sangue sugli indumenti della vittima».
Il valore della traccia
Chi ha lasciato il proprio Dna è l’assassino? Perché, pur infierendo su Yara, non ha lasciato sangue anche su altre parti? Solo il tribunale potrà rispondere, ma già nelle indagini preliminari il valore del profilo genetico viene messo in evidenza. Il gip cita la relazione del Ris: «Non è dovuto solo al fatto che è maschile, ma anche e soprattutto perché è stato isolato su un’area attigua a uno dei margini recisi dell’indumento». Ne deriva che «è logico il percorso che ha portato a escludere che la presenza di Ignoto 1 sia dovuta a un fugace maneggiamento degli indumenti».
Gli indizi controversi
Nel mirino della difesa non c’è solo il Dna. Gli avvocati mettono in discussione altri tre punti che per il gip, a giugno, pesavano a sfavore di Bossetti. La polvere di calce: Yara l’ha respirata perché chiusa in un ambiente che ne era saturo, oppure perché il suo assassino ne era impregnato, e l’indagato è un carpentiere. Ma per la difesa l’edilizia è un settore talmente diffuso nella Bergamasca da non essere rilevante. I cellulari: quello di Yara ha agganciato la cella di via Natta, a Mapello, alle 18.49, la stessa agganciata da Bossetti alle 17.45. Per i difensori non deve sorprendere, dal momento che lui vive a Mapello. Poi c’è il fratellino di Yara che aveva raccontato ai carabinieri di quel signore con la barbettina e l’auto lunga grigia. Un elemento non decisivo, ma nemmeno trascurabile secondo il Gip: Bossetti aveva il pizzetto e una Volvo V40. Solo che il bambino aveva descritto un uomo «cicciottello» e poi non ha riconosciuto l’indagato.
Giuliana Ubbiali
Nessun commento:
Posta un commento